La realtà è che con Renzi e questo Pd non avremmo avuto nè divorzio nè aborto

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17 Febbraio 2016

Quando la Chiesa faceva veramente la Chiesa – mica due cazzatelle al mese di Bagnasco – la Democrazia Cristiana faceva veramente la Dc e il Partito Comunista il Pci, questo povero Paese portò a casa divorzio e aborto, prima con una legge e poi con due indimenticabili referendum. Un’impresa che non è esagerato definire monumentale. Mica, all’epoca, si facevano referendum sul primo ministro, come fosse argomento all’ordine del giorno, si ragionava in termini appena appena più profondi. Si può dire che un tempo, a un’economia allegra (che ci lasciò l’attuale debito pubblico), si affiancava una straordinaria visione sociale e in un’Italia solo apparentemente bigotta. Si può dire ancora che oggi quel rapporto è totalmente rovesciato: a un’attenzione quasi spasmodica per i conti dello stato, si affianca la più povera dimensione sociale sui temi sensibili che la storia ricordi. Utile ricordare qui il disastro della Legge 40. Bum, dirà qualcuno. Mesi e mesi in cui non si parla d’altro che di unioni civili, di adozioni da parte degli omosessuali, di pari diritti e bla e bla e bla, non porterebbero a pensare che la dimensione sociale è sottostimata o, peggio, volutamente dimenticata. Da qui la domanda chiave: a fronte di un corpo mediatico-sociale così ampio, forte, presente su tutto il territorio – forse il più esteso della storia – com’è possibile un simile fallimento in termini di risultati concreti?

Umiltà e racconto, in questo caso, possono essere due parole chiave. L’umiltà di una classe dirigente, innanzitutto. Persino impossibile, per mille ragioni, mettere in parallelo le personalità di quel tempo con quelle di oggi. Il raffronto, impietoso, non è tanto sulla caratura delle singole figure, che già porterebbe a dislivelli da capogiro, quanto sulla capacità di dare un senso alle battaglie che si affrontano, restituirne persino il tono epico, in un certo modo, quando le battaglie ovviamente lo meritino. E certo, i diritti civili lo meritano. Sapere il peso di quello che si fa, che si rappresenta, avere chiara la portata delle possibili conseguenze, modularsi ovviamente secondo coscienza ma anche secondo “mercato”, ciò che il mercato politico può darti in quel momento. Ma soprattutto, tenere fuori le alleanze di governo, roba troppo meschina (e pericolosa) per essere gettata sul tappeto delle sensibilità comuni. Qui Matteo Renzi si è dimostrato un dilettante allo sbaraglio. Uno sguardo anche distratto ai padri democristiani gli avrebbe consigliato subito (subito) di eliminare il tema diritti civili dall’orizzonte di governo, tranquillizzando intanto tutti gli Alfani. Con il che, rivolgersi in maniera piena e responsabile, con un discorso pubblico, “a tutti gli uomini e le donne di buona volontà di questo Parlamento”. E su questa strada, la strada delle coscienze, lavorare. Su questa strada, invece, ci è arrivato tardissimo, quando il dibattito aveva preso una piega persino spiacevole.

La seconda parola chiave – racconto o narrazione che dir si voglia – è certo la capacità di trasferire alle persone da una parte ciò che si intende fare, dall’altra ciò in cui si crede. Sui temi sensibili, molto sensibili, come le adozioni da parte di una coppia omosessuale, Renzi è arrivato fuori tempo massimo a dire, esplicitamente, che è contro la maternità surrogata. E non si capisce perché, dal momento che si trovava nella felice condizione di essere protetto da una legge dello stato. Ha lasciato che il dibattito scorresse, nei modi davvero poco nobili che sappiamo, si è rifugiato soprattutto negli ultimatum etici che storicamente non portano mai da nessuna parte. “Il Paese non può aspettare!” e amenità di questo genere. Ma poi, non ha avuto percezione alcuna della “sua” opinione pubblica, quella che gli ispira anche le cose migliori, oltre che le peggiori. Non ha capito cosa pensano gli italiani, che sentimenti provano, forse avrà vissuto anche un moto di sorpresa quando Galli della Loggia sul Corriere ha spiegato bene il nostro conformismo, per cui se non ti dichiari sincero progressista su questi temi, sei guardato malissimo, considerato un nemico della società, non semplicemente una persona che vuole capire, che ha qualche difficoltà a buttare giù come zolletta di zucchero queste nuove famiglie, e di queste persone ce ne sono molte in Italia.

E soprattutto ha considerato poco o punto il grado di autonomia del corpo sociale, l’indipendenza intellettuale dei cittadini, l’esigenza di non essere sempre ricondotti a semplici schemi partitici, come numerini da apporre sulla lavagna. Pensando al divorzio e quei primi anni ’70, c’era solo da spaventarsi a osservare l’esercito che marciava compatto contro quell’eresia: la Chiesa, quella di allora, spaventosa e potente, la Democrazia Cristiana e, come mi ricordava opportunamente Fabio Martini, anche la diffidenza del Partito Comunista nel primo tratto. Chi avrebbe mai battuto il generale Patton con tutti quei soldati? Eppure.

Pensando a quei momenti straordinari, il paradosso dell’oggi è che con questo presidente del Consiglio e con questo Partito Democratico non avremmo mai avuto né divorzio né legge sull’interruzione di gravidanza.
Ps. In quella Italia ci fu chi seppe rappresentare i diritti degli altri apparentemente a fondo perduto. Organizzazione politica che sfruttava le debolezze del sistema per assestare i suoi fendenti etici, per insinuarsi nelle pieghe delle nostre diversità, per interpretarle, per darle voce. Ci manca molto quel Partito Radicale, ci manca molto Marco di quel tempo.

TAG: ddl Cirinnà
CAT: Legislazione, Partiti e politici

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