Cento anni di poesia

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20 Marzo 2023

Oggi , alle 17 presso l’aula T02 (Edificio Marco Polo, Circonvallazione Tiburtina 4 – Univ. Sapienza) si terrà l’incontro con Ida Vitale sul tema La poesia e la parola.

IdaVitale (Montevideo,1923)  poetessa, traduttrice, saggista, docente e critica letteraria uruguaiana, è la più longeva esponente del movimento Generación del 45 e dell’ essenzialismo sudamericano. La sua poesia rappresenta un punto di incontro fra l’attenzione sensoriale di radice simbolista ai fenomeni naturali e la profondità concettuale, caratterizzata da un’estrema concisione e da un linguaggio ricercato, ricco di metafore e acutamente ironico. La produzione poetica di Ida Vitale, da Luz de esta memoria (1949) a Tiempo sin claves (2021), ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi, come il Premio Octavio Paz (2009), il Premio Internacional García Lorca (2016) e nel 2019 il Premio Cervantes, massimo tributo letterario in lingua spagnola. Cresciuta in una famiglia colta e cosmopolita di lontane origini italiane, ha dovuto lasciare a più riprese l’Uruguay per ragioni politiche, trasferendosi dapprima in Messico e successivamente in Texas, dove è rimasta per trent’anni, sempre impegnandosi attivamente sia nell’insegnamento universitario, sia in ruoli editoriali e culturali di rilievo. Dal 2016 è tornata a vivere a Montevideo.

Nel 2020 Bompiani le ha dedicato la prima antologia uscita in Italia, Pellegrino in ascolto, e oggi la casa editrice romana Ensemble festeggia i cento anni della poetessa pubblicando la sua ultima raccolta, Tempo insoluto, a cura di Pietro Taravacci, che firma anche l’approfondita ed entusiastica introduzione. Il volume raccoglie una cinquantina di composizioni con testo originale a fronte, e spazia fra temi diversi: la natura, i ricordi, la creazione artistica, racchiusi tutti nella cornice della riflessione sul tempo. Il tempo lungo e lento del passato, quello veloce verso un futuro a scadenza ravvicinata.  “Raccolta liminare”, viene giustamente definita dal prefatore, questa che Vitale ha firmato con un titolo che nell’originale suona come “Tempo senza chiavi”, volendo indicare forse un’impenetrabilità all’interno, o un’impossibilità di varcare il limite esterno determinato dall’età: come se ogni pagina dovesse essere letta semplicemente per quello che esprime. Nessun pietismo o autocommiserazione, l’esistenza va accettata per quello che ha dato e continua a dare, regalo gratuito di bellezza da godere fino all’ultimo istante: “Giacché da niente puoi salvarti, prova tu a essere / salvezza di qualcosa. // Cammina piano, e vedi se, per tentazione, il tempo fa lo stesso”. Il paradiso è qui, insomma, basta averne e averne avuto coscienza: “un tempo qui ci era piaciuto molto”, “Paradiso: pace ma senza tedio, / la quiete anelata, ma anelante, / lievi incombenze, niente ozio/noia”.

La ricerca di un equilibrio tra gioia e sofferenza, attività e riposo, viene sottolineata dal desiderio di raggiungere e mantenere una tranquilla e consapevole serenità: “Dormirsene straniata / davanti a ciò che inizia / o forse, sta finendo. / Stare, alla mattina, / come a fine giornata”, “Un volume d’aria calma, / fuori dal corpo, dentro l’anima / tutto tranquillo, la successione / di passi, parole, silenzi, / la mancanza di ansie/ … e lo strepito mai”. La parola “fine”, così spesso ripetuta, insieme alla congiunzione “senza” (che il curatore scopre reiterata ben 63 volte nel volume) indicano certamente la consapevolezza di una privazione, presente e futura, di un’assenza e impossibilità di ulteriore sviluppo, ma non arrivano mai a esprimere paura o disperazione, piuttosto una rassegnata cognizione della realtà, e insieme la volontà di trovare motivi per proseguire nel cammino dell’esistenza. Consolanti ormeggi alla vita quotidiana sono quindi le presenze degli animali (corvi, farfalle, gatti, elefanti, conigli, delfini, tartarughe, cagnolini), della vegetazione (“sambuchi, salici e cipressi”, viticci, felci, tulipani), della pittura (“un Klee nel quale cantano i colori, / la geometrica linea, lo sproposito”) e della musica (“Solo aprirti alla musica ti salva”).  Oltre all’elegia, sia che indichi speranza o rimpianto, in Ida Vitale mantiene una decisa pregnanza la riflessione etica e teorica sul contrasto eterno tra bene e male: “Quando la luce fende l’ombra, / cos’è: raggio o spada?”, e l’indignazione civile per chi dal male trae profitto, per gli “operai del male” che fanno circolare “la loro gelata monetina”: “Forgiano il male lentamente, / con inclemenza, in giorni non contati, / giorni di trasandato sole,/ quando la notte inizia con fastidio”, “Il male con il male, fianco a fianco, /  il bene, senza alcun patto, solo”. Davanti al nero della morte, della negatività, della cattiveria, abbiamo il dovere di glorificare la materia innocente, che esibisce la sua umile concretezza, incurante di ogni trascendenza. Dobbiamo riconoscenza a “una matita, / un foglio, di carta soltanto”, e al legno con cui sono costruite “le porte e le bare, / i pianoforti, i liuti”.

Nell’inventario del dato e avuto, Ida Vitale dedica al marito e mentore artistico Enrique Fierro, scomparso nel 2016, versi struggenti di nostalgia (“Tutto sembrava molto e fu breve”), ma ammette che i cinquant’anni vissuti insieme sono stati comunque un grande privilegio, così come gli arricchenti incontri con tante “anime amiche”. Tutto il bene goduto deve bastare “a compensare i danni di ogni giorno”, e alla soglia del centesimo anno la poetessa riesce a trovare dentro e intorno a sé la voglia e il bisogno di “incidere nel domani / quest’oggi così schietto, / così azzurro e dorato”.

 

 

IDA VITALE, TEMPO INSOLUTO – ENSEMBLE, ROMA 2023, p. 156

A cura di Pietro Taravacci

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CAT: Letteratura

2 Commenti

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  1. dino-villatico 1 anno fa

    Splendi articolo di una poetessa sulla poesia di un’altra poetessa.

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  2. dino-villatico 1 anno fa

    “Splendido articolo”, naturalmente, e non “splendi”, nel commento precedente. Errore di battitura. Ma è un articolo sul quale meditare, perché coglie il nodo del fare – forse dell’essere – poesia. Che non è l’ornamento – la metafora è un significare non un abbellire – ma lo scendere nel corpo della parola, e farla unica interprete della realtà – non, come invece, si crede, del sentimento. Il sentimento è l’effusione stessa della realtà percepita e comunicata, non un fiato che le si soffia sopra. L’io del poeta è un registratore dei movimenti della realtà, non un proiettore di sé stesso. Ecco perché i grandi poeti sono pochi. Perché sono quelli che non confondono il proprio io con la realtà, che è la maggioranza degli uomini.

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