Perché tutte le scuole dovrebbero avere un FabLab (o quantomeno collaborarci)

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3 Luglio 2015

Penso spesso al fatto che uno studente che decide oggi di iscriversi al primo anno di una scuola superiore andrà in pensione all’incirca nel 2060. Cosa si venderà? Come e dove si produrranno i manufatti? Avrà ancora senso chiamarli manu-fatti? Ma la domanda che più interessa a chi si occupa di formazione è ovviamente questa: come dobbiamo preparare i ragazzi che saranno i professionisti di domani?

Le stesse domande, fatte nel 1915, avrebbero avuto risposte probabilmente più certe, ora dobbiamo però adattarci ad una nuova velocità di cambiamento. Per questo ormai da qualche anno la scuola è stimolata a lavorare sempre più sulle life skill, ovvero quelle competenze trasversali che mettono la persona in condizione di affrontare i problemi, professionali e non, di ogni giorno.

Giusto, anzi giustissimo, e per questo ultimamente si sono visti molti tentativi da parte di varie scuole di seguire queste indicazioni con esiti più o meno soddisfacenti, come accade spesso in fase di cambiamento e  sperimentazione. In un mondo che cambia rapidamente stiamo assistendo anche ad un movimento che cavalca il cambiamento, in particolare quello tecnologico e che sta rivoluzionando il settore del “fai da te” (movimento dei maker) e della produzione artigianali (artigiani digitali).

E per “fai da te” non si intende il montare la mensola del salotto in autonomia ma, per esempio, il ragazzino americano che costruisce la mano robotica per il compagno di classe disabile. Questo nuovo scenario artigianale e non solo, è ben  descritto nel libro “Futuro Artigiano” di Stefano Micelli, il quale è anche direttore scientifico di fondazione Nord Est con la quale ha promosso il progetto “FabLab a scuola”.

Il nostro Centro ha avuto l’onore di essere fra i primi a partecipare al  progetto pilota che prevedeva appunto la realizzazione di un piccolo fablab nelle scuole coinvolte. Questo laboratorio,  come spiegherò più avanti, non si tratta solo di un’officina tecnologica, si è perfettamente collegato con una didattica che lavora su progetti, da quasi dieci anni ci occupiamo infatti di PBL (project based learning) e da circa due di Design Thinking, metodi che ci supportano nel tentativo di aggiornare la didattica alle nuove sfide che i ragazzi dovranno affrontare.
Per molti, me compreso, la creatività non è altro che unire cose, idee o pensieri lontani. E nulla è più in linea con questo di un FabLab. Un luogo dove si crea unendo microcrontollori al legno, modelli 3D che interagiscono con i tessuti e gran parte di quello che possiamo immaginare può essere costruito. In generale è quindi il luogo dove la contaminazione può concretizzarsi, dove i nostri studenti “futuri stilisti o sarti” (chiamateli come volete) hanno creato abiti che si illuminano a seconda dei movimenti, hanno costruito una borsetta che ti avvisa se il suo peso è diverso dal solito o se hai lasciato le chiavi in ufficio. Nel primo anno del nostro piccolo “fashion FabLab” ho visto cose che credo non siano “quotidiane” nel mondo dell’istruzione ma anzi siano davvero speciali. La prima e più importante, è propriamente inerente alla didattica e me l’ha insegnata Fabio D’agnano (IUAV, fondazione Nord Est e molto altro) nelle fasi iniziali del progetto: i ragazzi diventano più esperti degli insegnanti in quello specifico progetto. La borsa loro la sanno fare e programmare, quindi  l’insegnante, o meglio il suo sapere, non è più il limite massimo delle conoscenze dell’allievo ma è solo un punto di partenza. Credo che questo sia il senso più alto dell’insegnamento.

E allora quello che spero per ogni scuola è che in ognuna di essa ci sia un posto (ne ho visto uno anche in una scuola media di Mumbai)  dove poter valorizzare il fare e non solo il sapere, dove il pensiero si unisca all’azione.  E se non è possibile aprire al proprio interno un laboratorio con queste caratteristiche auguro di riuscire a collaborare con FabLab già strutturati, che per fortuna stanno crescendo in termini di numeri e presenza di territorio. Anche noi nella fase iniziale  siamo stati accompagnati, e lo siamo ancora, dai ragazzi del FabLab del Muse per poter iniziare a mettere correttamente i primi passi in autonomia. Autonomia però che, come ci ha insegnato Sabina Barcucci (fabber del MUSE)  non è così indispensabile, perchè la differenza fra un fablab e un’ officina molto tecnologica, sta proprio nel fatto che esite una rete e se qualcosa tu non lo sai o puoi fare, c’è qualcuno che riesce a farlo con te. Collaborazione e contaminazione che nel FabLab del Muse sono all’ordine del giorno visto che Sabina, architetto creativo, collabora fianco a fianco con Matteo Perini, ingegnere meccatronico e indispensabile problem solver tecnico. Arte e tecnologia che si uniscono per creare qualcosa di nuovo ed utile. E questo è quello che stiamo cercando di replicare al nostro interno, ovvero la collaborazione fra due docenti profondamente diversi, Tomaso Minerbi insegnante di scienze e Giuliana Vender stilista,  in un laboratorio unico, in un progetto unico. E questo che sembra semplice in realtà è rivoluzionario: nelle scuole nei laboratori di biologia si trovano solo gli insegnanti di biologia, in quelli di chimica i chimici ed in palestra gli insegnanti di educazione fisica. Ma in un fablab è diverso e lì si può collaborare fra persone con formazione distanti per creare quello che prima non c’era.

TAG: cmc, fablab, fashion, fondazione NORD EST, formazione professionale, innovazione, muse, NORD EST, scuola, Trento
CAT: Innovazione, scuola

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