In memoria di Tzvetan Todorov

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7 Febbraio 2017

Il primo contatto che i lettori italiani hanno avuto con Tzvetan Todorov è senz’altro la sua illuminante prefazione a  “I formalisti russi” (Einaudi, 1968), opera che introduceva in Italia una branca della critica letteraria fino ad allora sconosciuta, quella del formalismo e in subordine dello strutturalismo, che nel nostro Paese ebbe una fiammata d’interesse, coinvolse personalità di spicco come Umberto Eco e si spense rapidamente senza creare una scuola locale di rilievo.

Tzvetan Todorov, bulgaro di nascita (Sofia, 1939), è morto oggi a Parigi dove viveva dai primi anni Sessanta. Fu un uomo-ponte tra le culture letterarie e umanistico-politiche dell’Europa dell’Est e quella occidentale. Naturalizzato francese introdusse  nell’Esagono nel lontano 1965 quell’indirizzo di studi traducendo un’antologia di scritti di quegli studiosi (Propp, Tynjanov, Tomaševskij, Ejchenbaum, Jakobson) che nella Russia tra il 1915 e il 1930 avevano indagato le opere letterarie concentrandosi sugli aspetti formali o strutturali di un’opera: non ciò che fa di “Madame Bovary” un capolavoro, ma ciò che ne fa un romanzo, i suoi aspetti costitutivi. Egli stesso divenne una personalità di spicco di questi studi, specialistici e secchi se visti da fuori, ma seducenti e alla fine irrinunciabili per chi ha avuto la sorte di accostarcisi.

In quel lontano lavoro Todorov sottolineava che al di là della concezione  romantica e quasi mistica che si ha dell’atto creativo i formalisti si preoccuparono di spiegare gli aspetti tecnici con cui l’opera viene fabbricata,   la  transpiration rispetto all’inspiration potremmo dire noi con una vecchia formula di  Poe, l’artificio più che l’arte, la  mera fattura più che la possessione del creatore da parte della Musa. Tutto ciò nella convinzione, ispirata forse da un “positivismo ingenuo” che non sfuggì a Todorov, che un’anatomia particolareggiata, non necessariamente fredda dell’opera d’arte, ci dicesse qualcosa di più o di semplicemente trascurato sull’operare  artistico.  Da qui le indagini sul metro, la norma metrica, il ritmo nel verso e nella prosa, la struttura (o morfologia) della favola di magia, la tipologia delle forme narrative. Da quegli studi pioneristici russi, introdotti meritoriamente da Todorov, nacque, tra l’altro,  la moderna narratologia che pure aveva già le sue linee di ricerca nel mondo anglosassone (James, Forster, Lubbock e successivamente Chatman)  e che trovò in Francia in studiosi come Barthes, Genette, Hamon una sistematizzazione che segnò una stagione della cultura europea.

Dopo l’iniziale interesse per gli studi di critica letteraria che si protrasse per almeno un ventennio fino alla fine degli anni Ottanta, Todorov volse le sue attenzioni a tematiche di storia delle idee. Egli, come altri intellettuali est-europei (Baczko, HavelKundera) aveva patito sulla propria pelle la dimensione terrena, non solamente dottrinale su cui invece s’erano industriati i marxisti europei, dell’utopia comunista. Era infatti fuggito dal regime bulgaro, a noi italiani noto per essere entrato finanche nel lessico comune, come forma particolare di grigiore mentale e unanimismo politico schiacciante. La difesa delle libertà democratiche  e delle sue ragioni da parte di Todorov sboccò nel 1997 in  uno studio importante su Banjamin Constant, intellettuale francese che sta al liberalismo democratico come certo Rousseau alla democrazia totalitaria. Benjamin Constant : la passion démocratique, Paris, Hachette littératures, 1997, tr. it. Donzelli 2003).

Altri volumi si addensarono da quegli anni in avanti su tematiche di storia delle idee e di indagine sui regimi politici, specie quelli illiberali. La sua coscienza politica era rimasta marchiata a fuoco dalla terribile esperienza comunista come da egli stesso rivelato nella sua ultima intervista (in tandem con Boris Cyrulnik, intellettuale che ha popolarizzato il concetto di “resilienza”) rilasciata il 2 gennaio scorso a Nicolas Truong su “Le Monde”: “La tentazione del Bene  è molto più pericolosa di quella del Male”,  dove insisteva su questa specifica  movenza psichica, che irretisce anche chi è bardato delle migliori intenzioni,  di perseguire il Bene assoluto, tragicamente rovinosa quando si tramuta in regime politico. È accaduto nella storia recente che si è compiuto il Male non volendo in realtà  perseguire il Male, ma piuttosto sotto lo stimolo di voler imporre il Bene, il proprio,  agli altri. Sulla scia di Vassili Grossman [1905-1964] Todorov resta fermamente convinto che al Bene, all’idea di Bene, di Bene assoluto, che si rovescia violentemente su chi non lo condivide, è da preferire la Bontà, che invece passa da testa a testa. Non un’idea totalitaria ma un sentimento diffuso.

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Di seguito un brano tratto dall’intervista sopra citata dove Todorov fa alcuni cenni alla sua biografia e al suo itinerario intellettuale.

Sono cresciuto in un regime totalitario comunista dove i modelli offerti ai bambini erano dei personaggi quali Pavlik Morozov, un ragazzo che aveva denunciato suo padre in quanto  kulako [piccolo proprietario contadino, ndr] e che la sua famiglia aveva ucciso per questo motivo. Oppure dei personaggi che avevano lottato contro i  « giovani turchi » nel XIX secolo. Tutto ciò non suscitava una particolare eco in me. Ma amavo molto i miei parenti e i miei amici.

Giunto in Francia all’età di 24 anni, avevo contratto  una diffidenza generalizzata verso tutto ciò che lo Stato proibisce e che concerne la sfera pubblica. Ma, progressivamente, interiorizzai la mia nuova situazione di cittadino di una democrazia. A tal riguardo una sorta di piccolo muro cadde dentro di me nello stesso momento della caduta del Muro di Berlino che mi ha permesso di accedere alla sfera pubblica.

Non mi sentivo più condizionato da quella infanzia e da quella adolescenza vissuta in modo totalitario. Allo stesso momento restavo ancora indifferente ai grandi personaggi eroici, glorificati in una cornice comunista, ma ero affascinato da individui del tutto ordinari che non cercavano di sacrificare la propria vita, ma testimoniavano piuttosto la loro preoccupazione  quotidiana degli altri

Due personaggi mi hanno segnato particolarmente per il loro percorso di vita e per i loro scritti. In “Vita e Destino”, questo romanzo epico sulla seconda guerra mondiale dello scrittore russo  Vasilij Grossman [1905-1964], c’è un’idea forte che mi accompagna: la tentazione del Bene è pericolosa. Come dice un personaggio di questo libro: «là dove si leva l’alba del Bene, i bambini e i vecchi periscono, il sangue cola», è per questo che si deve preferire al Bene la semplice bontà, che passa da una persona all’altra.

La seconda figura che mi ha segnato è Germaine Tillion [1907-2008], etnologa e storica, resistente e  deportata, l’ho incontrata che lei aveva già 90 anni che portava con charme. Lei mi ha sconvolto non solo per la sua vitalità, ma per il suo percorso: durante la guerra d’Algeria, lei aveva consacrato tutte le sue forze a salvare delle vite umane, di tutti gli orientamenti, rifiutando di ammettere che una causa giusta rende legittimo l’atto di uccidere. Vedete, i miei eroi non sono dei personaggi eroici. Ma piuttosto dei resistenti.

Altro passo dell’intervista

Per me, la tentazione del Male quasi non esiste, è molto marginale ai miei occhi. Esiste senza dubbio qualche margine qui e là che vuole concludere un patto con il diavolo per far regnare il Male sulla Terra, ma in questo punto di vista io resto piuttosto un discepolo di Grossman, per il quale il Male viene essenzialmente da coloro che vogliono imporre il Bene agli altri. La tentazione del Bene mi sembra dunque più pericolosa del Male

Dirò, a rischio di essere frainteso, che tutti i grandi criminali  della storia sono stati animati dal desiderio di diffondere il Bene. Anche Hitler, il nostro male esemplare, che desiderava effettivamente il Male per ogni sorta di popolazioni, nello stesso tempo perorava il Bene per la razza eletta germanica ariana alla quale pretendeva di appartenere.

Tutto ciò è ancora più evidente per il comunismo, che è un’utopia universalista, anche se, per realizzare questa universalità, si sarebbe dovuto eliminare numerosi segmenti sociali di questa stessa umanità, che non meritava di esistere: la borghesia, i kulaki, ecc. I Jadisti di oggi non mi paiono animati  dal desiderio di fare il Male, ma di fare il Bene, con mezzi che noi giudichiamo assolutamente abominevoli.
Per questa ragione, io non amo parlare di «nuovi barbari».  Perché la barbarie che cos’è? La barbarie non è lo stato primitivo dell’umanità: dalle prime testimonianze della vita umana, si rintracciano delle prove di generosità, di aiuto reciproco. Ai giorni nostri, gli antropologi e i paleontologi affermano che la specie umana ha saputo sopravvivere e imporsi, nonostante che non fosse la specie più forte fisicamente, grazie alla cooperazione tra i suoi membri, permettendole di difendersi contro le minacce incombenti.    La barbarie è piuttosto il rifiuto della piena umanità dell’altro….

 

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Libri di Tzvetan Todorov disponibili in italiano

Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico (Gli elefanti. Saggi),  Garzanti, 2004.

Benjamin Constant, La passione democratica, Donzelli, 2003

La letteratura in pericolo, Garzanti, 2011

Gli altri vivono in noi, e noi viviamo in loro. Saggi 1938-2008, Garzanti 2011;

I nemici intimi della democrazia, Garzanti 2012

Lo spirito dell’Illuminismo, Garzanti 2016

TAG: Banjamin Constant, Formalisti russi, Roland Barthes, Tzvetan Todorov
CAT: Letteratura

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