Il cappotto

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17 Maggio 2019

“Esci con papà?”, le chiedo, abbottonandomi la giacca a vento.
“Con questo freddo?”, mi risponde Giulia, stringendosi al petto la bambola che le ho comprato la sera prima.
“Ad una domanda non si risponde con una domanda”.
“Allora la risposta è: no”
“Vabbè, vorrà dire che andrò da solo. Come un cane.” Simulo disperazione.
“Non fare così!”, sbotta a ridere lei.
E’ una domenica di gennaio, freddissima e grigia.
Esco di malavoglia, giusto per comprare i giornali.
Arrivo fino al Gran Viale, passo dall’edicola,  faccio un salto in pasticceria, poi torno a casa.
Quando apro la porta trovo Giulia in ingresso, indossa il cappotto.
“Hai freddo?”, chiedo.
Mia moglie spunta dalla cucina.
“Ci siamo giocati il canarino”, dice.
“Cosa?”
“Sta lì, rigido e immobile, sul fondo della gabbietta. Tu che dici?”
“E quindi?”
Giulia si guarda la punta delle scarpe, poi dice: “La mamma ha detto che adesso mi porti a comprarne un altro. Andiamo?”
“Con questo freddo?”
“Non si risponde ad una domanda con una domanda”, risponde ridendo.
Guardo mia moglie: “Veramente le hai detto così?”
“Mi sembrava così afflitta…”
“Afflitta? Elabora il lutto molto in fretta, mi sembra…”
“Ho pulito e lavato la gabbietta”
“Ma sei sicura che è aperto il negozio di animali?”
“Ho appena telefonato, è aperto”.
“Ho capito, morto un canarino se ne fa un altro.”
“Papà, andiamo?”, mi incalza Giulia.
“Agli ordini!” rispondo.
Poso il pacchetto delle paste e i giornali sul tavolo della cucina e  mi avvio verso la porta.

Sono passati molti anni da quella mattina.
Ma l’episodio è entrato nel lessico famigliare:  “mettersi il cappotto” è diventato, per me e per Giulia, il sinonimo delle ripartenze, della reazione – anche un po’ cinica e disincantata – alle avversità.
E ricordo bene anche quel cappotto.
“Sembravi un orsetto con quel cappotto”, dico con tenerezza.
“Era orribile”, ribatte lei, “da telefono azzurro”.

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CAT: Letteratura

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