La Razza Superiore, Vittorio Schiraldi e le origini del razzismo occidentale
Vittorio Schiraldi con “La Razza Superiore, alle origini del razzismo che divide l’Europa”, edito da Bookme, ci ha regalato un’opera che, sicuramente, non passerà inosservata sia sul piano della cifra letteraria – una scrittura accattivante che, senza essere banale, volutamente fa a meno delle leziosità e delle ricercatezze delle sperimentazione linguistiche – sia su quello della costruzione della storia, o delle storie, che ne sostanzia la narrazione, sia infine e soprattutto su quello della aderenza alle vicende storiche che intende raccontare “ a futura memoria”. Romanzo storico, è questo il genere nel quale classificare il volume in questione, ma romanzo storico che sfugge ai canoni classici e invece lo avvicina molto a quelle moderne narrazioni, cariche di colpi di scena, che legano in modo inesorabile il lettore alla pagina scritta. Molte storie, dicevo, intrinsecamente intrecciate attorno ad un filo conduttore unico che si dipana lungo l’arco del tempo, dalla fine del settecento alla conclusione della seconda guerra mondiale, ciascuna con una sua autonomia e specificità, caratteri che non vengono turbati da vari incontri o incroci necessari al racconto. Una tecnica esemplare che solo uno scrittore maturo e di grande mestiere può permettersi senza correre il normale rischio di creare scompensi, cioè di penalizzare alcune parti o alcuni personaggi a favore di altri. Quel filo conduttore, accompagna le fortune e le disgrazie della potente famiglia Hassel che introduce a gamba tesa nelle vicende equivoche e, spesso, spregiudicate del mondo capitalistico occidentale. E proprio per questo lo spazio di azione, nel quale si dipanano le vicende, ricomprende la nascente potenza industriale americana, l’Inghilterra imperiale, il risorto Reich tedesco degli Hohenzollern, la Sicilia delle grandi famiglie aristocratiche, l’Africa boccone ghiotto conteso dalle grandi potenze impegnate nell’avventura coloniale. Ciascuno di questi luoghi risponde ad una scelta meditata per il suo significato e per l’apporto di specifico che offre alla costruzione del complesso ordito narrativo. Ma se questa è l’analisi formale, che ci restituisce le suggestioni di cui abbiamo fatto cenno e che già da sole giustificherebbero ampiamente il giudizio più che favorevole su questo romanzo, c’è qualcosa di molto di più che va evidenziato, e cioè quella che potremmo definire la finalità vera dell’opera nella quale l’autore ci vuole coinvolgere. E’ il titolo del libro, scelto con avveduta riflessione, che sintetizza il discorso che sottende alla storia o alle storie, raccontate. Schiraldi ci invita a tornare alla Storia con la “S” maiuscola, alle idee di quel secolo lungo le cui speculazioni, spesso pseudo scientifiche, si sono drammaticamente riversate, condizionandolo, in quello che Hobsbawm ha definito “Il secolo breve”. Il XIX secolo è stato, infatti, quello in cui, come ricadute del darwinismo, contraddicendo la linea della modernità che aveva portato all’abolizione nella schiavitù in Inghilterra e alla sconfitta dello schiavismo a seguito della guerra di secessione negli Stati Uniti, sono emerse le teorie razziste, quelle che esaltavano la cosiddetta White supremacy, elaborate e diffuse da personaggi come sir Francis Galton in Inghilterra o Joseph de Gobinaeu in Francia. Teorie che ebbero, in uno alle cervellotiche dottrine della criminalità per nascita, conseguenze devastanti sul piano politico e sociale legittimando discriminazioni inaccettabili e vergognose speculazione sulla pelle di quanti non venivano ritenuti appartenere alla razza superiore. Quelle teorie sarebbero state sostegno all’imperialismo, alla colonizzazione delle terre abitate da altre civiltà, con i suoi drammatici corollari di sfruttamento delle terre africane. Le atrocità perpetrate dai bianchi in Congo, delle quali parla l’autore facendone metafora tragica del triste colonialismo, ne sono manifesto evidente. Lo stesso dicasi per il regime di duro apartheid istaurato dagli stati della ex confederazione americana sconfitti dall’Unione. Proprio nel sud degli Stati Uniti gli immigrati europei, non appartenenti ai cosiddetti Wasp, furono considerati semischiavi, marchiati a fuoco come “Rogue”, cioè schiavo. Le stesse teorie razziste giustificarono l’aberrante legge di “difesa dell’igiene razziale”, promulgata in Virginia nel 1907, che autorizzava la sterilizzazione delle donne provenienti dall’Est europeo in quanto potenziali portatrici di malattie che avrebbero potuto compromettere la purezza della razza americana. Ed infine, una verità non percepita a livello di conoscenza: quelle aberrazioni razziste, partendo dalla democratica e civile America, arrivarono in Europa e produssero quelle degenerazioni esecrabili che restano come marchio indelebile della civiltà occidentale. Non è un caso che anche Hitler, ce lo conferma Schiraldi, si fosse ispirato anche ai provvedimenti che gli Stati Uniti avevano adottato per scoraggiare l’immigrazione. Temi e problemi che l’autore, con indubbia capacità descrittiva, carica ai protagonisti di questo romanzo-saggio che apre sì una finestra sul passato ma che in realtà guarda al presente mettendo in guardia contro il purtroppo rinascente razzismo, con i suoi poco nobili annessi e connessi.
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