Il caso Flitcraft e l’eterno ritorno.

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3 Dicembre 2014

E se effettivamente avessimo inteso malamente l’insegnamento di una storia che si ripete sempre uguale a se stessa? Il temibile eterno ritorno. Per rendere l’idea, M. Kundera, nelle prime pagine del suo celebre romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, ci suggeriva di immaginare un Robespierre cui veniva decapitata la testa infinite volte, ogni volta sempre uguale, per l’eternità! Ma se per Kundera questo significava dover veramente prendere atto di quel momento, donargli il giusto peso, il giusto senso, per noi, oggi, anche un evento catastrofico non sortirebbe più di un breve stupore passeggero. Che si tratti di noi o di un evento di larga scala che interessi più persone la nostra attenzione non supererebbe di molto l’indifferenza. Poco tempo fa, ho colto l’occasione per rispolverare un vecchio libro di D. Hammett: Il Falcone Maltese. Vorrei qui riportarne due pagine che calzeranno perfettamente alla riflessione finale (Il testo è tratto da D. Hammett, The Maltese Falcon (1930), tr. it., di M. Hannau, Il Falcone Maltese, Longanesi & Co., Milano 1967, pp. 91-95).

 

Nella camera da letto, che era un salotto, adesso che il letto a muro era rialzato, Spade aiutò Brigid O’Shaughnessy a togliersi cappello e soprabito, la piazzò comodamente a sedere in una sedia a dondolo imbottita, e telefono all’albergo Belvedere. Cairo non era rientrato dal teatro. Spade lascio il suo numero, chiedendo che Cairo gli telefonasse appena tornato. Spade sedette nella poltrona accanto al tavolo e, senza alcun preliminare, senza introduzione di sorta, cominciò a narrare alla ragazza qualcosa che era successo alcuni anni prima nel Nord-ovest. Parlava con voce continua e decisa, priva di enfasi e di pause, ripetendo soltanto qua e là qualche frase lievemente modificata, come se fosse importante che ogni particolare venisse riferito esattamente come era accaduto. Al principio Brigid O’Shaughnessy lo ascoltò prestandogli solo un’attenzione limitata, ovviamente più sorpresa del fatto che le stesse raccontando quella storia che non interessata alla storia stessa, e più curiosa di capire lo scopo per il quale Sam aveva intrapreso la narrazione che non di conoscere gli sviluppi del racconto; ma poi, via via che procedeva, la narrazione la conquisto sempre più e la ragazza si fece tesa ed intenta. Una volta a Tacoma un uomo chiamato Flitcraft era uscito dal suo ufficio in una società immobiliare, per andare a pranzo, e non era più tornato. Non si presentò ad un appuntamento che aveva alle quattro del pomeriggio per andare a giocare a golf, per quanto egli stesso avesse preso l’iniziativa di quell’incontro meno di mezz’ora prima di uscire per il pranzo. La moglie e i figli non lo videro mai più. Per quel che se ne sapeva, Flitcraft e la moglie erano in ottimi rapporti. Aveva due ragazzini, uno di cinque e uno di tre anni. Possedeva una casa nei sobborghi di Tacoma, una Packard nuova, e tutti gli altri ingredienti di un cittadino americano che ha raggiunto il successo. Flitcraft aveva ereditato settantamila dollari da suo padre e, con i successi che aveva ottenuto nel settore immobiliare, nei dintorni veniva valutato duecentomila dollari, all’epoca in cui scomparve. I suoi affari erano in ordine, per quanto i conti non fossero chiusi e sistemati in modo tale da rivelare i preparativi di uno che ha intenzione di andarsene. Un affare che gli avrebbe assicurato un vistoso profitto, ad esempio, avrebbe dovuto esser concluso il giorno successivo a quello in cui scomparve. Nulla stava ad indicare che egli avesse con sé, a sua disposizione, più di cinquanta o sessanta dollari, al momento in cui prese il volo. Le sue abitudini nei mesi precedenti erano state controllate troppo accuratamente perché fosse giustificabile il sospetto di qualche vizio segreto, o perché si potesse pensare all’esistenza di un’altra donna nella sua vita, per quanto entrambe le cose fossero, a rigore, possibili. “Se ne andò cosi”, disse Spade, “come un pugno quando si apre la mano”. Era arrivato a questo punto del racconto, quando il telefono squillo. “Pronto”, disse Spade sollevando il ricevitore. “Signor Cairo?… Parla Spade. Può venire da me… Post Street… subito?… Sì, credo di sì”. Guardò la ragazza, sporse le labbra, poi disse rapidamente: “La signorina O’Shaughnessy è qui. Vorrebbe vederla”. Brigid O’Shaughnessy aggrottò la fronte e si agitò sulla sedia, ma non disse niente. Spade riagganciò il ricevitore e le disse: “Sarà qui tra pochi minuti. Bene, questo accadde nel 1922. Nel 1927 facevo parte di una delle più importanti agenzie di investigazione di Seattle. La signora Flitcraft venne a raccontarci che qualcuno aveva visto un uomo, a Spokane, il quale somigliava notevolmente a suo marito. Ci andai. Era Flitcraft, infatti. Abitava a Spokane da un paio di anni come Charles (che era il suo vero nome) Pierce. Aveva una rappresentanza di automobili che gli rendeva venti o venticinquemila all’anno, una moglie, un bambino, possedeva una casa alla periferia di Spokane, e aveva l’abitudine di andare a giocare a golf dopo le quattro del pomeriggio, nella stagione favorevole”. A Spade non avevano detto con molta precisione che cosa avrebbe dovuto fare quando avesse rintracciato Flitcraft. Chiacchierarono nella stanza di Spade al Davenport. Flitcraft non aveva alcun senso di colpa. Aveva lasciato la sua prima famiglia ben provvista di mezzi, e quel che aveva fatto gli sembrava perfettamente ragionevole. La sola cosa che lo preoccupava era di riuscire a rendere questa ragionevolezza evidente anche a Spade. Non aveva ancora raccontato a nessuno la sua storia e così non si era mai trovato nella necessità di rendere esplicita la sua logica. Ci provò allora. “Convinse me”, narrò Spade a Brigid O’Shaughnessy, “non così la signora Flitcraft. Pensava che fosse una sciocchezza. Forse lo era. Comunque, andò tutto benissimo. Lei non voleva scandali e, dopo lo scherzetto che lui le aveva giocato (era così che lei lo vedeva), non rivoleva neppure il marito. Cosi divorziarono zitti zitti ed ogni cosa tornò al suo posto. Ecco che cosa gli era successo. Andando a pranzo, era passato sotto un edificio in costruzione, di cui era stato eretto solo lo scheletro. Un pezzo di trave, o roba del genere, precipitò da un’altezza di otto o dieci piani e venne a cadere sul marciapiede a poca distanza da lui. Lo sfiorò quasi, ma non lo toccò; però un pezzo di marciapiede, proiettato in alto dall’urto, andò a colpirgli una guancia. Gli portò via solo un pezzetto di pelle, ma gli era rimasta ancora la cicatrice quando lo vidi. Se la massaggiava con un dito, dolcemente, con affetto, mentre me ne parlava. Naturalmente s’impressionò moltissimo, diceva, ma in realtà era rimasto più sbalordito che spaventato. Ebbe l’impressione che qualcuno avesse strappato via il velo che gli nascondeva la vita e gli avesse dato la possibilità di vedere le cose che lo circondavano”. Flitcraft era stato un buon cittadino, un buon marito e un buon padre, non per qualche spinta esterna, ma semplicemente perché era un uomo che trovava massimamente confortevole andare di pari passo con ciò che lo attorniava. Era cresciuto così. La gente che conosceva era fatta così. La vita che conosceva era una faccenda pulita, ordinata, sana, responsabile. Ora quel pezzo di trave che gli era cascato davanti gli aveva dimostrato che sostanzialmente la vita non e niente di tutto ciò. Lui, il buon cittadino-marito-padre, poteva essere cancellato con un colpo di spugna tra un ufficio e il ristorante, per colpa d’un pezzo di trave. Apprese allora che gli uomini muoiono per accidenti come quello, e che vivono solo finche il cieco caso li risparmia. Lì per lì non fu l’ingiustizia di tutto questo che lo agitò: dopo la prima emozione, l’accettò come un dato di fatto. Ciò che lo mise in agitazione fu la scoperta che, mettendo in ordine con tanto buon senso le proprie faccende, lui non era andato al passo con la vita, anzi era andato controcorrente. Diceva che prima di essersi allontanato di venti passi dal trave caduto aveva già capito che non avrebbe più conosciuto la pace fino a che non si fosse adattato al nuovo modo di vedere l’esistenza. Mentre pranzava aveva trovato la via per giungere all’adattamento. La vita avrebbe potuto terminare per lui da un momento all’altro, per caso, per la caduta d’un trave: e allora lui avrebbe cambiato la propria esistenza, da un momento all’altro, col semplice fatto d’andarsene. Amava la famiglia, così diceva, quanto supponeva avvenisse di solito, ma d’altra parte sapeva di lasciarla adeguatamente provvista di mezzi di sussistenza, e il suo amore verso la moglie e i figli non era tale da rendere penosa la separazione. “Andò a Seattle quello stesso pomeriggio”, disse Spade, “e da lì in piroscafo a San Francisco. Girò per un paio d’anni, poi ritorno nel Nord-ovest, si stabilì a Spokane e si sposò. La seconda moglie non somigliava alla prima, tuttavia vi erano più punti di contatto che non di differenza, tra loro. Sa, il tipo di donne che giocano bene a golf e a bridge e che vanno pazze per le nuove ricette per preparare l’insalata. Lui non era rattristato per quel che aveva fatto. Gli appariva abbastanza ragionevole. Non credo che si sia mai reso conto di essere andato spontaneamente a ricascare sugli stessi binari dai quali era saltato fuori a Tacoma. Ma è proprio questo l’aspetto della faccenda che mi e sempre piaciuto. Flitcraft si era adattato alla caduta dei travi, ma da allora non ne era caduto più nessuno, e lui si riadattò al fatto che non cadessero”.

 

Nel caso di Flitcraft è come se si fosse spostata la visuale dalla prospettiva collettiva ad una prospettiva precipuamente personale. Personale perché si tratta della vicenda di Flitcraft (cioè la nostra, di ognuno di noi). È proprio durante la banale quotidianità che al nostro caro personaggio, al nostro caro noi stessi, accade qualcosa di inaspettato (forse per mancanza di immaginazione?). La caduta di un trave lo scuote così tanto da indurlo a cambiare, apparentemente, totalmente la sua vita, proprio perché “[…]Ebbe l’impressione che qualcuno avesse strappato via il velo che gli nascondeva la vita e gli avesse dato la possibilità di vedere le cose che lo circondavano”. Ci ricorda Montaigne: Usus efficacissimus rerum omnium magister (Detto di Plinio, Naturalis Historia, riportato da Montaigne nei suoi Essais in quel magistrale saggio “Della consuetudine e del non cambiar facilmente una legge accolta”, cap. XXIII).

Insegnamento ad hoc che vale per Flitcraft e tutti noi. L’epilogo di questo breve racconto è significativo: “[…]Non credo che si sia mai reso conto di essere andato spontaneamente a ricascare sugli stessi binari dai quali era saltato fuori a Tacoma. Ma è proprio questo l’aspetto della faccenda che mi e sempre piaciuto. Flitcraft si era adattato alla caduta dei travi, ma da allora non ne era caduto più nessuno, e lui si riadattò al fatto che non cadessero”. Il protagonista dopo la “conversione” non ha fatto altro che ricadere esattamente nella quotidianità banale di cui era vittima prima dell’evento.  Flitcraft è il prototipo dell’uomo e del suo rapporto con eventi che stravolgono – e allo stesso tempo non-stravolgono – la vita. Anche nel racconto di Hammett possiamo intravederci una modesta e concentrata filosofia della storia. Una prospettiva terribile se allargassimo ancor di più il nostro campo visivo: se l’umanità-Flitcraft continuasse, “di catastrofe in catastrofe”, a ripetersi e accettare tutto come “un dato di fatto” e nulla di più? E se anche l’evento più qualificante della nostra vita scadesse a mero dato di fatto?

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CAT: Letteratura

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