Una scelta senza ritorno

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9 Aprile 2018

Calmati. Si, calmati. Non serve a nulla precipitare le cose. Ragiona; metti i fatti in fila, uno dopo l’altro. Come sei arrivato sin qui? Pensi che sia davvero la decisione giusta? Fermati un momento, indietro poi non si torna. Ti rendi conto, eh, di quello che vuoi fare? Pensi che sia una cosa che si può fare così, solo per impulso, un colpo di testa, uno schiaffo in faccia al sistema? Ma sei tu il soggetto, non puoi non riconoscerlo. Tu ci vai di mezzo, sistema o non sistema. Togli quel dito, basta una pressione impercettibile e non si torna indietro. Calmati.

Come sei arrivato sin qui? Non lo sai nemmeno te. Si ok, gli ultimi mesi sono stati duri. Verissimo. Non riesci a trovare esattamente il tuo ruolo, il tuo scopo, e fai cose contraddittorie. Hai cominciato con questa cosa del lavoro. Non dovevi aspettarti nulla, lo sapevi da tempo. Il sistema è così, o si accetta o non si accetta, ma si decide al principio. Sai quanti concorsi hanno questo finale? Quasi tutti. Più di dieci anni fa eri in quell’associazione, come si chiamava? Associazione Italiana Precari, ecco. Volevate cambiare il sistema, volevate chiamate dirette all’americana; basta con le “code” da smaltire. Il sistema italiano è come la Coop quando vuoi prendere il pane: peschi il numerino e aspetti il tuo turno. Non è dappertutto così, ma per ora hai visto prevalentemente questo. In barba a qualsiasi merito, a qualsiasi ruolo svolto. Com’è che ti hanno detto? “C’è una comunità a cui si risponde, non si può cambiare tutto solo in base ad un curriculum”. Ti volevi inserire in una coda, come quando con la macchina stai in una corsia diversa, più veloce, e all’improvviso cerchi di entrare in quella che va nella direzione giusta. Chiaro che qualcuno alza il dito medio. Perchè scriverlo in quel modo, in quel post? Perché tutti lo vedessero? E ora pensi così di trovare una via di uscita. Andiamo, dai, ma come fai a ragionare così? Aspetta.

Si quel post è stato un errore. Te la prendi con Facebook, ma dovresti biasimare te stesso, no? Questa storia di Facebook è malposta. D’accordo: hai letto diversi articoli in proposito. Ogni post chiama ad un riconoscimento di un ruolo sociale, di una forma di autorità che porta una sua verità. Sei connesso ad altri e vuoi essere riconosciuto, tutto lì. I “like” danno dipendenza, ci sono diversi studi che lo confermano. Si attiva l’area del cervello denominata “nucleus accumbens“, che dispensa sensazioni di ricompensa derivanti da cibo, sesso, denaro e accettazione sociale. Alcuni, con personalità più narcisiste di altri, sono più soggetti alla dipendenza. Magari sconfinano su altri social, ce ne sono parecchi. E poi c’è la questione del come si arriva ai like. Se non c’è un percorso univoco, se non sai esattamente cosa fare per essere riconosciuto ed apprezzato, se c’è una componente di casualità come nel gioco d’azzardo, allora chi vuole emozioni, chi è dipendente, gioca al rialzo. Magari si schernisce anche, pubblica le previsioni del tempo, ma l’azzardo è in agguato. L’azzardo sono post solo per dire che ci sei. Quanti like?

La politica non ti ha aiutato, no. Credevi in tante cose, in un insieme di regole politicamente corrette quando ti sei candidato al consiglio comunale col Partito Democratico. Com’è quel refrain? “Ho avuto solo la tessera del PD nella mia vita, credo nell’esigenza di avere questo partito nel nostro Paese. Sono un fondatore di questo partito e credo alla sua funzione di partito leader della sinistra.”. Mamma mia che palle, ma che vuol dire?  E ora, visto che sei eletto, partecipi a questo cavolo di consiglio comunale; consiglio comunale di una cittadina che non se la filerebbe nessuno se non fosse per la rovinosa sconfitta elettorale di qualche tempo fa. Roba finita sui giornali, ah ah. Ma ti rendi conto di come passi il tempo? Tenti di mettere in difficoltà quei leghisti buzzurri che straparlano di gender e immigrati, e però hai visto il casino che ha fatto quell’immigrato che è entrato in casa di tuo nonno. Tuo nonno, un povero disgraziato, indifeso, come tanti. Certo, le tue idee sono buone, sei un essere umano e non un buzzurro, ma esattamente che si deve fare, che si deve dire in un caso come questo? Non è il post politicamente corretto che ti salverà dalla riflessione oggettiva sulla realtà; né fare l’aggressivo in consiglio comunale. Che poi, al momento opportuno, anche lì non affondi mai il colpo. Guarda, pure uno come Renzi ha dovuto abbassare la cresta; ti piaceva tanto, Renzi, e ora eccolo lì a combattere contro l’alleanza con Di Maio, mentre mezzo partito vuole “la stanza dei bottoni”. Ferma quel dito, indietro non si torna.

Pensa alla musica. Pensa all’ultima canzone che hai sentito, oggi pomeriggio. Ovunque andrò de Le Vibrazioni. Com’è che dice? “Vado via per difendermi/ma ovunque andrò/so che ti penserò”. Tipico. Non mi stupisco che tu sia arrivato al limite di questa immane stupidata, che non serve comunque a nulla. Aspetta. Tu pensi che sia una buona colonna sonora per un gesto che comunque non devi fare. Se possibile la storia della colonna sonora è quasi peggio del gesto in sé. E’ degna compare di quelle frasi che posti all’una di notte sui problemi del vivere e dell’amare, sul fatto che la gente non capisce e non rispetta; le frasi che recuperano citazioni di poeti sudamericani che nessuno conosce. Fermo. Ok, non c’è nulla da ridere.

E ora pensi alle foto e a quello che hai scritto in questi anni. Ma sei sicuro che poi tutta questa roba scomparirà con te? Secondo me ci vuole un po’ di tempo perché qualcuno entri in azione e ripulisca. Se qualcuno ti cercasse su Google, nel frattempo, stai pur tranquillo che qualcosa trova, te lo dico io. Gli algoritmi non perdonano. Certo, non si possono lasciare per sempre dettagli di uno che non c’è più, anche l’algoritmo segue regole (quasi) umane. Ma nel frattempo qualcosa parlerà ancora di te, senza di te. Magari si vede ancora l’ultima poesia sudamericana. O quello che hai scritto sul profilo di Lei qualche giorno fa. No, forse quello no, c’è un limite a tutto, sarà cancellato.

Già, che dirà Lei? Sarà triste? Le importerà qualcosa? Il fatto che te lo domandi dà l’idea della tua situazione. Alla fine gira tutto intorno a questo, lo sai anche te. Lascia perdere, è una dipendenza anche quella, come quella dai like. Se vuoi davvero farlo, ed è un errore, non ti deve importare niente. Niente ultimo like e niente Lei.

E infine, ti sei deciso, nonostante tutto? Pensavo di essere riuscito a convincerti a fermare questa ridicola tragedia. Ok, allora usa questo cavolo di dito. Sono affari tuoi. Click.

Ti sei definitivamente eliminato da Facebook. Pensi di essere libero, ora?

(Da un’idea di Ethan Kuperberg)

TAG:
CAT: Internet delle cose, Qualità della vita

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