Verde? Forse, no, chissà. Verdastro

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3 Dicembre 2022

Il nostro ineffabile capitano, tornato a fare il vicepremier con in più la delega alle infrastrutture ama fare come sempre le sue dichiarazioni spaccone. Non riesce proprio a farne a meno, è più forte di lui.

Adesso vien fuori che il Ponte sullo Stretto sarebbe l’opera più green della storia. Forse perché lo dipingeranno tutto di verde, poi gli uccelli lo eviteranno, non ci andranno a sbattere, mica sono scemi gli uccelli.

Lo dicono gli studi.

Io, prima di dire una cosa del genere, però, farei qualche considerazione sul celebre ciclo vitale di un oggetto, qualsiasi esso sia. Il ciclo vitale, per chi non lo sapesse, comprende tutto ciò che quell’oggetto implica quando lo si inserisce nella realtà, dal momento in cui viene progettato fino al momento della sua distruzione e dell’eventuale riciclo dei materiali di cui è fatto. Se non si conosce questo piccolo particolare non si può dire che sia a impatto zero o zero vigola cinque o trenta o quanto volete voi.

Il ciclo vitale di un ponte come quello che si vorrebbe costruire sullo Stretto di Messina è qualcosa di spaventoso, ma non credo che al Capitan Fracassa sia mai passato per il capo, proprio perché è inimmaginabile per le persone abituate a nutrirsi di slogan e basta. Io so che il sogno segreto del capitano sarebbe quello di farsi un selfie col ponte sullo sfondo e un’arancina in mano, indossando una maglietta o una felpa colla Gomma del Ponte (le lastrine alla menta degli anni ’60) e poi farne cartoline da mandare a tutti i rosiconi, come li chiama lui. Chissà se lo realizzerà.

Il ciclo vitale del Ponte sullo Stretto comincia dai progetti.

Per fare dei progetti ci vogliono degli studi geologici, saggi, plastici, modelli, che vanno messi a confronto e che, per la loro realizzazione, oltre alle parcelle degli ingegneri, significano ore di lavoro al computer, in studi specializzati, laboratori di fisica, che oltre al consumo umano vero e proprio, ossia di quanto consumano quelle persone per compiere quegli studi, tipo il tragitto in auto da casa al laboratorio o al sito per fare i sondaggi, quanto consuma quell’auto, o quel treno o quella bicicletta che useranno i tecnici, gli operai, gli impiegati, quanto hanno consumato gli strumenti per fare quelle analisi, sul luogo e a casa, e così via. Perché, per chi non lo sapesse, i computer succhiano energia, i sensori vanno piazzati, i laboratori sono strutture che hanno bisogno di luce, personale, imprese di pulizia, eccetera. I software hanno bisogno di aggiornamenti, che costano, e questa energia, per essere prodotta ha un inevitabile impatto ambientale, dovunque si trovino le strutture, anche se stanno in Albania per risparmiare. Questo è solo l’impatto, parziale, dell’avviamento del progetto. Di certo ci saranno vari dettagli inevitabili, di corollario, che qui non ho ricordato perché ce ne sono molti altri da ricordare e che sono più evidenti.

Una volta che il progetto è compiuto, viene presentato in pompa magna al governo – che significa, anche qui, spostamento di persone alla sede centrale, con relativi consumi– dove si discute se un progetto è migliore di un altro; in genere dovrebbero essere persone competenti che valutano i pro e i contro, perché in ogni cosa ci sono i pro e i contro. Se ci sono delle modifiche al progetto originale, bisogna tornare in laboratorio e rifare alcune cose, per poi ripresentarle. Come per l’avviamento al progetto, ci saranno studi, analisi, saggi da effettuare nuovamente sul sito fisico e altre giornate passate ai computer e all’aria aperta per i calcoli, con relativi costi energetici.

Facciamo finta che la fase preliminare sia finita qui, io la sto semplificando.

Volgiamoci adesso al momento dell’esecuzione. Innanzitutto bisogna preparare il terreno e il fondo marino per porre i basamenti di un’opera tanto colossale. Si sbancano quindi le colline sopra Messina e sopra Villa San Giovanni, onde poter appoggiare i grandi pilastri di cemento e metallo che reggeranno il ponte. Ciò comporta un inimmaginabile traffico di macchinari, camion, gru che, per funzionare, hanno bisogno di energia, che sia a gas, a petrolio, a gasolio, o elettrica non importa, l’energia necessaria sarà tanta. Questo visto solo dal punto di vista energetico dei macchinari, col conseguente inquinamento. Non sappiamo cosa succederà durante i lavori, ossia l’affioramento di sorgenti sotterranee, frane, scoperte di materiale archeologico, varie ed eventuali. Oltre alle polveri sollevate dai lavori che si diffonderanno nell’aria di una delle zone a più alta densità abitativa d’Italia. Tutto viene calcolato senza imprevisti.

I Pantani di Ganzirri, splendide oasi a Capo Peloro

 

Mettiamo da parte l’impatto ambientale su colline argillose e friabili come quelle che circondano Messina, dove qualche anno fa c’è stato il disastro di Giampilieri, è solo un dettaglio. Molte di queste colline sono rivestite da pinete, che sono un bel polmone verde per la città e per il mondo in generale. Ovviamente per fare queste piattaforme che ospiteranno pilastri, strade, ferrovie, svincoli, caselli, parcheggi, aree di ristoro, distributori di carburante, gli alberi dovranno essere sradicati o eliminati, va da sé. Si avrà comunque una desertificazione di quei luoghi. Desertificazione vuol dire che in quei luoghi cementati le piante non ci saranno più e, per di più, queste superfici impermeabili serviranno come scorrimento alle acque meteoriche, che aumenteranno di velocità e si riverseranno a cascata attraverso dei doccioni, i quali inevitabilmente le scaricheranno fuori dalla struttura, e, altrettando inevitabilmente, per la forza di gravità, saranno attratte verso il mare. Non so trascinando cosa con sé, quello che incontreranno sul loro cammino. E anche questo ha un impatto energetico, che si voglia o no. Sicuramente ho dimenticato qualcosa, d’altro canto non sono un ingegnere, però, conoscendo la morfologia di quei territori, cerco di fare funzionare un po’ la logica, a differenza degli esaltati del ponte über alles.

Il cantiere avrà bisogno, per le centomila persone che vi lavoreranno, secondo quanto racconta il capitano di ventura, di strutture adeguate per ospitarle. Centomila persone in più sul territorio, oltre agli abitanti, che sono già abbastanza per una striscia di terra esigua come quella che circonda Messina, significano alloggi, mense, servizi igienici, eccetera, ossia un’altra città stabile in loco per almeno dieci anni. Centomila persone, che non saranno tutte provenienti da Messina o Reggio Calabria, che mangeranno, pisceranno, cacheranno, si laveranno, e faranno molte altre cose, consumando energia e, inevitabilmente, inquinando.

Consumeranno sicuramente molto di più ma non voglio considerare, al momento, altri consumi supplementari oltre a quelli basici, perché non voglio infierire. Limitiamoci a questi consumi che mi paiono abbastanza. Anche quelle persone faranno parte del ciclo vitale.

Per costruire il ponte ci vogliono molti materiali, che possono essere il cemento, il ferro, l’acciaio, le plastiche, le vernici, varie ed eventuali.

Per produrre questi materiali ci vorranno fabbriche, acciaierie, cave di pietra, anche lontane dalla Sicilia, magari, perché certi manufatti costeranno meno se prodotti altrove e oggi si tende a risparmiare sempre, anche a discapito della qualità. Per fare arrivare questi milioni di tonnellate di materiali in loco e per montarli occorreranno mezzi meccanici, camion, auto, navi, treni e ogni altro possibile, con relativi consumi di carburante e relativo inquinamento, non necessariamente prodotto in loco ma certamente da qualche parte del mondo, che si aggiungono ancora ai precedenti.

L’estrazione del ferro ha un procedimento lungo e macchinoso, che avviene per lo più in altri paesi come Cina, India, Brasile e molti altri, dove chissà quali sono le condizioni dei lavoratori che lo estraggono e chissà come verranno trattate le scorie. L’estrazione ha un ciclo vitale tutto suo, in questo caso un sottoinsieme del ciclo del ponte. Inoltre la lavorazione dei metalli, delle plastiche eccetera implica il fuoco, che, come si sa bene, o almeno si dovrebbe immaginare, implica a sua volta un consumo di qualcosa che faccia bruciare codesto fuoco e portarlo a temperature elevatissime in grado di lavorare i materiali. Poi bisognerà stamparli, produrre i bulloni di un certo diametro, le viti, i cavi, i tiranti che reggeranno il ponte sospeso, le vernici resistenti al sole, all’acqua, al sale, al vento forte che spira sempre tra i due mari, ai fulmini (vedi cosa è successo al ponte Morandi), eccetera. Energia in quantità inimmaginabile, che si aggiunge, ça va sans dire, a quella utilizzata precedentemente.

Nel frattempo, nel fondo marino, la flora e la fauna (e forse le correnti) saranno sconvolte dai lavori per costruire questi immensi piedi che reggeranno la struttura. Cola Pesce farà di tutto per scacciarli, ma dovrà arrendersi prima o poi e lasciare il passo ai nuovi pilastri che reggono Capo Peloro con sopra tutti i monti Peloritani. Scilla e Cariddi non saranno contente nemmeno loro perché il loro campo d’azione sarà profanato. Inoltre, naturalmente, bisognerà considerare l’energia necessaria per preparare i fondali e scavare, scavare, scavare.

Adesso facciamo finta che il ponte, dopo tutti questi anni di lavori, consumi e stravolgimenti, sia finito. È già un gran bell’impatto, dopo tanto tempo, e ancora non c’è stato alcun ritorno economico per il Paese.

Tra le tante cose da fare, bisognerà illuminarlo ’sto ponte, no? Ecco: la quantità di elettricità per illuminare e nutrire strade, sottopassaggi, ferrovia, caselli, svincoli, sarà più o meno quella necessaria per far andare avanti una città piccola. Ah, già, non abbiamo detto come si produce l’elettricità in Italia. Da quelle parti non ci sono centrali idroelettriche, quindi sarà necessario ricorrere a combustibili fossili. Immaginiamo la quantità di combustibile necessaria per produrre tutta quell’energia elettrica. Che si aggiunge a quella precedente e a quella già necessaria per una città come Messina. Molto green, non c’è che dire, è la parola giusta.

In tutto questo tempo che il ponte è stato in costruzione i traghetti avranno continuato il loro carontico lavoro, producendo senza dubbio un certo inquinamento, va da sé. Che si accumula sul precedente.

Ma il bello arriva adesso.

Una struttura come questa avrà bisogno di una manutenzione costante perché sennò il fantasma del Ponte Morandi potrà ripresentarsi in pompa magna e con stragi maggiori, tutto in scala: O capitan, c’è un uomo in mezzo al mare, O capitan, venitelo a salvare… E la manutenzione avrà dei costi spaventosi, oltre che continuare ad avere un forte impatto ambientale tutt’altro che green.

Il prezzo dei biglietti per attraversare il ponte sarà certamente assai elevato, forse anche più caro di quello che si paga per gli attuali traghetti e il traffico che si prevede per il tragitto include il fatto che quei veicoli in transito siano inquinanti per produzione di fumi dei carburanti e polveri sottili, prodotte dalle gomme sull’asfalto, dalle particelle di metallo della ferrovia, eccetera che il vento farà cadere in mare o sulle città sottostanti. Greenissimo.

Ah, avete ragione, il meglio mi scordavo: il sito è uno dei più sismici d’Italia e dell’intera Europa. Non si sa se resista a un terremoto come quello del 1908 o più potente, perché è da mettere in conto, nonostante i calcoli fatti da ingegneri e computer. Ma come, direte voi, c’è a San Francisco, c’è a Istanbul, sul Bosforo, pure quelle terre di terremoti catastrofici. Ma il Golden Gate lo fecero nel 1937 e a San Francisco non c’è stato più un terremoto come quello del 1906, mentre l’altro ponte, il Bay Bridge, è andato giù col terremoto del 1987, e a Istanbul non c’è stato più un terremoto così forte dopo quelli del 1766 e del 1894. Inoltre il ponte sul Bosforo, costruito nel 1973, è lungo la metà di quanto lo sarebbe il Ponte di Messina.

Ironica immagine del crollo del plastico

Nel frattempo, durante la costruzione, ci sarà anche lo smaltimento di tutte le scorie, di tutti i rifiuti che questa ciclopica costruzione produrrà, dalla posa della prima pietra a fin dopo l’ultimazione. E arriverà anche il momento della sostituzione di parti deteriorate (e del loro smaltimento), che sarà fatto secondo criteri che non conosco, magari l’IA avrà risolto anche questi problemi.

Tutto questo traffico che si snoderà su strada e su ferrovia attualmente avviene sui traghetti, i quali certamente inquineranno anche loro, ma le auto e i camion a bordo viaggiano a motore spento, percorrendo lo stesso tratto di mare senza inquinare alcunché. Tragitto che, da Villa San Giovanni a Messina, oggi dura all’incirca venti o venticinque minuti, più altri dieci, mettiamo quindici o venti se c’è traffico normale, per raggiungere le autostrade. Quanto potrà durare il tragitto sul ponte futuro? Restando ottimisti, tra biglietto, coda, entrata e uscita, sui dieci o quindici minuti. Bizzarro, no? Toh! Ma se c’è il traffico straordinario, ossia in stagioni o periodi turistici, allora le medesime code che si creano in attesa del traghetto si produrranno anche ai caselli d’ingresso o d’uscita del ponte, bloccando tutto. Dite che sono ottimista? Potrebbe andare peggio? Sì, potrebbe. Mettiamo che una carreggiata sia in riparazione e che quindi il traffico si svolga su una carreggiata a doppio senso e magari in stagione di traffico intenso, con camion e turisti che condividono l’angusto spazio. Ecco il peggio. Chi si troverà sul ponte rimpiangerà Caronte.

Il mio è un breve, brevissimo riassunto del ciclo vitale del Ponte sullo Stretto, che così tanto green sembra al capitan de’ capitani, poverino, e ai fanatici che pensano che costruire un ponte sia una bazzecola, tanto si mandano gli uomini sulla Luna cosa vuoi che sia fare il Ponte sullo Stretto. Potete immaginare anche voi l’impatto, quello vero, che ci sarà sul territorio e il relativo inquinamento, la distruzione di interi ecosistemi già a rischio.

Il ciclo vitale va calcolato per ogni infrastruttura, da una stazione di treni a un parcheggio, da una caserma a un luna park, da un porto a una portineria. In realtà i consumi saranno sicuramente maggiori perché io ho tralasciato sicuramente vari dettagli, non essendo un ingegnere né un tecnico (come non lo è il Capitan Fracassa). L’impatto ambientale varia da opera a opera, è chiaro. Di certo quello causato da questa, colossale, sarà notevole e assai poco verde. Verdissimo è stato l’impatto che, col famoso condono di Ischia, sottoscritto da Cinque Stelle e Lega quand’erano al governo, ha dimostrato come l’abusivismo, alla lunga, provochi disastri. Forse il verde, che è il colore della Lega, ha fatto confondere il capitan.

Panorama notturno dello Stretto dal Monte Dinnammare

 

Certamente, visto su un plastico, magari animato da macchinine e trenini, come se fosse un presepe, il ponte potrà risultare anche carino. E sono sicuro che i nostri politici lo hanno visto realizzato in miniatura e se ne sono innamorati perché ricordava i loro plastici meno sontuosi di quand’erano bambini e giocavano coi trenini.

L’entusiasmo che il capitanissimo esibisce, oggi, parlando del Ponte sullo Stretto, non esisteva affatto nel 2016, come dimostra un video di un suo intervento a L’Aria che tira, su La7, anzi colui ne era un convinto detrattore. Ma siccome adesso è il ministro delle infrastrutture è avvenuta la metamorfosi. Sembra che colui voglia legare il suo nome – che, probabilmente, visto il declino verticale del partito da lui capitanato, resterebbe tra le cose più volentieri dimenticate dai posteri – alla prima pietra del Ponte sotto il suo mandato. Magari ci sarà il dono di uno scultore che realizzerà una statua del Capitanone che regge in mano un’arancinone all’ingresso o all’uscita del Ponte, per ricordare le sue gesta. Un passaporto per l’eternità, insomma.

Nel frattempo le scuole, gli ospedali, le strade e le urbanizzazioni di Calabria e Sicilia soffrono perché nessuno risolve i problemi, ma per il ponte si spendono miliardi.

Prima che inizino i lavori che produrranno uno sfacelo, consiglio a chi può di andare a visitare le colline sopra Messina e la litoranea, dove ci sono i pantani di Ganzirri, per godersi i panorami, tra i più belli della Sicilia. Dopo, non sarà più così.

Buona camicia di forza a tutti.

 

 

 

 

TAG: calabria, ciclo vitale, green, impatto ambientale, Ponte morandi, Ponte sullo stretto di Messina, salvini, Sicilia, terremoto
CAT: infrastrutture e grandi opere, Messina

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