“È bravo, ma non è cosa!”

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12 Gennaio 2022

– È arrivata la partoriente.
– La partoriente?
Guardo la mia assistente con aria sorpresa.
Lei fa una smorfia comica e riduce la sua voce ad un sussurro:
– Volevo solo dirti che di là, nel salottino c’è il dottor Serra.
Scuoto la testa, cercando di non sorridere troppo, poi dico:
– Ok. Fallo accomodare.
Serra entra. Ha quarantacinque anni (lo vedo dalla sua scheda sul pc), ma ne dimostra qualcuno in meno, veste con accuratezza, ma senza stravaganze. Ha un aspetto coerente con l’immagine che hanno tutti di lui: persona attenta, metodica , puntigliosa. E’ emozionato e nervoso.
– Dottore, mi scusi l’invadenza, ma avevo urgenza di parlarle, così ho chiamato due o tre volte per avere un appuntamento, poi ho deciso di venire di persona.
– Due o tre volte? Alla mia assistente ne risultano sei.
Arrossisce leggermente.
– Comunque ero fuori sede- aggiungo- per questo non l’ho chiamata subito. Di cosa mi voleva parlare?
– Ho saputo – risponde lui con un certo imbarazzo – che il Responsabile dell’Ufficio Fiscale va in pensione…
– E dunque?
– Dunque vorrei candidarmi al suo posto- dice tutto d’un fiato.
Perché ritiene di essere la persona più adatta?
Si agita un po’ sulla sedia, poi inizia a raccontarmi la sua carriera: Ufficio Legale, Ufficio Fiscale, Tesoreria, Contabilità Fornitori, Gestione Clienti.
In ogni esperienza si è distinto, ha lasciato il segno, dice: un archivio che era una specie di pozzo di S. Patrizio miracolosamente risistemato, una procedura complessa e costosa semplificata, una causa che poteva costituire un pericoloso precedente gestita attraverso una transazione molto conveniente, un’ispezione della Finanza chiusa con un nulla di fatto, tempi di risposta ai clienti dimezzati eccetera eccetera.
Lo ascolto e penso: “Ecco un salvatore della patria”.
Poi lo guardo e gli dico:
– Mi sembra che anche sul piano dei riconoscimenti concreti lei abbia avuto delle soddisfazioni.
– Lei crede? – risponde lui, sfoderando un tono tagliente
– Non può negare di essere uno dei quadri meglio pagati dell’azienda.
– Forse.
– Forse? Penso di sapere quello che dico, visto che qui dentro mi occupo di risorse umane.
– Mi scusi, non volevo mettere in dubbio le sue parole. Il fatto è che il vero salto di qualità, lei lo sa meglio di me, è il passaggio alla dirigenza. E su questo fronte non vedo mai l’Azienda cogliere le opportunità che si presentano.
– Si spieghi meglio.
– Sarò esplicito. Tutte le volte che si è liberata una posizione di responsabilità in uno degli uffici nei quali operavo o avevo operato e – mi consenta l’immodestia – ben meritato, è stato scelto qualcuno che aveva imparato il mestiere da me. Ci ha fatto caso?
Gli chiedo se desidera un caffè e, mentre usciamo per andare alla macchinetta, rifletto sulle cose che Serra mi ha appena detto.
Ricordo bene come sono andate le cose. Varie volte il nome di Serra era stato inserito in una rosa di candidature e, alla fine, sempre scartato.
Ogni volta, su di lui, si incrociavano valutazioni di segno opposto: serio, attaccato al lavoro, grande professionista, meticoloso realizzatore, veloce nell’eseguire gli ordini, ma anche accentratore, singolista, dotato di scarsa attitudine a far crescere i propri collaboratori.
Rientriamo nella stanza dopo il caffè e, appena seduto, comincia a squadernarmi sul tavolo una miriade di pezzi di carta, che ha estratto da una cartellina.
– Non sono solo io a dire che sono bravo. E’ l’azienda che me lo ha certificato, mi sono permesso di portare con me la fotocopia delle schede di valutazione degli ultimi anni.
Comincia a mettermi sotto il naso le schede, ad indicarmi i punteggi, a leggermi le frasi che sono state usate per descrivere i suoi meriti e commentare i suoi risultati.
Attendo pazientemente la fine del suo discorso poi gli rispondo:
– Dottor Serra, lei fa bene a citare le schede di valutazione. Ma non sottovaluti anche un altro aspetto che ha un peso rilevante nelle scelte.
– Si riferisce alla valutazione del potenziale?
– Non solo. Parlo della fama che ci circonda.
– Cosa intende?
– Si è mai chiesto cosa pensano di lei?
Serra ondeggia lievemente sulla sedia, tra l’interdetto e l’imbarazzato, poi sospira:
– Perché? Cosa pensano di me?
– Vede- rispondo io- in azienda i pregiudizi favorevoli sono facili da scalfire. Basta che uno, definito da tutti bravo, sbagli una volta e molti sono pronti a dire: “Te l’avevo detto io che era un pallone gonfiato” oppure: “Hai visto che non era poi questo gran fenomeno?”. Invece i pregiudizi sfavorevoli sono duri a morire. Impegnati come siamo ad auscultare ogni minima variazione di battito del nostro cuore, riteniamo superfluo prendere atto dei cambiamenti degli altri. Li fotografiamo una volta per tutte e poi come li abbiamo fotografati rimangono nel nostro archivio.
– Che vuol dire? A me come mi avrebbero fotografato?
– Vede quando si parla di lei, nessuno discute il suo attaccamento al lavoro, la sua competenza, ma queste sono cose che restano sullo sfondo, mentre a tutti viene in mente la sua puntigliosità, il suo modo aggressivo di porre i problemi, di buttare in faccia agli altri la sua superiorità professionale.
– Ma chi lo dice? Lei fa un ritratto che non è il mio, lei usa per me termini in cui non mi riconosco per niente. Prenda l’ultimo gruppo di lavoro cui ho partecipato e chieda a quelli che ne facevano parte.
– Perché? Cosa mi direbbero?
– Le direbbero che ho lavorato più di tutti.
– E non le viene in mente che forse qualcuno avrebbe avuto piacere di dire la sua?
– Ma- annaspa Serra- pensavo che, essendo il responsabile del gruppo….
– Vede Serra, essere responsabili di un gruppo non vuol dire essere abilitati a soffocarlo. A me hanno detto che il giorno che il gruppo si è riunito per la prima volta lei ha fatto circolare un fascicolo nel quale erano già sviluppate tutte le soluzioni che poi sono state consegnate un mese dopo al responsabile di Divisione che aveva commissionato il lavoro.
Segue una lunga discussione, alla fine della quale Serra dice:
– Ho capito, dottore, c’è chi è capace di vendersi le cose che fa e chi, come me , fa le cose e non sa vendersele.
– Caro Serra, non è questione di sostanza o di apparenza, come lei crede. Il fatto è che in Azienda conta non solo il fare le cose, ma come si fanno. L’azienda, ormai, è come una squadra di calcio. I solisti, quelli che giocano per sé più che per la squadra, possono anche incantare per una volta o due, ma alla lunga sono i primi a finire in panchina. Vuole un consiglio?
– Certo.
– Dedichi più tempo a sviluppare un rapporto con gli altri di quanto ne dedica a sviluppare le sue conoscenze tecniche (che sono già notevoli). Si abbandoni ogni tanto all’ebbrezza di dire ad un collega: ma lo sai che la tua idea è migliore della mia? Smetta di farsi travolgere dal panico se un suo collaboratore assume un’iniziativa. Provi a capovolgere, se le riesce, la fama che la circonda.
Parliamo ancora un po’, poi Serra se ne va.
Poco convinto, lo so. Difficile convincere chi ha fatto delle competenze il suo punto forte che la professionalità non è tutto.
Ma voglio fare una verifica.
Chiamo una collaboratrice, la responsabile di Sviluppo Quadri:
– Emma, per la posizione del Responsabile dell’Ufficio Fiscale, che ragionamenti state facendo con il Responsabile della Linea Amministrativa?
– Ho predisposto una rosa di candidature e ne abbiamo parlato ieri.
– In quella rosa ce l’avevi messo Serra
– Si, ci sono lui, Bianchi e Micheli.
– E di Serra cosa pensa il Direttore della Linea?
– Quello che pensano tutti, che è bravo…
– Che è bravo, ma non è cosa– la interrompo.
– Già- dice Emma.

TAG: vita aziendale
CAT: Letteratura

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