Servizi al lavoro: un “modello Milano”

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11 Gennaio 2016

Il “lavoro” è un argomento di dibattito e scontro politico tanto pervasivo quanto, spesso, aleatorio. Da tempo, poi, vuoi perchè il tema è largamente appannaggio di esperti di diritto, vuoi perchè l’Italia è notoriamente un groviglio inestricabile di cavilli e lacci, le politiche del lavoro sono pressochè fatte coincidere con le “riforme” – quando non “grandi riforme” – di tipo legislativo. E questo, per quanto tutti sappiano che, al di là del pur significativo aspetto normativo, le politiche per il lavoro sono parte delle politiche economiche di un paese; minimo, di un paese.

In questo ambito, in ogni caso, ognuno fa il suo mestiere; allo Stato spetta la politica economica, alle regioni un ampio spettro di competenze delegate, ai livelli istituzionali sottostanti, specie dopo l’abolizione delle province, e anche per la costante flessione delle risorse disponibili, apparentemente poca roba.

Apparentemente, poca roba. Perchè in realtà gli enti subentrati alle province e i comuni sono il primo baluardo di fronte al bisogno o addirittura al malessere delle comunità, e quindi hanno l’esigenza di operare, coordinare soggetti economici e sociali, ed eventualmente attuare o sperimentare politiche di scala territoriale.
Uno degli strumenti a disposizione di questi livelli di governo, su cui peraltro ricadono una serie di funzioni dai livelli superiori, sono i “servizi al lavoro”, che nel passato hanno più volte cambiato nomi e prerogative, ma spesso non la propria discutibile fama derivante, quando va bene, dall’essere interfaccia del cittadino in una fase acuta di malessere e, quando va male e specialmente in alcune zone del paese, dall’essere luogo di spreco e inefficienza burocratica.

Nell’ultimo periodo i servizi al lavoro nella provincia di Milano hanno subito una radicale trasformazione. Questo sistema nel tempo si era imperniato su una serie di agenzie che gestivano, oltre ai primi servizi all’impiego, pure strutture di educazione e formazione professionale (scuole, corsi, ecc.) e politiche attive del lavoro. Le agenzie erano autonome l’una dall’altra, partecipate dalla provincia e pro quota dalla quasi totalità dei comuni, e coprivano tutto il territorio; ad aumentare la frammentazione, inoltre, per non sempre comprensibili scelte politiche passate, il Comune di Milano, evidentemente rilevante per dimensioni e risorse, era rimasto fuori dal sistema, mantenendo in autonomia propri servizi e uffici.
Va detto che, per quanto l’area milanese vanti una tradizionale e secolare esperienza nell’ambito delle politiche attive del lavoro, negli ultimi anni la gestione controversa di tali enti aveva allargato un’ombra non solo sull’efficienza, ma pure sulla loro utilità; ombra fatta plumbea pure da un mainstream che vede nel mercato il solo medium tra domanda e offerta di lavoro, e vuole gli operatori privati come unici e più utili strumenti di intervento.

In alcuni periodi, tuttavia, avvengono cambiamenti che modificano radicalmente la realtà che ci circonda e in cui operiamo. E, ora, siamo evidentemente in uno di tali periodi. La fondazione della città metropolitana è una innovazione che ha cambiato completamente lo scenario istituzionale dell’area milanese. Nel settore lavoro, poi, il “jobs act”, che certamente può essere valutato in molti modi, ha segnato una sensibile cesura rispetto al passato.
In tali momenti si possono fare due cose: attendere la nuova situazione, oppure cercare di anticipare i tempi: insomma cercare di incidere sulla realtà che ci coinvolge. Alla luce di queste considerazioni, quindi, anticipando lo scioglimento della Provincia e la costituzione della, finora sfortunata, Città metropolitana, un anno e mezzo fa si è avviato un ambizioso progetto di riordino e riforma di tutto il sistema di agenzie territoriali. Le cinque operanti nel milanese, infatti, hanno condotto un processo di fusioni cui si è accompagnato l’ingresso del Comune di Milano.

Il riassetto, ora pressochè in dirittura d’arrivo, ha di conseguenza prodotto una grande Agenzia metropolitana di Formazione, Orientamento e Lavoro (AfolMet) con una massa critica per razionalizzare e progettare interventi di politica effettiva nel campo del lavoro e dello sviluppo economico, senza però perdere il radicamento sul territorio in grado di tutelare e anzi promuovere le specificità dei variegati sistemi produttivi locali.

Il riassetto societario è stato fondato su un risanamento gestionale e su un’analisi ponderata dei punti di forza (potenzialmente redditivi) e di debolezza di un’Agenzia che, per dimensioni e presenza sul territorio, potrà fornire servizi efficienti a cittadini, imprese e istituzioni; istituzioni che, per dimensioni e disponibilità di risorse, difficilmente da sole potrebbero sviluppare autonome politiche di reale impatto.

Il riassetto societario, di fatto è stato uno dei pochi effettivi processi di costruzione della Città metropolitana, dato che ha coinvolto circa centodieci comuni, con i propri consigli e giunte. In questa fase, inoltre, l’Agenzia è impegnata a disegnare nuove strategie per il futuro; dentro queste aziende pubbliche, infatti, spesso soffocate da burocratismi e complicate eredità del passato, risiedono know how, professionalità e passione che necessariamente devono emergere ed essere lasciati liberi di sviluppare nuove soluzioni ai bisogni dei cittadini ma pure alle occasioni che presenta un contesto economico e produttivo in rapida trasformazione, come quello di tutta l’area milanese.

Questo è il “modello Milano” per le politiche del lavoro che il Ministro Poletti, in una recente visita ad AfolMet, ha definito e ritenuto di indicare a esempio per tutto il Paese, nel quadro degli orientamenti di riforma del settore.

Naturalmente, la fatica del riordino, della sburocratizzazione e della messa in efficienza di congegni e servizi pubblici risulta meno appariscente di attività più “moderne” e facilmente “notiziabili”, e che più semplicemente incontrano l’interesse immediato dell’opinione pubblica. È normale, quindi, che il dibattito politico si incentri su temi più sexy e di più facile comprensione. Dal momento che si sta aprendo una intensa fase per Milano, in cui prevedibilmente il “lavoro”, per quanto come corollario, emergerà spesso nei programmi e nei confronti, è parso utile accennare a un processo che, da tempo in corso, si avvia a un buon fine.

Anche perchè l’utilità dei temi amministrativi dovrebbe essere commisurata alla loro effettiva o attesa ricaduta sui cittadini; e, val la pena di sottolinearlo, AfolMet con i suoi servizi educativi, formativi, di orientamento e politiche del lavoro, serve ogni anno circa 250mila persone sul territorio metropolitano (150mila su Milano).
L’”innovazione” è pure innovazione istituzionale, e pare valer la pena di difendere e sviluppare il “modello Milano”.

TAG: milanoin
CAT: Innovazione, Milano

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