Dalla realpolitik alla reality politics. Prima le canzoni italiane!

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28 Febbraio 2019

Prima la musica italiana. Questo è il senso della proposta di legge di Alessandro Morelli, presidente della commissione trasporti e telecomunicazioni, leghista ed ex direttore di Radio Padania: per non incorrere in sanzioni (sospensione dell’attività da un minimo di 8 a un massimo di 30 giorni), tutte le stazioni radiofoniche nostrane dovranno dedicare, obbligatoriamente, almeno un terzo della propria programmazione giornaliera alle produzioni sonore peninsulari.

Una rivoluzioncina psudoprotezionistica, telegenica, molto social. Di quelle che piacciono al nuovo corso del Carroccio. In perfetta linea con l’assioma della reality politics spacciata per realpolitik.

A veder bene, ma non benissimo, un duro colpo al retaggio del proponente. Passato, al termine del suo quinquennium felix, dal megafonare Pontida alle quote tricolore. Anche lui arresosi all’inerzia propagandistica e allineatosi, disimpacciato, al leghismo salviniano, gustosamente post-padanico. Non gliene vogliano gli ascoltatori più nostalgici della sua ex emittente, superstiti di un’ortodossia ormai solo sussurrabile e futuri protagonisti di esorcismi favolosi, con campane tubolari in sottofondo, da dottorato di ricerca, parola del Miur.

D’altronde, il dado è tratto. L’utopia leghista originaria è materiale da congelatore. Con l’internazionale sovranista alle porte non frega più a nessuno delle istanze padaniche (?), il dilemma odierno è tra il sovranismo in un solo paese e il sovranismo permanente, tra una tautologia e una contradictio in adiecto, tra un’ovvietà populistica e una presa per il culo. Un bel rompicapo, in grado di dare una marcia in più nei sondaggi e nelle prestazioni elettorali.

Con buona pace dei politologi. I quali, persino quelli di piccolo cabotaggio, considerano, sul piano strategico, l’ancora nebulosa convention tra Salvini, Orbán, Le Pen et similia come una boutade, nel migliore dei casi, come una scemenza pirotecnica, stima a ribasso, nel peggiore. E attoniti si domandano: avrà mai luogo?

Tuttavia, quel che è certo di questa operazione, più certo del suo inverarsi, è la parola d’ordine da cui vorrebbe prendere le mosse, il sovranismo appunto. Un sovranismo che non conosce confini. Da applicare in qualunque ambito, anche nella musica. Con Mogol, Baudo e altri pronti ad applaudire: l’industria musicale italiana va difesa; in Francia esiste una legge dal 1994 a tutela del paesaggio sonoro autoctono; ecc.

Peccato che a frenare le velleità di questi ultimi sia proprio il capitano in persona: “Il progetto c’è ed è richiesto da tanti artisti italiani, ma non sarà il parlamento a decidere che musica va in onda sulla radio”. Ergo, appuriamo con piacere che la commissione trasporti e telecomunicazioni sta solo scherzando, tipico degli organi parlamentari. Supponiamo che glielo richieda la costituzione.

Ma c’è di più. Consultando i dati di Earone (società che monitora le messe in onda radiofoniche), scopriamo che la propostona leghista, così com’è attualmente formulata, non andrebbe a spostare di un millimetro lo status quo. Infatti, le canzoni italiane costituiscono già il 45% degli attuali passaggi in radio, molto di più di quel 33% obbligatorio previsto dal progetto di legge.

Insomma, tanto rumore per nulla. O meglio, non per nulla, bensì per alimentare all’infinito la cortina fumogena. La collaudatissima reality politics summenzionata. Che si tratti di politiche culturali o di politiche securitarie il metodo non cambia, il risultato neanche.

Laddove ci sono mafia, camorra e ‘ndrangheta a imperversare, il problema è costituito dall’invasione migratoria immaginaria. Laddove ci si posiziona in fondo alla classifica europea degli investimenti in ambito culturale, il problema è costituito dallo scarso patriottismo immaginario dei dee-jay.

TAG: Alessandro Morelli, Canzoni italiane, lega, Proposta di legge, salvini
CAT: Legislazione, Musica

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