“Il valore affettivo” nel suo vortice sensoriale

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19 Aprile 2021

Quando, durante una festa in maschera, il celebre cardiochirurgo che diventerà il suo compagno le chiede da cosa fosse vestita, lei, nel vestito nero della sorella, risponde: “Da ossimoro. Mi chiamo Bianca.” Ecco, in questa battuta lapidaria, secca, sintomatica oltre la sua stessa immediatezza, sta il fulcro della sollecitante storia narrata con perizia da Nicoletta Verna per l’Einaudi. Il movente su cui ruota la narrazione non è mai il nucleo centrale della letteratura che la riguarda: così, l’ossessione per la perdita della sorella maggiore, Stella, morta tragicamente in età adolescenziale, è solo la nota, ferma e triste, che dà inizio a una partitura variabile quanto basta per non uscire fuori da un dramma rivelatore e dal ritmo congeniale che ne distingue lo sviluppo. Un “La” su un pentagramma, dunque, pieno di altri segni da decifrare convenientemente, che si riveleranno altrettanto degni di una apprezzabile sinfonia malinconica. Giungo a dire, in netta contrapposizione con altre letture, che  l’illazione dell’elaborazione del lutto come idea base del romanzo sia un falso indizio che non solo banalizza il componimento narrativo della brava autrice, ma, addirittura, ne devia il naturale percorso verso indagini ben più significative e sorprendenti. Bianca si sente, in qualche modo, responsabile della morte della sorella, ma il rimorso non è tale da impedirle di diventare una decadente starlette della televisione. Bianca soffre, tuttavia sculetta in tv. Bianca è una donna di spiccata intelligenza e sensibilità, tuttavia non disdegna di apparire svampita al cospetto di milioni di telespettatori. Bianca è chiarissima e trasparente, tuttavia è interessata da folte zone d’ombra. Bianca, come figura retorica che accosta significati opposti, viene delineandosi tramite una narrazione che rivela l’irrazionalità del dolore, del tragico, del lutto.

Un’abilità che emerge dallo stile del racconto è il velo descrittivo usato a protezione della verità letteraria, ossia di quel campo di ricerca psicologica che nel libro della Verna diventa capacità di una giusta ed equilibrata esposizione, evitando di scadere nella descrizione di una fotografia post mortem. Sicché, i continui tentativi di suicidio della madre di Bianca, sistematicamente falliti, diventano un motivo quasi caricaturale di una persona mentalmente instabile, piuttosto che rappresentare, agli occhi della figlia stessa, eventi irreparabilmente rattristanti. Molta attenzione merita, infine, l’amore che la protagonista nutre nei confronti di Carlo: un sentimento che apparentemente rasenta la devozione, utilizzato, invece, come strumento irrinunciabile per la realizzazione di un progetto intimo e personale da considerarsi, a tutti gli effetti, neurotonico. Ed è qui che “il valore affettivo” si apre nel suo vortice sensoriale, inghiottendo il nostro grazioso e complesso personaggio femminile. Il senso del tragico, con le sue sfaccettature da scoprire, entra nell’esistenza della piccola Bianca, conficcandosi come una spina nel suo giovane cuore, che, seppure le procura dolore, diventa con gli anni parte integrante e necessaria per il funzionamento del suo organo vitale. Ma, questo, il suo compagno, esperto di fama mondiale delle patologie del cuore, non lo comprende. Sembrerebbe un paradosso, ma è l’ennesimo ossimoro inerente alla personalità di Bianca.

 

 

TAG: Einaudi, Il valore affettivo, letteratura contempranea, Nicoletta Verna
CAT: Letteratura

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