Perchè nel 2021 serviranno (digital) export manager

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26 Dicembre 2020

Non tutti conoscono Valery Brumel, ma i più sanno che il salto in alto, all’inizio delle Olimpiadi moderne, richiedeva gambe dai muscoli possenti perchè la disciplina era dominata dalla tecnica “ventrale” e questo atleta russo degli anni ’50 ai suoi tempi eccelse proprio grazie a questa sua caratteristica fisica, come ancora oggi è possibile notare nelle foto dell’epoca.
Poi accadde qualcosa: qualcuno, che è bello immaginare con i capelli bianchi e la tuta blu, sostituì la sabbia ed i trucioli di legno su cui un tempo atterrava Brumel con i moderni materassi e, da allora, tutto cambiò.

L’innovazione infatti non è il cambiamento della tecnologia: quest’ultima si evolve per ragioni spesso proprie, indipendenti dal volere di chi se ne serve. L’innovazione è piuttosto data dalle opportunità che si aprono in virtù delle soluzioni che nuove tecnologie consentono ed è quindi frutto non di aspetti tecnici, ma organizzativi e culturali: sono i materassi infatti ad aver consentito all’americano Dick Fosbury di adottare il moderno “salto di schiena” e di innalzare di parecchi centimetri il record del mondo.

Se è lecito attendersi che, nel corso del 2021, le missioni e i viaggi all’estero torneranno per partecipare a manifestazioni e incontrare clienti, è però necessario ammettere che tutto questo avrà luogo in misura ridotta e l’utilizzo del digitale rimarrà, tanto sul piano della relazione con le controparti commerciali quanto sul piano del modello di business con cui sostanziarle.

E questo sarà possibile solo se centrale diventerà la figura del (digital) export manager che, stando alle analisi dell’Osservatorio Export Digitale del Politecnico di Milano, permette di sviluppare una vera e propria strategia di internazionalizzazione attraverso un approccio multicanale.

Immagine 1. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Export Digitale, la presenza dell’export manager in aziende favorisce un approccio multicanale.

Il compito dell’export manager è dunque imparare a “saltare di schiena” ed a sua disposizione ha almeno tre “fili” con i quali servirsi della Rete.

Il primo è un filo “professionale” con il quale individuare e coinvolgere clienti e partner commerciali grazie ad alcune consuetudini:

– cambiare le impostazioni di ricerca di Google (lingua e impostazioni geografiche) per reperire risultati più simili a quanto troverebbe un utente nel mercato nazionale che intende studiare;
– usare l’operatore booleano di Google “related: sito.it” e la funzione Similar Sites del sito Alexa.com per avere una lista di prospect da contattare a partire da un sito benchmark;
– avvalersi di motori di ricerca specifici (es. il “Marketplace Finder” di Lengow.com) per individuare piattaforme locali o verticali, per Paese e per categoria merceologica, all’interno delle quali condurre la propria azienda;
– curare la propria presenza su Linkedin per renderlo un canale di acquisizione e fidelizzazione dei contatti.

Condividere su Linkedin, il principale social network professionale, contenuti inerenti alla propria azienda, ma anche coerenti con gli interessi dei propri contatti così da allargare costantemente il network e renderlo capace di produrre incontri, opportunità di business e relazioni sono infatti attività che, soprattutto in questo momento, possono rivestire un ruolo tanto più significativo quanto più lo scenario è diventando competitivo: in un mondo che è ritornato ad essere distante, Linkedin è la “fiera digitale” adeguata per riprendere ad entrare in relazione con clienti e fornitori

Il secondo è un filo “aziendale” che impegna invece il sito o gli altri ambienti digitali in cui un’azienda è presente: grazie ad esso è possibile proporsi un obiettivo concreto come, ad esempio, la richiesta di un contatto, il download di un catalogo o l’accesso ad un’area riservata. Se si osservano siti come quello di Novellini, l’azienda di arredo bagno di Romanore in provincia di Mantova, si comprende come contenuti tecnici ed ispirazionali siano orientati allo sviluppo di relazioni ed alla creazione di un database di contatti utili sul piano commerciale.

Il filo “digitale”, il più impegnativo soprattutto sul piano internazionale, porta invece a trasformare il proprio modello di business per cogliere le opportunità del commercio elettronico con le relative ricadute sul prodotto, sull’organizzazione e sulle competenze necessarie. Abituati ad Amazon ed agli altri siti di e-commerce pensati per l’acquirente privato, rischiamo di dimenticare il fatto che, nel mondo business-to-business, le vendite online da parte di aziende italiane verso aziende straniere sono nel tempo cresciute fino a raggiungere i 132 miliardi nel 2019 (il 28,5% del totale, fonte Politecnico di Milano): l’automotive (26%), il tessile (14%) e la meccanica (11%) sono i settori che la fanno da padrone, certo all’interno di piattaforme riservate, ma con un crescente ruolo di marketplace verticali e siti aziendali.

Il grande storico meridionalista Gaetano Salvemini, ritornato nel 1949 in cattedra a Firenze dopo l’esilio, iniziò la prima lezione con la frase “Come dicevamo l’ultima volta…” e con queste parole si scrollò di dosso gli anni del Fascismo e della Guerra. Passata questa crisi e depositata la polvere che avrà lasciato, difficilmente sarà però possibile trattarla come una semplice parentesi senza conseguenze tanto dal punto di vista economico che dei comportamenti individuali di ciascuno di noi: ecco perchè è responsabilità di ciascuno di noi attrezzarsi per affrontare la “nuova normalità” con gli strumenti giusti.

TAG: eCommerce, export
CAT: Innovazione, PMI

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