Jonas – Il confine

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25 Marzo 2017

Era triste per Jonas rievocare ancora una volta quella storia che lo vide per pochi minuti protagonista, là sulla linea di confine tra Jugoslavia ed Italia, dopo quindici giorni di splendide vacanze. Sapeva bene quanto la cosa gli pesasse e quanta fatica facesse ancor oggi – dopo trentadue anni – nel superarla, nel tornare con la memoria a quel giorno fatidico, il giorno che gli aveva cambiato la vita, per sempre. Dieci luglio ottantacinque, ore quattordici (ora legale), soltanto otto minuti prima della definitiva separazione, per non rivederla mai più, per mai più risentirla.

Quando scendesti dalla macchina, ed io già contavo le ore che avrebbero messo la parola fine al nostro viaggio quindicinale, ti dirigesti senza nemmeno un cenno verso la lunga fila di cabine telefoniche che percorrevano il lato della strada. Tuo figlio, nella tua testa, nei tuoi pensieri ancora sempre lui: quindici giorni indimenticabili per me, per te quindici lunghe file di cabine telefoniche.

Jonas estrasse entrambi i passaporti dal cruscotto della macchina, mentre la coda che lo separava dall’Italia si accorciava velocemente.
Venti, quindici automobili.
La vedeva assorta nel comporre il numero sul disco del telefono.
La osservava mentre attendeva paziente, lo sguardo perso ai monti innevati in fronte a lei, che dall’altro capo del filo qualcuno rispondesse. La guardò ancora, con la coda dell’occhio, sorridere e gesticolare felice, una presenza quasi fisica al suo fianco, gli occhi scintillanti di gioia.
Cinque, quattro, pronti per il volo.

Non so perché lo feci: forse la poca dimestichezza con le frontiere, o un improvviso vuoto nei miei pensieri, altre cose ancora che oggi non so, non ricordo, non voglio ricordare.
Quel che è certo: non c’erano stati litigi, né alcun battibecco, nulla da rendermi così stranamente deciso. Una risolutezza che non mi appartiene. Nessun astio nei tuoi confronti, al massimo un leggero fastidio, le tue telefonate (a tuo figlio, poi!) le avrei accettate anche tutta la vita.
Forse: poterti ricordare finalmente così felice, ultima immagine vivente, il sorriso che illuminava il tuo volto abbronzato e intenso, come poche volte avevo visto. E quei tuoi occhi, che quasi piangevano di felicità. Questa era stata la nostra vacanza per te: una lunga interminabile attesa del ritorno.
Io: che c’entravo io?

Jonas mostrò al finanziere il suo passaporto e se ne tornò a casa, senza voltarsi. Più.

TAG: racconti
CAT: Letteratura

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