SFScon 2021: Intervista a Davide Ricci di Huawei

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15 Novembre 2021

Davide Ricci, direttore dell’Open Source Technology Center (OSTC) di Huawei, ha aperto la SFScon 21 al Noi-Techpark di Bolzano presentando il progetto Oniro, legato a Open Harmony – che aveva già presentato durante l’edizione 2020 della conferenza.
Lo abbiamo incontrato per capire meglio di cosa si tratta e ci siamo trovati a parlare soprattutto di sostenibilità e protezione dei dati.

Raccontaci di Oniro e Open Harmony…
Il 26 ottobre di quest’anno l’Eclipse Foundation ha annunciato il progetto Oniro. Il progetto Oniro mira a costruire un ecosistema industriale – e la tecnologia annessa – di dispositivi di consumo e di consumo IoT. Quindi per fare un esempio pensa alle lavatrici intelligenti, lavastoviglie intelligenti, frigo, televisione, tutto ciò che oggi in casa ha un funzionamento più o meno smart ma in realtà non è particolarmente smart perché ogni fornitore lo costruisce in maniera diversa. L’idea è invece di standardizzarli, creare una baseline comune. Il motivo per cui oggi questi dispositivi sono costruiti in maniera simile ma diversa è perché non esiste nessun ecosistema, nessuna piazza o forum dove questi panel industriali possano parlare e confrontarsi. Questa cosa mancava come ecosistema aperto. Il valore del progetto dell’Eclipse Foundation, quindi, è di garantire una sorta di open governance, una sorta di “nazioni unite” dove i vari fornitori di dispositivi e player di mercato possono parlare apertamente, possono collaborare. Ovviamente un ecosistema è ricco se ogni player poi riesce a farne profitto, però se non altro si può iniziare a standardizzare quella parte non competitiva che è il sistema operativo e la collaborazione dei dispositivi. Qual è il problema del mondo dell’IoT al giorno d’oggi? Che l’architettura IoT è principalmente non controllata, non governata ed è guidata dalla monetizzazione dei dati dell’uso dei dispositivi e dei comportamenti delle persone nel cloud. I dati insomma: questo è ciò che li guida. Siccome i cloud provider sono due o tre, succede che chi fornisce i dispositivi non fa altro che fare da veicolo ai dati verso la cloud con cui è in accordo. Per cui non c’è nessun incentivo a costruire questa tecnologia collaborativa in basso perché comunque la monetizzazione dei dati avviene presso il cloud di qualcun altro. Per esempio Bosh ha costruito la propria cloud per evitare di sottostare a queste politiche. Quindi occorre riequilibrare un attimino la monetizzazione, ridistribuire in maniera equa le risorse in modo che si possano trovare metodologie di monetizzazione che non siano necessariamente monetizzazione dei dati ma siano per esempio servizi a valore aggiunto, che sono possibili soltanto quando questa tecnologia è condivisa. Voglio dire: è più facile costruire delle alliance se la tecnologia è condivisa, e al giorno d’oggi questo non è possibile.

E Open Harmony?
Dicevamo che il 26 ottobre è stato annunciato questo progetto. Ora, per quanto riguarda Open Harmony, diciamo che Huawei si è trovata di fronte a questo problema già un paio di anni fa. Di fronte al fatto che il mercato di consumer dovrebbe essere aperto e di fatto aperto non lo è. Per cui ha detto, bene, cosa faccio? Risolvo il problema con la mia tecnologia e creo un altro frammento come la Apple o Google per cui tutto funziona bene con i miei dispositivi, o invece dal punto di vista del business ho più successo e valore se cerco invece di creare un sistema aperto? Ci vorrà un pochino più di tempo ma nel peggiore dei casi finisco per ottenere lo stesso risultato che se avessi perseguito la mia via chiusa e solitaria; nel migliore invece un ecosistema aperto consente a me come fornitore di dispositivi primo, di avere meno rischi e di avere un costo condiviso delle innovazioni, secondo di forgiare partnership o possibilità di business con più aziende in giro per il mondo, e ovviamente apro l’ecosistema che al giorno d’oggi è chiuso. Quindi Huawei si è inventata il concetto di Open Harmony. Nella cultura cinese “harmony” è un concetto molto importante perché vuol dire armonia, la ricerca del non-conflitto, della risoluzione in maniera pacifica. E quindi il brand Open Harmony viene utilizzato principalmente per l’ecosistema Cinese. Per l’ecosistema non cinese è stato necessario creare il progetto e darlo a un’altra fondazione, appunto l’Eclipse Foundation.
Per cui tu hai queste due Open Source Foundations: l’Open Atom Foundation in Cina con il brand Open Harmony e l’Eclipse Foundation nel resto del mondo con il brand Oniro, e queste due foundation collaborano.

Come mai non possono essere un’unica Foundation?
Perché, realisticamente parlando, non c’è mai stata nessuna Foundation nel mondo che è riuscita a creare un progetto open source e ad avere una uguale collaborazione e partecipazione di tutte le geografie. Non è mai stato così. Quello che succede è che hai un paio di aziende che dominano, prendi la Linux Foundation, e le altre che seguono. Quindi la partecipazione è di due, tre o quattro e il consumo è di tutto il resto. E uno dei motivi principali è che la lingua è ancora una barriera. Non solo le distanze geografiche ma anche la lingua. Per cui se un ecosistema si comporta e parla principalmente in mandarino e in cinese è difficile aspettarsi che una Bosh o una Phillips partecipino a quel sistema perché loro lavorano molto in cinese nell’ecosistema cinese. Allora ci si è detti, come facciamo ad abbracciare tutto il mondo e dare valore alla diversità? Ed è stato necessario creare questa collaborazione tra le due Foundation, che è unica. Oggi durante la presentazione dicevo: ok, ma se il mio obiettivo è creare tutti questi dispositivi che abbiano sopra un bollino che certifica che collaborano fra di loro, come faccio a fare in modo che non si crei frammentazione, che non ci sia divergenza? Come faccio a evitare che le implementazioni poi siano diverse? Allora, il concetto è che le due Foundation non solo promuovono questo progetto nelle rispettive aree di influenza ma lavorano anche a una specifica comune. C’è un ente che crea la specifica, tutte le aziende partecipano e poi ogni azienda si certifica. Quindi tu avrai le due Foundation che lavorano a questa specifica di compatibilità così che se io compro un dispositivo fatto in Germania con un’applicazione fatta in Cina funzionano, e le varie aziende, che partecipino nell’ecosistema cinese o europeo, hanno la possibilità di creare la loro implementazione secondo questa specifica. A questo punto le Foundation si faranno promotrici di fornire i diritti per l’utilizzo del logo: vedono che sei compatibile con la specifica, i test lo dimostrano, e ti forniscono la possibilità di utilizzare questo logo sui tuoi prodotti.
Questo è il concetto. Si farà più fatica perché sono due fronti ma è l’unico modo di costruire una cosa che sia globale.

Saranno tutti devices nuovi o si potranno riutilizzare quelli che già esistono?
Allora, questa è una bellissima domanda: in realtà la tecnologia che viene utilizzata, la base del progetto, funziona ed è già implementata nei dispositivi che trovi in commercio oggi perché in generale si inventa poco di nuovo, si cerca di utilizzare ciò che già c’è per essere più veloci nel farlo. Quindi tecnicamente nulla vieta di prendere un dispositivo in commercio oggi e tra un anno prendere Oniro e mettercelo sopra facendo un upgrade. Ma dipende perché magari questi dispositivi in commercio oggi non sono stati forniti degli strumenti per essere aggiornati. Per cui è molto più plausibile pensare che dispositivi magari simili ma con Oniro a bordo saranno venduti a partire da un certo periodo. Sono poche le aziende che prevedono già la possibilità di aggiornamento. Quelle che lo prevedono, nulla vieta che possano installare Oniro, le altre dovranno portare Oniro su nuovi dispositivi di mercato.

In questi giorni qui alla SFScon si sta parlando molto della sostenibilità, di riutilizzo, non vale anche per i device?
Dipende. Sai, fra i dispositivi che hai in casa per alcuni è stata prevista già dal produttore la possibilità di essere aggiornati, altri sono destinati all’obsolescenza e spesso è più semplice e meno costoso per te andarlo a cambiare o per loro dartene uno nuovo. Sono problematiche grosse. Quando rendi un dispositivo aggiornabile, automaticamente ti stai prendendo la responsabilità di doverlo tenere aggiornato e protetto dalle falle di sicurezza e questo comporta un investimento dal punto di vista della manutenzione. Infatti molte aziende dicono: io non te lo faccio aggiornare perché se lo aggiorno devo improvvisamente investire 10, 15 ingegneri per la manutenzione. È per questo che il progetto Oniro lo farà. Gli aggiornamenti saranno uno all’anno, e l’idea è di mettere tre anni di manutenzione inclusi nel progetto per consentire ai produttori – che finora non l’hanno fatto proprio perché era un ostacolo economico – di dire: se io uso Oniro il progetto si fa carico in maniera condivisa del costo della manutenzione, quindi mi conviene. E questo porterà i dispositivi a essere aggiornabili e quindi meno buttati ma riciclati e riutilizzati.

Anche perché il riciclo dei materiali è difficilissimo.
Bisognerebbe separare tutto, il condensatore, il processore, la plastica dal metallo dal piombo. Si buttano ma il riciclo non avviene.

Parliamo di Huawei… con loro lavori in cinese? E in generale, essendo tu stato anche da Intel che è americana, che differenze ci sono?
Huawei è un’azienda molto particolare, non te lo aspetti ma è molto più aperta ad abbracciare le varie realtà locali di quanto lo siano le aziende americane che invece tendono ad avere una visione centralizzata: “sono un’azienda americana, ho vendite globali e le decisioni sono centralizzate”. Con Huawei le decisioni sono anche distribuite. Per cui, se strategicamente è importante creare un progetto open source che lavori nel mercato europeo e nord americano, costruiscono la struttura in modo che sia autonoma e indipendente. In particolare nel mio progetto, e questo è il modo in cui lavorano, per essere sicuri che funzioni viene assegnato un ufficiale di collegamento che è a bordo del progetto, supporta il progetto ma è lì per fare in modo che le due facce della medaglia riescano a comunicare e siano sempre connesse. Quindi loro costruiscono autonomia e indipendenza ma ti consentono di rimanere sempre connesso attraverso questa sorta di collegamento. Per cui noi lavoriamo esclusivamente in inglese. In particolare il mio team è tra l’Italia, la Germania, la Polonia, la Finlandia… è distribuito, quindi si lavora da remoto e in inglese. L’ufficiale di collegamento parla inglese alla perfezione e si occupa di aiutarci a essere sempre connessi strategicamente con la direzione.

Come lo vedono l’open source, le aziende?
L’open source è accettato da molte aziende come male necessario, per risparmiare sui costi, ma non è visto come valore aggiunto perché molti non riescono a capire come fare a prendere questa bestia in cui non c’è proprietà intellettuale che si possa difendere con dei brevetti e valorizzarla. Però è una visione un po’ antica, legata all’idea che io vendo questo, un oggetto specifico, che posso toccare. È un po’ una rivoluzione culturale. Il successo dei meccanismi as a Service (SaaS) del cloud è stata un po’ una risposta dell’industria del software. In un certo senso si sono dette: Ah, c’è l’open source; l’Open Source in qualche modo rende la mia proprietà privata come un neo negativo; per cui se non riesco a monetizzare la proprietà intellettuale pubblica, sai cosa faccio? Io ti do tutti i miei dispositivi in open source, ti veicolo i dati in una cloud che è in mio possesso e all’interno c’è la mia proprietà intellettuale. Questi non sono altro che modi per bypassare il meccanismo e spostare il valore aggiunto da qualche altra parte che non sia la proprietà intellettuale. Questo è positivo perché vuol dire che per i software e i dispositivi non c’è nessun motivo per cui non debbano essere aperti se è vero che il business è spostato da un’altra parte, non nella vendita di questo oggetto ma nella monetizzazione dei dati. Però tutto ciò non ha contribuito a far crescere la mentalità delle aziende che ancora non hanno fatto a tempo a capire, a comprendere.

Però è una strada necessaria, che non si può non intraprendere?
Assolutamente sì. È bellissima la presentazione che è stata fatta in apertura che parla della monetizzazione del dato. Prima si monetizzava l’IP, poi l’algoritmo, ora si monetizza il dato, e gli algoritmi che analizzano i dati sono chiusi. Ora nessuno si sognerebbe di vendere un dispositivo perché il software che c’è a bordo è meglio di quello di un altro dispositivo: si tratterebbe sempre di un vantaggio temporaneo, 6 mesi, 9 mesi massimo. Per cui ormai la maggior parte dei dispositivi hanno sistemi open source a bordo e la proprietà intellettuale viene o spostata sull’hardware oppure sui servizi cloud che raccolgono i dati.

Quindi la monetizzazione dei dati è un trend che continuerà?
È un trend che continuerà, purtroppo. Continuerà perché rende tutti noi un prodotto.

Servono a costruire poi prodotti “adatti” al consumatore.
Non adatti al consumatore… servono a percepire e analizzare quelli che sono gli algoritmi predittivi dei comportamenti dei consumatori per fare in modo di indurre comportamenti.
I nostri dati, se ci pensi, oggi non sono controllati, ogni volta che prendiamo il telefono o compriamo un oggetto e lo mettiamo a casa in realtà firmiamo clausole… questo è un argomento lunghissimo. Il progetto Oniro sta cercando anche un attimo di ridistribuire e riequilibrare la cosa, in modo che i dati rimangano all’interno della casa e non debbano andare necessariamente nel cloud. Questo è un concetto. Si spera di riuscire piano piano a riequilibrarlo.

E perché vi conviene?
Conviene prima di tutto all’utilizzatore finale.

Questo è chiaro. Però i miei dati non li do nemmeno a voi, non li do a Oniro, restano miei.
Esatto, rimangono a livello del dispositivo.

Quindi perché conviene a voi a di Oniro?
Allora, Oniro ha diversi destinatari a cui si rivolge. Primo, ai produttori di dispositivi che sicuramente al giorno d’oggi si trovano a minimizzare i profitti perché come dicevo i produttori di cloud sono pochi. Secondo, all’utilizzatore finale. E non si vende se l’utilizzatore finale non vuole il progetto. Se tu costruisci il progetto a protezione dei dati e della sicurezza dell’utilizzatore finale costruisci valore per lui e il produttore di dispositivi vede che il consumatore tira verso questa direzione. Per cui il progetto si pone da entrambi i lati. Il fornitore del dispositivo sta spendendo soldi in maniera sciocca perché il mercato è frammentato; sta dando profitti alle cloud altrui perché non ha la sua cloud; è in una situazione difficile dal punto di vista della monetizzazione. Per quanto riguarda l’utente, con questo meccanismo non ha il controllo dell’utilizzo dei dispositivi, non ha il controllo di chi fornisce i servizi cloud e non è sicuramente data-centric, privacy-centric e security-centric. Quindi, utente finale: ti costruisco Oniro in modo che le comunicazioni con la cloud siano solo quelle necessarie. Quindi lo costruiamo in modo che i tuoi dati siano pro-privacy e pro-security, ti piace? Sì. Fantastico. Fornitore del dispositivo, costruisco Oniro in modo che tu abbia più efficienza, risparmi, ti costruisci una baseline, e lo facciamo in modo che l’utente finale voglia acquistare i prodotti che hanno Oniro a bordo. Ti piace? Sì. Perfetto.
Insomma devi giocare su entrambi i lati.

Questo quindi potrebbe rallentare la “fuga” di dati?
Sì, questo è l’obiettivo: porre un po’ tutto sotto controllo, perché se non lo governi è pericolosissimo. È qualcosa che tocca gli aspetti della vita di ognuno di noi e il nostro comportamento lo stiamo costruendo indotti da un sistema di monetizzazione che ci pone sotto quel controllo lì. Quindi necessariamente bisogna riportare tutto ciò sotto controllo e non può farlo un’azienda sola. Lo possono fare solo tante azienda insieme. Stiamo assistendo al social media 4.0, l’IoT è il prossimo grande problema perché non è veicolato, non è governato, va molto più veloce di quanto siano veloci gli organismi politici nel costruire leggi di salvaguardia.

TAG: davide ricci, huawei, NOI Techpark, oniro, SFScon
CAT: Innovazione, Internet delle cose

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