9 maggio 1978
Scriveva.
Un memoriale, lettere, biglietti:
due volte al giorno circa,
in quei cinquantacinque
interminabili.
A mano, fogli bianchi.
Seduto rannicchiato
sul fianco che doleva.
“Miei cari”, e spesso
“Mia dolcissima”.
A volte più formale.
Monsignore,
Onorevole,
Presidente, Colleghi.
Beatissimo Padre, Santità.
Il testamento,
ricopiato e corretto
a più riprese.
Titubante commosso
malinconico rabbioso.
Minacciava implorava.
Da padre da marito
impartiva istruzioni: ritirare
una camicia al lavasecco,
vaccinarsi contro l’influenza,
chiudere il gas la sera.
Famiglia amata che ha bisogno
di lui.
Forse non si deve essere,
neppure poco, felici:
scriveva.
Pregava.
Inginocchiato a terra,
sdraiato sulla branda.
Con voce bassa, appena sussurrata.
Solo una notte urlando, pietà di me,
nel sonno. E poi maledicendo
“ricadrà il mio sangue su di loro”.
Ma sia fatta
la volontà di Dio, mi assista
la Madonna:
ubbidiente umilmente,
nella pienezza della fede
cristiana.
Ascoltava
la Messa registrata,
meditava il Vangelo, recitava
il rosario.
La Chiesa del Signore
non consegna
i suoi figli al macello.
Mi ha avuto
interprete suddito
modello. Non può volermi
martire, in questa muta
indegna catacomba:
pregava.
Ammoniva.
Ucciso tre volte,
chiamato a pagare
da solo
per colpe di molti.
Prigioniero politico
di un attacco
al cuore dello stato,
nel processo popolare
a trent’anni di potere.
Potere condiviso con altri,
lividamente zitti
impauriti, impantanati
in ambigue posizioni,
ostinati immobilisti a difesa
della ragion di stato,
di un astratto principio
legalista.
Rimasto senza amici,
sono stato ucciso tre volte;
tutti d’accordo
nel preferirmi cenere.
Non salverò nessuno.
Gli onesti piangeranno,
ne sarete travolti:
ammoniva.
Ricordava.
Discorsi pronunciati
in Parlamento,
fumosi nel dire
nel non dire,
commentati
derisi applauditi.
Bilanciere di opposte
ideologie, cauto assertore
di accorte convergenze,
alleato a spuntati
neutrali compromessi.
Perseguite amicizie
vantaggiose,
impedite ostilità
inquietanti;
trattative corruzioni
insabbiamenti.
C’era qualcosa, a consolare.
Innocui itinerari
affettivi, indulgenti abitudini
domestiche, come
minestre di verdura a cena,
carezzare il nipote bambino,
leggere un libro
in vestaglia la domenica.
Pur tra tante mie colpe
ho vissuto
con delicate intenzioni:
ricordava.
Moriva.
Ne uscirà e non sa come,
se graziato o cadavere.
Tutto è inutile
quando non si vogliono aprire
le porte.
Indicibile angoscia della morte,
dopo un calvario di lunghe attese.
Intorno tragiche maschere
di stoffa, allucinati
occhi feritoie, voci scomposte
negli ordini severi.
Alzarsi in silenzio, seguirli
ma dove, tenebra della notte
luce di un’alba sospirata.
Eppure rassegnato, quasi in pace.
Ci rivedremo, tornerò in altra forma,
miei cari che abbandono
e non vi lascio.
Vorrei capire cosa sarà dopo.
Ci fosse luce, sarebbe molto bello:
moriva.
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