Fare poesia è ardente necessità di contatto con l’essenza delle cose

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31 Agosto 2021

“Il capolavoro che spiega il meccanismo dell’abbandono si chiama Casablanca, As Time Goes By si intitola la canzone della colonna sonora” ( E. Scalfari)

La prima parola che mi viene in mente, scrivendo, è incontro. Quello che ho avuto con Grazia Frisina, anche se solo virtualmente dopo aver letto il suo libro “Innesti”.
L’incontro tra il poeta e il suo lettore crea una relazione narrante ed empatica. Ognuno di noi vive la sua vita come un incontro continuo con gli altri, da questi incontri nascono esperienze che ci segnano, che rimangono dentro. Il poeta riesce a trasformare queste esperienze rendendole da personali a universali.
La scrittura poetica, per Grazia Frisina, è un risveglio dello spirito, dei più intimi recessi del cuore, è gentilezza che avvolge l’animo dell’individuo, è un’epifania, una rivelazione che rimuove il velo che oscura i nostri occhi. È ascoltare di notte lo scricchiolio di un mobile di un tavolo, di armadio, uno scricchiolio che è eccedenza e che riporta al mobile, all’albero, alla nodosità, alla linfa che scorreva in quell’albero, al respiro del bosco, quello che vediamo attraverso l’echeggiare di un vento. Il poeta coglie gli attimi, le sonorità, lampi e bagliori, quelli che i greci chiamavano kairos, quell’attimo di grazia improvvisa che fugge via ma che entra nel profondo. Cogliere quell’attimo che respinge ogni fuggevolezza del Kronos, cogliere quell’oltre, è il compito del poeta.
La poesia, secondo la poetessa, consente l’accesso alla parte misteriosa ed arcana del nostro essere.
Nasce in un cuore in fermento, nei momenti in cui ci attanaglia il dolore, nelle smanie e nelle turbolenze che ci attraversano. É una forza travolgente e magnifica che piomba all’improvviso sulla coscienza dell’uomo e gli apre gli occhi. Il poeta è veggente, è l’alchimista che riesce ad intuire l’essenza delle cose, la parte misteriosa, sotterranea, inafferabile e irripetibile presente nel nostro essere. É scandaglio, fiamma che divampa all’improvviso nello spirito e purifica il cuore, è vertigine che ci fa toccare la sacralità della vita. È il sublime, turbamento, piacere e sgomento che nasce dalla percezione della piccolezza della dimensione umana dinanzi al mistero dell’universo. É forza travolgente, è estasi.
La poesia non vuole essere capita, ma vuole che si stabilisca un’adesione, che si entri in dialogo, che sia il cuore ad afferrare, vuole sollecitare una corrispondenza a livello emotivo.
Per Grazia Frisina, questo modo di fare poesia, talvolta, può ricordare l’arte del comporre musica: la fruizione della creazione di un compositore di sinfonie è emozionale, il compositore non ha la pretesa di rivolgersi ad un pubblico ferrato in merito alle regole dell’armonia o del contrappunto. Chi compone poesia, è tendenzialmente un esteta, si culla grazie al metro e a una limatura sintattico-linguistica che non potrebbe trovare nella narrativa.
Chi scrive poesia, si logora di mal d’amore, di rimpianto, di assenza, di solitudine, ha sperimentato il tormento, la delusione, la nostalgia, ma tuttavia, riesce a trarre dal nulla una forma di vita meno spiacevole e ostile.

“Inclinarsi al cuore
Nel profondo
All’indietro
Fin dove i secoli
Non erano suoni
Ma pure sottrazioni
Sillaba
Soffio
Uno universale
Germinale chiarità
Pasta madre
Senza furia di mondo
Percorre geometrie inesplicabili
Il nostro darsi all’abbandono” (Pietra su pietra)

La Poesia per il poeta è come l’acqua per l’assetato: il poeta ha bisogno del luogo in cui rigenerarsi, per riadattarsi di volta in volta al deserto che dovrà attraversare fino alla morte:

“Dal circolo cittadino
ringhia e divampa
il salto dell’indifferenza
a disseccare il coraggio del fuscello
la parola di vento a cui è appeso” (Pietra su pietra)

Chi è teso ad un approfondimento di coscienza, consapevole del fatto che le avversità, le vicissitudini, le tribolazioni appartengono all’umano vedrà la poesia come una sorella, la vocazione per la quale è stato chiamato, un filo d’erba verso il suo rifugio, la memoria dei ricordi, che è poi la coerenza autentica fra l’essere e il dover essere, fra la certezza e il dubbio, fra la tesi e l’antitesi, fra il bene e il male:

“Sempre un concepimento
di parole
mi tenta ogniqualvolta
un’offerta di pioggia buona
screpola la siccità dei corpi
e dalla tomba resuscita
un desiderio di erbe selvatiche e rovi
al mio prato_ fin qui _inaridito
sfibrato come un gemito tra i rottami
sterile come un pianto senza conforto” (pietra su pietra)

La poesia è raggio di sole che penetra nel nostro quotidiano grigiore e lo attenua, ne sfuma i contorni, è carne, sangue, pensieri e desideri, ci interroga sulla natura dell’essere. È stato di grazia, tenerezza di affetti. È alba di un nuovo giorno, isola felice nel male della vita dove rigenerarti quando il mondo ti sfinisce. È accettare il suo fluire, albero senza radici come turisti dentro una città:

“ Nessuna rete o radice
a frenarli
hanno pendii scoscesi
fatiche respiri e pensieri
E pure ancora
nei dirupi
stupenda
la vita
m’afferra” (Pietra su pietra)

Mi piace, infine, ricordare che Poiéin in greco significa “fare”. Ed è proprio da questo verbo che origina la parola “poesia”. Tale radice mette in luce quanto poco di astratto, e quanto di concreto, comporti l’attività poetica.

Siciliana d’origine, Grazia Frisina vive in Toscana. Già docente di lettere, ha pubblicato il romanzo “A passi incerti” (2009 finalista “Premio Firenze” 2009), il dramma poetico sulla Shoah “Cenere e cielo” (2015, rappresentato al museo della Deportazione di Prato), le raccolte poetiche “Foglie per maestrale” (2009), “Questa mia bellezza senza legge” (2012), “Innesti” (2016 – opera vincitrice alla XVI ed. Premio Carver, 2018) . Dalla pièce “Stabat Mater”, tratta da “Madri”(2018), è stato realizzato un corto, girato nel carcere di Pistoia, con la regia di Giuseppe Tesi. È presente, con alcuni suoi componimenti, in varie riviste letterarie nazionali.

TAG: libri, poesia
CAT: Letteratura

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