Perché le previsioni sul Brexit erano sbagliate

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26 Giugno 2016

Somigliava molto alla situazione del ballottaggio tra Sala e Parisi, il tentativo di prevedere quale avrebbe potuto essere il risultato finale del referendum britannico. Ieri ho potuto visionare direttamente alcuni dei sondaggi effettuati nell’ultima settimana prima del voto, e devo dire che le difficoltà del caso milanese erano forse leggermente inferiori a quelle del caso dell’UK. Per una serie di motivi.

Prima di tutto, l’elemento certo più importante, era l’oggettiva impossibilità di far riferimento a competizione dello stesso tipo. Di solito, nei sondaggi pre-elettorali, si prende in considerazione il cosiddetto “storico”, vale a dire l’analisi di quanto è accaduto nel passato più recente, per ponderare le stime risultanti dalle interviste. Nel ballottaggio milanese, lo storico era ovviamente molto recente, di soltanto due settimane prima, e le dichiarazioni di voto potevano facilmente venir comparate con quanto accaduto al primo turno delle elezioni comunali. Nel Brexit, tutto questo era impossibile, per i sondaggisti d’oltremanica, e tutto quanto veniva affermato nelle interviste non poteva che venir preso al buio, senza il consueto paracadute.

Il secondo elemento di non facile stima era l’affluenza al voto. Si sapeva che, all’aumentare del cosiddetto “turnout”, sarebbe cresciuta anche la probabilità di affermazione del “Remain”. Ma quale fosse il punto di equilibrio era oggettivamente difficile da prevedere, basato com’era su sensazioni e stati d’animo fuggevoli. Dopo l’omicidio di Jo Cox in molti, spinti dalla commozione, dichiaravano che sarebbero andati alle urne. Ma poco alla volta, nei giorni successivi, l’emozione tendeva a scemare, e con essa la disponibilità a recarsi alle urne per manifestare la propria contrarietà. Con una parallela contrazione della possibile affluenza complessiva.

Il terzo importante elemento riguarda la ormai nota “desiderabilità sociale”, la tendenza cioè a manifestare con difficoltà opinioni che si credono non ben accettate socialmente. Tipo, qualche anno fa, il proprio voto per Berlusconi. Per alcuni, la dichiarazione contro l’unità europea rappresentava un giudizio appunto non socialmente desiderabile, contro il futuro, a favore della superata tradizione separatista, eccetera. Da qui, una piccola distorsione a favore del “Remain”.

Oggettive difficoltà, dunque, non facilmente risolvibili. Ma il vero e probabilmente unico grave errore compiuto dagli istituti di sondaggio britannici è stato quello di veicolare, negli ultimi giorni, la sensazione che alla fine la Brexit avrebbe perso, anche se di poco. In una situazione così “too close to call”, con margini di differenza così limitati, sarebbe stato più saggio dichiarare la parità, come in molti hanno fatto appunto nella competizione Sala-Parisi. Oltretutto, le loro previsioni hanno prodotto un ulteriore effetto: lasciar intendere che ci sarebbe stata la vittoria di misura del “Remain” ha sicuramente indotto alcuni contrari all’uscita a rimanere a casa, ed alcuni favorevoli ad incrementare gli sforzi e la propaganda contro l’Europa. Un nuovo capitolo sugli effetti perversi dei sondaggi.

TAG: Brexit
CAT: Istituzioni UE

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