Ecco cosa succede quando rincorri il populismo
Non mi interessano le dietrologie. Non sono curioso di sapere perché la lista degli impresentabili sia uscita a due giorni dal voto (e a qualche ora dal silenzio elettorale). Non credo (non voglio credere) che qualcuno abbia usato un’istituzione importante come l’antimafia per una vendetta interna al partito democratico. E mi fanno ridere i sospetti avanzati da qualcuno su una presunta “vendetta” della sinistra PD (foss’anche solo per il binomio Bindi-sinistra).
Mi pare ci siano fatti su cui è molto più urgente riflettere. Innanzitutto un dato: la commissione antimafia non si è auto-attribuita un potere inventandolo dal nulla, si è mossa sulla base del Codice di autoregolamentazione che i partiti hanno approvato all’unanimità in commissione nel settembre 2014. Con il quale si sono impegnati a non candidare soggetti per cui si verificano determinate condizioni legate ai reati di stampo mafioso e hanno conferito (art. 4) poteri di vigilanza alla commissione.
Ma è tutta qui per me la questione. Ovvero:
1) siamo sicuri che un codice in cui i partiti si impegnano a non candidare persone anche semplicemente citate in giudizio (è proprio il caso di De Luca) sia veramente una garanzia democratica? Se il TAR non ha esitato a sollevare questione di costituzionalità della Severino per aver previsto la decadenza dei condannati in primo grado, mi permetto di avanzare dubbi su una clausola che addirittura rimette alle procure la scelta di chi merita la candidatura;
2) se i partiti volevano davvero impegnarsi sul piano della legalità e della lotta alle mafie perché non hanno modificato le norme sulla candidabilità e l’eleggibilità? Perché hanno approvato un codice senza prevedere alcuna conseguenza giuridica per le sue violazioni? Una norma non sanzionata non è una norma giuridica e dove non c’è sanzione non c’è diritto: lezione numero 2 del corso di Diritto costituzionale.
Certo, restano tanti altri interrogativi. In primis sul rispetto delle clausole dello stesso codice: l’art.3 prevede che i partiti debbano (e quindi possano) motivare la scelta di discostarsi dagli impegni assunti. Non direi che 12 ore prima del silenzio elettorale sia un adeguato tempo di replica. E soprattutto l’art.4 sancisce che la commissione “verifica la composizione delle liste”: difficilmente si può ritenere che la redazione di un elenco di impresentabili rientri nella previsione. Insomma, non sembra che la commissione si sia mossa nei limiti dei poteri attribuiti.
E le domande che si pongono tutti: se la vigilanza della commissione sulle liste è così rilevante per la trasparenza delle elezioni perché l’antimafia se n’è ricordata solo il 16 maggio, cioè due settimane dopo la scadenza del termine per la presentazione delle liste e a due settimane dal voto? E perché non ha esteso l’indagine alle liste nelle elezioni comunali? Se penso alle tantissime persone, candidate e iscritte, che hanno dedicato l’ultimo mese alla campagna elettorale, mi preme darvi una notizia: loro vi potrebbero spiegare che tra poco non si tratterà più di convincere i cittadini a votarti, ma ad andare a votare.
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