Sono 16 milioni i volti riconoscibili dall’occhio elettronico delle telecamere

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11 Febbraio 2019

Sono sedici milioni i volti riconoscibili dagli algoritmi di riconoscimento facciale: poco meno un Italiano su tre, bambini compresi. Sedici milioni di “ritratti” già conservati negli archivi e che si possono confrontare con le immagini catturate da tutte le telecamere di sorveglianza.

Un numero che torna nel servizio firmato dal giornalista italiano Federico Guerrini e pubblicato 31 gennaio scorso sulla testata USA ZDNet, ma già noto grazie al dibattito nato tra luglio e ottobre del 2018. In quel periodo, in poche settimane, si sono mossi, nell’ordine: il Garante della Privacy, il presidente dell’Agenzia per l’Italia Digitale Stefano Quintarelli, il deputato del Movimento 5 Stelle Federico D’Incà firmatario di un’interrogazione al Ministero dell’Interno alla quale a oggi non è ancora stata data risposta.

Di cosa si tratta?

Il SARI (acronimo di Sistema Automatico di Riconoscimento delle Immagini) permette sia “la ricerca di volti a partire da immagini statiche su banche dati di grandi dimensioni, il cui risultato sarà una lista di volti “simili” al volto ricercato” sia “il riconoscimento in tempo reale di volti presenti in flussi video provenienti da telecamere, con relativo confronto dei volti presenti nei flussi video con quelli di una watch-list e trasmissione di un alert in caso di match positivo”. Nel primo caso il capitolato tecnico parla di un database di 10 milioni di persone, mentre nel secondo caso si parla di circa 100 mila persone: cifre confermato anche  dal contratto di fornitura presente sul sito della Polizia di Stato.

Questioni di privacy

La prima discussione intorno al SARI ha coinvolto il Garante per la privacy. Nel gennaio 2017 c’è stato il via libera del Ministero dell’Interno per l’acquisizione del sistema da parte della Polizia di Stato e il 26 luglio del 2018 il Garante ha promosso il SARI. “Il sistema – infatti –  si limiterà ad automatizzare alcune operazioni che prima richiedevano l’inserimento manuale di connotati identificativi”. Trattandosi solo di una “nuova modalità di trattamento di dati biometrici”, il SARI non rappresenta “un nuovo trattamento di dati personali”. Insomma, una promozione.

Posizione ribadita in ottobre, quando la notizia è stata anche ripresa dalla newsletter  del Garante: “Il sistema, denominato Sari Enterprise (Sistema Automatico di Riconoscimento Immagini), predisposto dal Ministero dell’Interno, ha superato il vaglio del Garante per la protezione dei dati personali sulla base di una serie di garanzie. Il nuovo software, infatti, è uno strumento che non sostituisce, ma coadiuva l’attività dell’agente di polizia, in capo al quale rimane comunque il compito di identificare la persona ricercata. Non si tratta dunque di un processo interamente automatizzato, in linea con quanto stabilito dalle nuove norme europee”.

Ma non solo di privacy

Acquisito il parere del Garante, la polemica non si è placata. Anzi. Il comunicato di un doppio arresto per un furto in appartamento avvenuto a Brescia grazie all’uso dei software di riconoscimento facciale ha puntato l’attenzione sulla quantità di persone schedate. La nota diffusa per descrivere l’operazione allegava anche un video per illustrare il funzionamento del sistema con gli alert sulle somiglianze e l’acquisizione di immagini anche dalle telecamere di sorveglianza privata.

E se un video magnificava il sistema, è proprio da un video, da un’intervista rilasciata all’Ansa dai dirigenti della Polizia scientifica che arriva la prima conferma dei 16 milioni di possibili confronti per le immagini del SARI.

Sedici milioni? Il primo a interrogarsi sulla correttezza della cifra è Stefano Quintarelli su Twitter.

L’ex deputato e presidente dell’Agenzia per l’Italia Digitale ha posto un problema che è stato raccolto dal deputato del Movimento 5 Stelle Federico D’Incà.

Il 19 settembre l’onorevole pentastellato ha chiesto al Ministro dell’Interno Matteo Salvini: “quali siano gli «altri database», oltre all’Afis, a cui il sistema SARI attinge per il confronto delle immagini e dei live-feed ottenuti, e in particolare se, tra questi, figuri l’Eurodac (European Dactyloscopy System)”. Inoltre ha chiesto: “se il sistema sia stato utilizzato all’interno dell’ipotizzato Sistema di gestione dell’accoglienza (Sga) del Ministero dell’interno per identificare migranti e quanti cittadini siano inclusi nell’insieme dei database analizzati dal sistema SARI (soggetti foto-segnalati, «altri database» e «watch-list»)”.

Da settembre a oggi non c’è stata alcuna risposta dal Viminale, ma il Ministero ha confermato che le cifre rese pubbliche sono corrette. Altre informazioni non sono state divulgate e restano disattese anche le richieste di D’Incà “se il sistema consenta di tracciare il volto di un soggetto in movimento e ricostruire i suoi spostamenti; se vengano utilizzate informazioni geolocalizzate, e, in caso affermativo, per quanto tempo vengano conservate”. Infine “quale tipo di controllo degli accessi al sistema di riconoscimento sia svolto, se esista un registro delle operazioni effettuate, come e per quanto venga conservato, e se esista un sistema di autenticazione a due fattori degli operatori e quali test di sicurezza informatica siano stati condotti sulla soluzione realizzata, con quali risultati ed eventuali criticità”.

Tutto questo mentre a il 31 gennaio a San Francisco si è già aperta la discussione sulla messa al bando delle tecnologie per il riconoscimento facciale per la sorveglianza. E in Italia siamo solo all’inizio.

TAG: controllo interno, privacy, sorveglianza, sorveglianza di massa
CAT: Intelligence, Privacy

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