madre teresa di calcutta. una piccola goccia nell’oceano

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30 Maggio 2020

Ho avuto la grazia di conoscere da vicino le suore di Madre Teresa di Calcutta.

Comunità delle suore operante in Bari, nel quartiere San Paolo, una delle realtà spesso elevate alle cronache per gli episodi di disagio propri delle periferie urbane.

Quartiere di trentunomila abitanti su trecentoventiquattromila cittadini del capoluogo pugliese, nato in un primo momento con una urbanizzazione proliferata a macchia d’olio negli anni sessanta, quando l’edilizia popolare innalzò palazzoni come funghi, i più senza ascensori e in alcuni tratti “scordandosi” dei pluviali sotto la gettata di asfalto delle strade (quando pioveva alcune di esse diventavano veri e propri corsi d’acqua da attraversare fino a ben oltre le caviglie).

Le suore di Madre Teresa dimorano lì, questa è la loro seconda sede nel capoluogo, pugliese dove si sono insediate dagli anni Settanta. Oltre a mantenere una mensa con dormitorio maschile (quest’ultimo ora gestito dalla diocesi), aperti dalla prima ora presso un locale donato dal dopolavoro ferroviario, subito alle spalle della stazione centrale, ai piedi del cavalcavia pedonale che scavalca la ferrovia al termine della centralissimo corso Cavour (la via alberata del Teatro Petruzzelli).

Presso San Paolo le suore hanno invece potuto aprire un locale a dormitorio e accoglienza femminile.

Siamo negli anni 2003-2005, lo ricordo perché il 2005 ci fu il Congresso Eucaristico Nazionale a Bari, con la partecipazione finale di papa Benedetto XVI, alla sua prima uscita pubblica dopo l’elezione.

La comunità era composta di sei suore. Tre indiane, una africana, una austriaca, una italiana. Le suore parlavano l’italiano, la lingua della nazione dove operavano, quando interloquivano con la gente.

Ma fra di loro, essendo una comunità “internazionale” comunicavano in inglese. È la lingua che le accompagnerà nei loro spostamenti per il mondo.

Nella cappella, una stanza spoglia, nella parete di fondo c’era un crocifisso di dimensione notevoli (non a grandezza d’uomo ma media grandezza) accostato da due parole, ritagliate nel cartone ed appese alla parete: “I THIRST”.

“HO SETE” (cfr. Gv 19,28). Ovvero le parole di Gesù sulla Croce.

Madre Teresa spiega che Gesù, con questa richiesta, non esprime semplicemente una sete materiale, dovuta all’arsura provocata dal dissanguamento e dalla sua passione.

Gesù esprime altresì, rivolgendoci ancora oggi  questa invocazione, la sete di noi, la  sete delle nostre anime; desidera che noi possiamo dissetarlo legando la nostra vita alla sua, senza abbandonarlo in croce sitibondo.

La giornata delle suore cominciava qua, davanti a quel Crocifisso, che è per amore in Croce per ricordare loro che fra poco avrebbero incontrato tanti altri Crocifissi della società, e a tutti avrebbero dovuto  poter dare ristoro. Continuava con la S. Messa alle cinque del mattino.. Poi, tre ore di preghiera, in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento, recitando il rosario, la preghiera dei poveri, e le altre orazioni.

Madre Teresa diceva che le sue suore non potevano avere la forza di portare l’amore di Cristo a tutti i poveri e a tutte le persone che incontravano, se a questo amore non si fossero nutrite quotidianamente.

Poi iniziava la giornata “nel mondo”.

Un breve riordino alla stanza. Dormivano in sei in una stanza sola, con i materassi sul pavimento, senza reti. Perché? Per la stessa motivazione che Madre Teresa raccontò  durante un’intervista in un documentario, quando aprì la sua prima “Casa della Carità in Inghilterra”; quando l’incaricato delle autorità locali stava illustrando a lei le caratteristiche della struttura, le disse:“Questi sono i contatori della corrente elettrica e questo è il comando per produrre l’acqua calda”.

“No – rispose – vi prego di chiudere la fornitura di acqua calda perché io e le miei suore decidiamo di non usarla”.

L’interlocutore rimase allibito.

“Ma com’è possibile Madre Teresa? Vivere senza acqua calda?”

“Caro signore , il motivo per il quale noi scegliamo di vivere senza l’acqua calda corrente (o dormendo per terra, o rinunciando ad altri comfort…) non è certo per dispregio a lei o a tutti coloro che usufruiscono di queste possibilità, e mi spiace doverla importunare chiedendole di adoperarsi per chiuderci questa acqua.

Il motivo è semplicemente legato al fatto che, se noi vivessimo tutto questo, non potremmo comprendere lontanamente la condizione di tanti poveri che vivono nelle città dove operiamo senza poter usufruire mai nell’arco della loro esistenza di simili realtà.

Se per questo, tanti di loro vivono non solo senza l’acqua calda, ma anche senza l’acqua corrente, dovendosene approvvigionare ai pozzi o alle fonti. Per l’acqua calda faremo come loro. Ci basterà bollirla”.

Non so se oggi le regole della congregazione siano cambiate.

Ma è indubbio che questa piccola donna, Madre Teresa, aveva una forza ed una determinazione che non erano nate con lei, ma le venivano da tutto il suo percorso interiore.

Ricordo sempre, nello stesso documentario, l’episodio narrato con le riprese. Madre Teresa era a Beirut martoriata dal conflitto tra Libano ed Israele. Si era recata lì per poter raggiungere le sue suore, che gestivano una struttura per bambini proprio al centro della cittadina durante il conflitto ed erano isolate, insieme con oltre cento bambini, tra loro molti disabili. Era necessario poter sottrarre quei bambini a questa barbarie.

Ma l’operatore è chiaro con la Madre: “Non possiamo avvicinarci alla struttura, nonostante l’appello del cessate il fuoco è troppo pericoloso, perché sono attivi vari cecchini”. Lei rispose con indomita certezza: “Non dobbiamo temere nulla. Ho già pregato che non ci succeda nulla e la Madonna ci penserà lei”. Così fu. Era il 14 agosto 1982. (1)

Agnese Gonxe Bojanxiu. (2)

Nacque a Skopje, attuale capitale dello Stato della Macedonia del Nord ma allora cittadina albanese, il 26 agosto 1910.

A 18 anni entrò nella Congregazione delle Suore di Loreto, e si trasferì presto in India dove lavorò come maestra e poi direttrice della scuola gestita dalle suore che a Calcutta era frequentata soprattutto da figlie di classi abbienti e di coloni britannici.

Nel 1946 ella ebbe una “seconda chiamata” e rimise nelle mani del vescovo e delle superiore la sua richiesta di lasciare l’abito della Congregazione e l’insegnamento per potersi dedicare interamente al servizio di quei poveri che riempivano in maniera drammatica i quartieri della metropoli indiana.

Dopo due anni di attesa, le fu concesso di seguire tale chiamata e fu invitata a mantenere il cammino come religiosa; ella uscì dalla Congregazione delle Suore di Loreto ed acquistò con poche rupie il telo della veste (“sari”) che avrebbe poi caratterizzato lei e le sue suore: bordi celesti su telo bianco.

I primi tempi non furono facili.

Madre Teresa si alzava la mattina uscendo dalla stanza dove si era trasferita a vivere e scendeva in mezzo alla strada dove si dedicava a soccorrere gli ultimi a partire dai poveri accattoni moribondi che qui vivevano. Ella cercava di alleviare le loro sofferenze fisiche e, ove moribondi, di accompagnarli al trapasso.

Raccontava che la sera era così stanca nelle sue forze fisiche, che non aveva idea se sarebbe riuscita il giorno dopo ad alzarsi nuovamente dal suo giaciglio per tornare sulla strada.

Dopo qualche tempo alcune sue ex studentesse la raggiunsero ed iniziarono volontariamente ad aiutarla; dopo un po’ le manifestarono il desiderio di unirsi a lei nella stessa comunità di vita religiosa, così, poco a poco, nel 1950, nacque la Congregazione delle “Missionarie della carità” (comunemente conosciute come “le suore di Madre Teresa di Calcutta”).

La Congregazione ebbe un fiorire di vocazioni che è stato un crescendo, pur nella sua proposta così estremamente radicale.

Uno degli episodi più famosi dei primi tempi della espansione a Calcutta di questa nuova comunità religiosa fu dato dall’iniziativa di un funzionario del luogo che aveva assegnato alle suore per lo svolgimento delle loro attività di ricovero assistenziali (soccorrevano orfani, storpi, lebbrosi, e gli stessi moribondi, aprendo per ogni categoria una “casa”) alcuni locali precedentemente utilizzati dagli adepti della dea Kālī. Gli stessi non tardarono a presentare al funzionario le loro proteste formali per tale decisione: “Hai dato ad una suora cattolica dei locali che gestivamo noi induisti!”

La risposta dell’interessato non si fece attendere: “Non ho alcun problema a riassegnare i locali alla vostra gestione. Purché le vostre sorelle e le vostre madri si incarichino di sostituire Madre Teresa e le sue suore nei servizi di più totale assistenza e accudimento che esse compiono verso poveri, storpi, lebbrosi, piagati e moribondi da loro ospitati, nutriti, lavati.”

Non ci fu replica.

Ella accoglieva chiunque, soprattutto i più bisognosi, nelle sue case, a qualunque Religione appartenessero.

Una piccola suorina gracile ed insignificante, una “matita storta nelle mani di Dio” divenne nei decenni, insieme con l’espandersi mondiale della congregazione delle Missionarie e dei Missionari della Carità, una delle voci più profonde ed ammirate dell’intero Pianeta, al punto da essere insignita, nel 1979, del Premio Nobel della Pace, chiedendo che i 6000 dollari del premio fossero destinati ai poveri di Calcutta, per sfamarli un anno intero.

Celeberrimo, nel discorso di ringraziamento per il ritiro del premio, il suo accorato appello alle madri tentate o costrette all’aborto.

Affermò che non possiamo meravigliarci che esistono tante guerre sulla faccia della terra, nè stupirci se sia tanto naturale per un uomo sottrarre la vita ad un altro. Quando sono, drammaticamente tante madri, ogni giorno, a vedersi costrette o a decidere di levare la vita ai figli che portano in grembo. Dunque si rivolgeva alle madri di tutto il mondo,  chiedendo loro: se non fossero state in grado di mantenere i loro  bambini dateli a me e alle mie suore! E ci prenderemo cura di loro.

Parole senza ombra di giudizio  alcuno ma di una profondità che arriva ai cuori.

Madre Teresa, morta il 5 settembre 1997, col tributo dei “funerali di Stato” dall’India di cui aveva deciso di assumere la nazionalità appena dopo l’indipendenza, legando per sempre il suo nome al popolo che per primo e per tanto tempo aveva servito. Verrà beatificata da Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003 e canonizzata da papa Francesco il 4 settembre 2015.

Per tutti coloro che, come me, non l’hanno conosciuta da vicino ma hanno potuto conoscere la grandezza della sua opera e della sua persona era quasi una certezza concordare unanimi: “è una santa!”

Uno svelamento è stato poter conoscere, con la pubblicazione delle sue lettere nel 2010, questa suorina gigante, che trasmetteva pace, amore, speranza, fiducia e fede col suo sorriso, con le sue parole, con l’evidenza certa delle opere di carità realizzate da lei e dalle sue suore;  il come ha vissuto per decenni, dopo le prime fortissime rivelazioni mistiche legate alla sua “nuova vocazione”, quella che i maestri dello spirito chiamano: “il deserto dell’anima”, la “notte interiore”.

Esattamente come il suo Signore  assetato sulla croce ma al tempo stesso sofferente nel suo grido per “l’abbandono del Padre” (3) (così doveva essere, perché Egli condividesse il Grido di tutti i crocifissi della Storia), per circa cinquant’anni, dagli inizi della congregazione fino alla fine della vita,  Madre Teresa, visse in uno stato spirituale di aridità interiore, di “abbandono” da parte del Maestro.

Questo la spinse non solo a non sperimentare interiormente la presenza di Dio, ma anche a dubitare della sua esistenza.

Eppure, all’esterno, continuò a portare avanti e a difendere l’opera che, non lei (una suorina insignificante dubitante dell’esistenza di Dio) ma Altri aveva voluto, pensato e realizzato attraverso di lei.

Per finire due sue risposte agli intervistatori in quel documentario che vidi anni fa.

Ad uno diceva che non gradiva essere fotografata ma aveva, non potendolo evitare, fatto una ”proposta” al Signore chiedendogli di portare in Cielo un’anima ogni volta che le veniva scattata una fotografia!”Nel chiedere era intrepida.

E a quel giornalista che le rivolgeva una domanda paradossale. Se Madre Teresa avesse mai pensato che tutto quello che faceva lei, le sue suore, i suoi missionari, i suoi volontari, per dare sollievo alle pene dei poveri difficilmente non sarebbe riuscita a debellare la povertà sulla faccia della Terra, rispose con un sorriso disarmante ed una profonda determinazione:

Che era ben consapevole che tutto quello che facceva lei, le sue suore, i suoi missionari, i suoi volontari non era  che una goccia nell’Oceano.

Ma senza tutto questo l’Oceano avrebbe avuto una goccia in meno.

Parole che, anche oggi, meritano una riflessione profonda.

 

(1) http://www.asianews.it/notizie-it/Madre-Teresa,-la-guerra-in-Libano-e-il-salvataggio-di-100-bambini-disabili-e-orfani–38470.html

(2) https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_20031019_madre-teresa_it.html

(3) “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” (cfr Mc 15, 34 // Mt 27,46)

TAG:
CAT: India, relazioni

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