L’armonia geometrica di Lasciar Andare di Philip Roth

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27 Gennaio 2021

“Aspetta e accetta e impara a tirar via la mano. Non aggrapparti”

 

Il romanzo inizia con una lettera indirizzata a Gabe Wallach, personaggio principale del romanzo, che la madre scrive prima della sua morte. Testamento spirituale in cui confessa al figlio che l’infelicità familiare è stata causata da lei non dal padre, che sin da quando era piccola ha mirato ad essere sempre molto perbene, aggrappandosi alla sua virtù: quella di fare felice gli altri, finendo così per rigirarsi le persone avendo una coscienza pulita. La lettera gli viene recapitata mentre è in Oklahoma come sottotenente di artiglieria e il suo unico mondo dei sentimenti era rappresentato dalla lettura di “Ritratto di Signora” di Henry James. É tra quelle pagine del libro che conserva la lettera della madre.

Era trascorso un anno dal congedo dell’esercito, era l’autunno del 1953, quando prestò il libro a Paul Hertz con cui frequentava l’Università dell’Iowa per la specialistica; Paul era sempre di corsa per le lezioni e sembrava che stesse perdendo il contatto con i propri sentimenti. Ricordandosi della lettera che aveva custodito tra quelle pagine, gli telefonò da una cabina telefonica del campus per chiedere che gli fosse restituita. Gli rispose la moglie con cui abitava in uno de casermoni grigi che venivano assegnati agli studenti sposati dove più tardi si dovette recare a prenderla perché a Paul Hertz si era rotta l’auto e tramite la moglie gli chiese il favore di passarlo a prendere in autostrada.

Libby era magra, scura, emotiva, con inclinazioni nevrotiche, aveva una pelle pallida tendente all’avorio. Tendeva a non girarsi verso Gabe quando questi per rompere il ghiaccio le chiese se avevano figli, evitava il suo sguardo. Seppe di lei che non si era ancora laureata, poi iniziarono a scambiarsi punti di vista su passi di “Ritratto di Signora”, era arrivata al punto in cui Isabel incontra Osmond e la scena del drappo sull’erba a fare da tappeto dinanzi la casa dei Touchett dove tutti si erano riuniti, l’aveva particolarmente colpita. Libby pensava di Isabel che voleva stendere drappi su tutti, soprattutto su Osmond in quanto voleva modificare ciò che non poteva modificare. Il suo dramma era, secondo lei, che credeva nel cambiamento mentre fuggiva al cospetto di uomini che cercavano di cambiarla. Per Libby “Ritratto di Signora” era pieno di gente che cercavano di rigirarsi gli altri.

Quando Gabe le chiese della lettera che aveva dimenticato tra le pagine del libro, Libby gli disse che l’aveva portata con sé cacciandola dalla tasca, ciò lo insospettì sul fatto che l’avesse letta. Pensò che forse inconsciamente la sua dimenticanza fosse stata dettata dal fatto che voleva che qualcun altro la leggesse poiché, dopo la confessione materna, dominava a fatica il conflitto interiore determinato dall’astio per una persona deceduta che aveva sempre tenuto in gran considerazione benché ancora ne ammirasse il coraggio.

Poco dopo, i timori di Gabe trovarono conferma: Libby confessò di aver aperto la lettera, il tono insolente con cui ammise che l’essere poco discreti era un suo vizio, irritò Gabe che era certo che non aveva capito il dilemma di sua madre allo stesso modo in cui non aveva capito il personaggio di Isabel. Fu a questo punto che ribadì che per lui Isabel aveva dimostrato un gran coraggio perché una cosa è sposare la persona sbagliata per ragioni sbagliate, un’altra è restarci legata.

Intuendo che forse Gabe non parlava solo del libro, Libby si scusò ammettendo di capire poco di romanzi e di persone e che era rimasta sveglia a leggere il libro perché la lettera l’aveva commossa.

Giunti nel punto in cui Paul Hertz li attendeva appoggiati al faro dell’auto, aspettarono mezz’ora che arrivasse il meccanico che, considerando l’auto un catorcio, propose a Paul 10 dollari per l’intera auto che fu agganciata ad un carro attrezzi e trainata via tra le rimostranze e le lamentele di Libby che con molta pazienza Paul cercava di tenere a bada. Paul lo invitò a cena e, dopo qualche riluttanza, Gabe decise di accettare, spinto da un senso di solidarietà per quell’uomo a cui la moglie aveva fatto fare una figura meschina e dalla volontà di ritardare la telefonata del padre che, sentendosi solo, dopo la morte della moglie aveva iniziato a confluire su di lui il soverchiante amore.

Rincasato, infatti, nel telefonare al padre, questi gli rimproverò di non trovarlo mai a casa e insistette perché andasse a trovarlo per il Ringraziamento poiché non accettava la sua decisione di rimandare il loro incontro a Natale quando le festività sarebbero state più lunghe. Era trascorso più di un anno dalla morte della madre e Gabe si sentiva inerme dinanzi alla malinconia e alla solitudine in cui era sprofondato, lo accusava di essere scappato nell’Iowa quando c’erano la New york University, la Columbia e altre molto più vicine.

Sapeva di essere un fortunato, oltre l’eredità della madre, suo padre, che voleva a tutti i costi pagare il biglietto aereo per consentirgli di raggiungerlo per il Ringraziamento, gli mandava periodicamente assegni. Aveva soldi e amore. Poco prima, invece, durante la cena, aveva appreso che gli Hertz di Brooklyn e i De Witt del Queens negavano aiuto ai loro figli in difficoltà. Né erano migliorate le cose dopo la conversione di Libby che da gentile, era diventata una shikse: aveva fatto il mikveh, il bagno rituale per diventare un’ebrea.

La giovane coppia si era sposata mentre era alla Cornell, nelle settimane successive al matrimonio, quando si erano trasferiti ad Ann Arbor, Paul faceva la specialistica e Libby studiava per la laurea di primo livello, nessuno dei genitori li telefonava e arrivava un assegno di 25 dollari all’ordine di Elizabeth De Witt. Poi, per guadagnare qualche soldo, gli Hertz avevano mollato l’università, si erano trasferiti in un monolocale arredato a Detroit, Paul lavorava in una fabbrica di automobili mentre Libby faceva la cameriera; fu allora che  il padre di Libby spedì un biglietto in cui scrisse che poteva anche sentirsi in obbligo nel mantenere una figlia agli studi, ma non una casalinga ebrea a Detroit. Successivamente la coppia si trasferì nell’Iowa. La cronaca dettagliata delle loro sventure innervosì Paul che le chiese di non lamentarsi.

La mattina successiva, Gabe osservò a lezione il cappotto nuovo di Paul, sembrava glielo avesse regalato un mendicante, decise di aiutarlo a risolvere il problema dell’auto offrendogli la sua in modo che si sarebbe potuto spostare per andare a tenere i suoi corsi; aggiunse, poi, che per lui non sarebbe stato un problema trascorrendo i pomeriggi in biblioteca. Paul rifiutò adducendo come motivazione il fatto che lui e la moglie avevano cambiato programmi. Non aggiunse altro e a Gabe sembrò stupido per uno che si trovava in una situazione di bisogno, fu in quel momento che iniziò a comprendere e solidarizzare con le lamentele di Libby. Scoprì, allora, che non gli sarebbe dispiaciuto ricevere il balsamo della comprensione di Libby per i suoi tormenti interiori così come non sarebbe forse dispiaciuto a Libby poter trovare la disponibilità di chi era pronto ad ascoltare i suoi guai. Era forse stata la paura della forma che questo balsamo avrebbe potuto assumere a rendere reticente Paul nell’accettare la sua offerta.

La mattina in cui Paul Hertz lo aveva liquidato, Gabe incontrò in biblioteca Marjorie Howells che da diversi mesi gli sedeva accanto durante le lezioni di bibliografia. La invitò a prendere una birra; figlia di un ricco finanziere, era affascinata da come ci si potesse sentire ad essere un ebreo in America. Passarono la serata insieme al termine della quale Margie espresse il desiderio di trasferirsi da lui, non fece caso alle obiezioni sul fatto che non si conoscevano affatto; così dopo poco caricava nell’auto di Paul una valigia di gonne e biancheria, il suo shampo, una friggitrice elettrica e la sua Olivetti. Alcune sere mentre Mergie faceva lo shampo e  Gabe era sul bordo della vasca che le leggeva Beowulf, tutto gli sembrava surreale. A un certo punto a Mergie venne l’influenza e fu un’esperienza alquanto ardua per Gabe; qaundo al terzo giorno riuscì a staccarsi dal suo capezzale adducendo la scusa della spesa, realizzò che non appena lei si fosse ripresa avrebbe dovuto lasciarla, non aveva sviluppato alcun sentimento per lei, aveva maturato solo degli obblighi. Al supermercato incontrò Libby Hertz che lo ringraziò per aver offerto l’auto a suo marito e lo invitò a cena. Le dette un passaggio poiché aveva in mano tante buste e durante il tragitto si era reso conto che le persone da cui più fuggiva erano quelle verso cui provava affetto, mentre gravitava verso quelle cui non ne provava.

Quando si recò dal padre, Gabe notò che, rughe a parte, il viso del suo vecchio poteva essere il suo: occhi grigi, naso camuso, narici larghe e una grossa mascella che li preservava da qualunque problema ai denti del giudizio.  Il padre era un dentista e chiese a Gabe di farsi dare un’occhiata ai denti. Al suo ordine, obbedì sentendosi perlustrato in profondità fino ai più oscuri recessi, fino al cure. Per lui fargli una lastra per rendere il controllo completo equivaleva a un’autoanalisi, al pari del conosci te stesso. Se la gente considerava i dentisti al pari di meccanici o falegnami, per lui erano equiparabili ad astrologi o geologi. Reputava l’odontoiatria non diversa dalla perlustrazione nella mente delle persone, a sostegno della sua tesi diceva che c’erano casi documentati in cui i denti avevano perforato il cervello. Fece ostruzione alla ritrosia del figlio che non voleva passare altro tempo seduto per farsi controllare anche il tartaro. Lui era un dentista da trentamila dollari da cui le vedette newyorkesi aspettavano un appuntamento anche per settimane perché lui cambiava l’aspetto alla gente donando salute e bellezza.

Ricordò di dover telefonare a Margie. Millie, la donna che da anni cucinava e faceva pulizie, gli aveva comunicato che era arrivata una telefonata per lui da iowa City non appena erano rincasati. Appena cinque giorni prima, Gabe aveva riempito lo scatolone di Mergie, le aveva fatto la valigia mentre lei protestava scagliando lo shampo sulle pareti del bagno e gli tempestava di pugni la schiena, poi l’aveva accompagnata a casa  in lacrime. Al’altro capo della linea, Mergie gli comunicò che aveva passato l’intero pomeriggio a togliere lo shampo dalle pareti, gli professò, piagnucolando, il suo amore e aggiunse che gli mancava, non accettava la sua decisione di lasciarla e che era un anaffettivo Si sentiva usata. A Gabe infastidì il pensiero che fosse nel suo appartamento, disse che si erano usati a vicenda, che aveva romanticizzato e che non avrebbe voluta trovare lì al suo ritorno. Le suggerì di distrarsi, di vedere amici, di farsi una vita propria. Lei gli disse che aveva preso un caffè con un suo amico, Paul Hertz.

Il padre di Gabe praticava yoga e quando la madre era viva aveva fatto il possibile per impedirgli di assumere la posizione del cobra, la bhujangasana che lui praticava sul suo adorato tappeto del soggiorno. Aveva disapprovato anche l’analisi reichiana, l’alimentazione salutista e la campagna in favore di Henry Wallace nel 1948. La sera prima delle elezioni, la madre gli fece il lavaggio del cervello per convincerlo che un voto per Wallace sarebbe stato un voto per Dewey al punto che il vecchio Wallach votò per Truman.

Non l’ebbe vinta però contro lo yoga. Nonostante la sua fede nel progresso, nel ripristino, nella ricostruzione e nella riforma, era ossessionato da idee di malattia; considerava Reich, Henry Wallace e ortaggi a foglia verde, anticorpi. Incolpava un qualche virus per il suo cuore malandato, ma in realtà la sua malattia erano i sentimenti, le sue simpatie e passioni: qualunque turbolenza gli scatenasse un inferno interiore, non era capace di reagire con la ragione, perciò ricorreva alla magia. Ovviamente non era disposto ad ammetterlo e pubblicamente sosteneva di essere dedito solo alla scienza.

La madre, al contrario, era in apparenza né troppo affettuosa né troppo riservata, sapeva tenere a freno i propri entusiasmi, le proprie reazioni mostrando in tal senso scaltrezza, aveva fatto della ragionevolezza la sua filosofia di vita.  Per quanto il padre cercasse di conformarsi al modello della poderosa donna che si era scelto, affrontando la vita da una prospettiva ragionevole, provando a lasciar perdere lo yoga ad esempio, finiva per costiparsi. Lui non era un uomo logico e quel cambiamento lo ripugnava.

Dal connubio di queste due personalità era venuto fuori un ragazzo che non lasciava trasparire le proprie emozioni. Sebbene da bambino la differenza tra ragionevolezza e irragionevolezza fosse puramente accademica e non orientassero le sue scelte, fu sotto la guida della madre, che gli dedicava più tempo, che Gabe arrivò a disprezzare gli oggetti della passione del padre.

Ritornato nell’Iowa per il primo dell’anno, lo accolse una bufera violenta. Salendo le scale, si aspettava di trovare tracce della presenza di Margie, trovò solo la chiave di casa sul lavandino a cui era attaccato un biglietto in cui campeggiava la parola troppo che si riferiva al suo amore donato e alle ferite ricevute, terminava con un “non so cosa farò”.  Quelle accuse punsero la sua sensibilità. Chiamò la pensione dove alloggiava, ma non vi erano più tracce di lei: era andata via. Pensò che con quelle parole Margie voleva comunicargli la sa volontà di ammazzarsi, evitò di chiamare la polizia e chiamò Paul Hertz, ma Libby gli riferì che suo marito stava facendo il bagno e lo invitò ad andarli a trovare. Fu Paul ad aprirgli la porta, stava uscendo per andare a lavorare e gli disse che Libby lo attendeva nella camera da letto. Gli lanciò uno sguardo d’intesa, era contento nel vederlo come se non avesse aspettato altro per liberarsi da un peso. Libby che portava nell’ incarnato, negli incavi e nelle curve del viso l’erosione provocata dall’affaticamento della malattia, giustificò l’assenza del marito. Aveva introiettato il senso di colpa, disse che per lui non era stato facile e si biasimò per il suo infantilismo che la portavano ad avere sempre troppe aspettative.

La stanza era ammobiliata in modo spartano e con mobili di recupero, solo la stampa di Utrillo appesa in modo molto pedestre con scotch ai bordi inferiori, sembrava avere l’aria di essere stata scelta.

Cercando di mostrare indulgenza verso il marito, gli chiese di Paul che, apprese, stava scrivendo un romanzo per la specialistica al posto della tesi, parlarono poi della sua malattia che forse doveva avere un’origine psicosomatica, un modo per sottrarre a Paul temo che lui dedica la scrittura. Continuò a giustificare il marito che gli sembrava poco riconoscente e scorbutico, era il suo modo per non apparire bisognoso.

Quando Gabe provò a dire A Libby che forse era giunto il momento di avere una famiglia proprio, questa gli rivelò che aveva avuto un aborto spontaneo e che per loro era stata una benedizione poiché non potevano permetterseli. Fu in quel momento che l’intero volto di Libby sparì, quel segreto così orribile fecero sì che Gabe ne percepisse solo la bocca, l’anfratto da cui venne fuori una rivelazione così tremenda, che lo rese impotente, quel tormento lo penetrò fisicamente nelle membra, cercò di giustificare quella scelta col fatto che stesse frequentando l’università.

Un’altra rivelazione con una voce ansante rese più profonda l’umiliazione a cui si era esposta: Paul non andava più a letto con lei. Si era liberata, era riuscita a partecipare a qualcuno i suoi tormenti, fu allora che si baciarono. Quel bacio l’avrebbe guarita, disse, e così abituata a non aspettarsi nulla, gli disse che poteva andar via senza sentirsi costretto ad aspettare il ritorno di Paul. Fu in quel preciso istante che Gabe scoppiò in un moto di rabbia e le urlò che doveva smetterla di sentirsi in colpa per ogni cosa. Come Libby, si vergognò perché aveva colto l’opportunità offerta da Paul dimostrando che non erano persone su cui fare affidamento. Fu un sentimento passeggero perché quando salì in auto e svoltò al primo incrocio vedendo Paul Hertz che arrancava verso casa in mezzo alla neve, avrebbe voluto confessargli che aveva abbracciato sua moglie perché le faceva fare una vita schifosa. Non si avvicinò per chiedergli di Marge Howells, come quegli alberi che cigolavano sotto il peso della neve, si sentiva stanco di portare il carico dei sentimenti degli altri: dei sentimenti feriti di Marge, dello struggimento del padre, della vita dura di Lebby Hertz.

Dopo un po’ d tempo arrivò a Gabe una lettera scritta da Libby in cui gli raccontava dei progressi che il marito stava compiendo col suo romanzo, della sua disfunzione renale, che aveva iniziato a lavorare come segretaria in presidenza e, infine, della conoscenza con un poeta durante una serata mondana su cui lei aveva fatto colpo. Si augurava che la sua vita a Chicago col suo nuovo lavoro all’università andassero bene e lo salutava con affetto anche da parte del marito. A quella lettera non rispose. Si ritrovò ad aspettarli iGa un uggioso pomeriggio di fine ottobre del 1956 all’aeroporto di Chicago, lui portava un abito stretto in vita fuori moda e una macchina da scrivere, lei era infagottata nel suo cappotto e sembravano due profughi che erano sfuggiti da un torrido paese latinoamericano giusto qualche ora prima della caduta del regime. Erano lì perché John Stigliano gli chiese se conosceva qualcuno disponibile da subito per sostituire una collega, preferibilmente di Harvard.

John Stigliano era il Direttore del Dipartimento di studi umanistici, capo di Gabe e suo compagno ad Harvard, struttura e forma erano due parole che usava spesso. Nato nel Massachussets, figlio di italiani poveri, si esibiva, nel party che con la moglie organizzava ogni anno, in danze popolari che i suoi genitori avevano appreso in Abruzzo. Aveva ricevuto un’educazione cattolica che si era lasciata alle spalle e aveva una smoderata ambizione. Fu scelto dal preside per dirigere il dipartimento dopo che Edna Auerbach fu aggredita e picchiata. Era un impiego da burocrate cui nessun altro professore ambiva più di tanto, ma per lui qualsiasi incarico propedeutico ad una promozione era di valore.

La signora Stigliano, durante le feste, girovaga nel suo frusciante abito di taffettà, agguerrita giovane madre americana, agguerrita moglie del capo, che trascorreva la maggior parte del temo a dispensare piacere alla sua famiglia. Era una donna in forma, dall’aspetto giovanile sensibile ai complimenti.

Una sera Gabe incontrò gli Spigliano mentre cenavano al circolo riservato ai professori. Avevano trovato un nuovo appartamento dove si sarebbero trasferiti e festeggiavano la promozione e la nuova casa. Fu invitato dopo cena al loro tavolo a bere qualcosa. Quando Pat iniziò a parlare dei figli, una coppia di gemelle e il figlio John Junior, verso cui sosteneva bisognava essere realisti, interpellò la signora Reganhart da cui non trasparivano altre emozioni che la noia. Pat sosteneva che c’era un problema negro nel quartiere e che Edna Auerbach fosse stata aggredita da un uomo di colore. Secondo il marito, Harold, medico callista, era rimasta molto scossa e ne era conseguito un esaurimento nervoso, ma Pat, priva di qualsiasi forma di empatia, riteneva che Edna Auerbach facesse parte di quella categoria di donne che, con il loro modo di camminare e per la loro disposizione psicologica, erano portate per lo stupro. Martha Reganhart non tollerava Pat , la considerava insulsa per le sue idee razziste e la sua affettazione, fu il gudizio che emise non appena riuscì,contemporaneamente a Gabe, a filarsela dal circolo. Gli rivelò, poi, che durante l’estate aveva seguito un corso di John Stigliano e una volta lui arrivò da dietro di soppiatto e le mise le mani sulla vita, adducendo come scusa al suo comportamento, che aveva frainteso la sua passionale anima latina. Forse la cena a cui era stata invitata in presenza della moglie era un modo per evitare che una divorziata carezzasse strane idee. Ai corsi serali, lei aveva indossato vestiti appariscenti e scarpe con tacchi, cosa che non sarebbe piaciuto alla moglie la quale continuava a ripetere che tutta l’estate il marito aveva parlato di lei come migliore alunna del corso. Martha aggiunse che non capiva gli uomini che secondo lei non riesciuvano a lasciar andare le cose e che continuavano a comportarsi da bastardi anche se sapevano di essere nel torto. Diversamente dalle donne capaci di operare scelte, gli uomini volevano essere eroi, giocavano a fare i responsabili quando in realtà erano dei smidollati.

Gabe le propose di andare a bere una birra, poi l’accompagnò a casa, le propose, inoltre,  un eventuale prossima cena. Quella donna era come il suo corpo: schietta, non era discreta, ma esuberante come la larghezza dei suoi fianchi e l’ampiezza delle sue cosce. Non faceva alcun tentativo di camminare apparendo languida, né ingobbiva le spalle per nascondere la propria formosità. Camminava con solidità, non in modo mascolino, ma neppure ancheggiando mostrandosi civettuola.

Gabe covava il malessere di tanti giovani ricchi ma mediocri, sebbene era soggetto a depressioni, incubi e malinconie, non riusciva a goderseli del tutto perché sapeva di essere un fortunato: aveva un reddito, era in perfetta salute e credeva non solo nel perseguimento, ma nel raggiungimento e nel pieno godimento della felicità. Pur essendo un ottimista, era molto nervoso e indeciso. Mentre Pat   si era congratulata con se stessa per la buona sorte, la sua mente gli ripropose l’immagine dei pistoni scoppiati dell’auto di Paul, del brutto letto di ferro in cui giaceva Libby e aveva pensato tra sé che il merito non conosceva giustizia. Se ritardava di intercedere in favore di Paul proponendolo come sostituto di Edna, era perché riteneva di essersi innamorato di Libby e pensava di essere ricambiato. Adesso che le forme e la voce di Martha Reganhart avevano fatto colpo su di lui, sentiva che la coppia di coniugi non avrebbe più costituito un pericolo, sentiva che sarebbe potuto intervenire nella loro vita senza essere costretto a lavarsene le mani. Si vergognò per aver titubato tanto, chiamò John Stigliano e gli suggerì per quel posto vacante Paul Hertz a cui, aggiunse, mancava solo la tesi che era il romanzo che stava scrivendo. In un primo momento John fu scettico nell’assumere uno che faceva scrittura creativa e non un lavoro di ricerca, ma poi si lasciò convincere dalle parole di Gabe sul fatto che Paul Hertz fosse brillante.

Paul Hertz aveva un padre e degli zii che erano dei falliti. Il signor Hertz aveva vissuto una serie di fallimentinel campo dell’abbigliamento maschile, in quello della ferramenta, nell’immobiliare, infine nei surgelati. Non aveva più nulla tranne la sinusite e il terrore che il prossimo fallimento sarebbe stato di natura cardiaca.

Lo zio Asher non si era mai sposato, era un disastro. Bastava guardarlo e sentire il suo odore per farsi un’idea della sua condizione di scapolo: abiti che facevano borse alle ginocchia, tacchi che erano una vergogna, aveva un aspetto trasandato ed era negligente nella cura di sé. Da piccolo Asher era stato un genio, aveva cominciato a studiare Mozart da piccolo, e disegnava in adolescenza modelle dal vivo. La sorella e il cognato provarono a farlo fidanzare, organizzando cene e presentandogi ragazze, ma a lui non sembrava interessargli nessuna.

Poi c’era Lo zio Jerry che dopo 25 anni di matrimonio con una donna, aveva deciso di divorziare, era grassa, lo era sempre stata. Secondo la sorella, la colpa era dello psicoanalista che gli aveva messo in testa strane idee. Sposò poi una ventisette, anche questa grossa, dopo tre settimane la ragazza telefonò in lacrime perché Jerry l’aveva lasciata.

Quando Gabe annunciò il suo fidanzamento con Libby de Witt, impotenti nel distoglierlo dalla sua volontà di sposare una ragazza cattolica e secondo loro malaticcia, i suoi genitori chiesero aiuto agli zii, ritenendolo, tra l’altro, simile nella scelleratezza a loro. Paul era certo che Asher sarebbe stato dalla sua parte. I valori di un uomo che aveva studiato arte a New York, a Chicago, in Europa, che aveva composto musica , che aveva scelto di vivere in una soffitta sopra un bar, non erano i valori di un borghese in rovina e di sua moglie. Asher era un uomo eccentrico, ma libero.

Asher, invece, iniziò a perorare la causa dei genitori di Paul, gli chiese la sua età, poi quella di Libby, gli chiese se la ragazza era incinta. Nell’apprendere che la sua prima volta era stata con Paul, con linguaggio volgare, gli disse che non doveva sentirsi responsabile, e che visto la giovane età di entrambi non avrebbero potuto mantenersi, considerando, inoltre, il fatto che lei fosse malata. Paul fa irato le sue rimostranze, gli spiegò che la ragazza aveva solo avuto il raffreddore quando l’aveva presentata ai suoi, aggiunse che l’amava. A questo punto, Asher gli raccontò che ogni mercoledì pomeriggio una ragazza venticinquenne andava nel suo studio da quattro anni, era sposata e aveva una figlia piccola di cui gli mostrò la foto che portava nel portafogli. Gli raccontò poi che di donne ne aveva amate tante, che se la era spassato, non era affatto quella specie di asceta che aveva rinunciato a tutto in nome dell’arte. Poi continuò dicendo che il matrimonio è la tomba dell’amore, l’anticamera della felicità e che avrebbe dovuto seguire il suo esempio, che non doveva aggrapparsi alle cose, doveva essere un ricettacolo, farsi attraversare, che l’esperienza bisogna farla fluire, che il matrimonio è una forma di rapacità, una ripugnante manifestazione di superbia.

Per supportare la sua tesi, paragonò la vita all’arte, lui, gli spiegò, faceva il ritratto ai gangster, ai ladruncoli, loro erano ricchi e lui il bohemien povero, la nullità, ma il suo lavoro consisteva nell’aggiustare la vita, nel falsificarla e perciò metteva colombe a chi aveva il delitto negli occhi, tralasciava sguardi torvi, pustole, rughe, borse, pori e restavano pelli di pesca. Non aveva pretese di essere il più grande pittore del mondo, ma si metteva a disposizione della vita, accogliendo e assumendo la forma che questa aveva deciso di dargli. A suo avviso, Paul stava forzando la vita, e gli consigliava di aspettare almeno un altro anno per capire se la decisione che stava prendendo fosse quella giusta.

Dal canto suo, Gabe era un giovane determinato, con un forte senso delle conseguenze delle proprie azioni, sapeva, però che il suo progetto matrimoniale non era una rivolta contro i genitori e neppure un semplice capriccio sessuale. Per quanto riguardava i genitori, non aveva senso parlare di rivoluzioni, lui si era sempre rivoltato fin dalla nascita; il suo modo di essere indipendente non aveva fornito l’occasione per le solite lamentele: non c’era mai bisogno di intimargli di andare a studiare in camera sua, aveva sempre preso il massimo dei voti e non si era mai messo nei guai. Aveva ben presto capito che dal padre, deposito di fallimenti, non c’era da aspettarsi nulla, non chiedeva neppure aiuto alla madre che si era diplomata alle magistrali ed era specializzata in aritmetica. Era riuscito a trasmettere a Libby una serietà che lei non possedeva quando si erano conosciuti. Non era il sentirsi in obbligo la molla della sua determinazione a volerla sposare, voleva sposarla non per fare di lei una donna migliore, ma per fare di se stesso un uomo migliore; avrebbe servito le esigenze di un’altra persona sentendo che ne valeva la pena tanto quanto di servire le proprie.

Asher, in seguito, invitò Paul da lui, gli avrebbe presentato Patricia Ann che avrebbe preparato loro un tè. Il mobilio della casa era indescrivibile, oltre all’enorme quantità di piante che aveva preso dalla madre quando questa era morta, c’erano finestroni e di fronte il cavalletto di Asher, fuori correva la sopraelevata e per giungere a quell’appartamento erano passati davanti ad una sfilza di bar pieno di barboni. Patricia Ann puliva le foglie delle piante al loro arrivo; era rotonda, portava delle ballerine, il viso scarno e grazioso. Asher sprofondò nella poltrona in tutta la sua sciatteria mentre la ragazza fece un tè, così come le fu chiesto. Mentre scambiarono alcune battute, Paul pensò cosa potesse attrarre di quell’uomo, compativa quella ragazza e mentre rilevava la mancanza di dignità di tutto l’insieme, fu terrorizzato all’idea che il ripudio dell’ambizione e della rapacità potessero condurlo su un sentiero così poco dignitoso. Mentre Asher dormiva, Patricia Ann confidò a Paul quanto lo zio fosse meraviglioso, gli mostrò anche il ritratto che le stava facendo per il loro quinto anniversario, dopodiché andò via mentre sentiva la voce della ragazza che con epiteti affettuosi svegliava Asher.

Anche lo zio Jerry lo contattò, sapeva di non avere nessun diritto considerando che si conoscevano a malapena e che non conosceva affatto la ragazza; gli disse, infatti che non aveva alcun consiglio da dargli. Dopo aver ripetuto i principali motivi per cui i suoi genitori facevano ostruzionismo, il fatto cioè che fosse malaticcia e cattolica e entrambi troppo giovani, aggiunse che qualsiasi ragionamento di ordine pratico non avrebbe tenuto poiché il cuore fa scelte misteriose e spontanee. Gli ci era voluta metà della vita per scoprire una verità così semplice che è il cuore che sa e decide e negare quella realtà gli aveva procurato nevrosi e pressioni che lo avevano tagliato fuori dal suo io interiore.

Gabe era un pianificatore, determinato, era uno che faceva domande a gennaio per le borse di studio del settembre successivo, avrebbe portato a casa lo stipendio da buon padre di famiglia, tutto secondo i doveri e i ruoli. Le incognite e i rischi erano al di fuori della sua portata. Anche da figlio aveva voluto essere esemplare, voleva sentirsi dalla parte della ragione, diversamente avrebbe già mandato al diavolo i suoi, ed invece aveva presentato Libby a dicembre nella speranza che entro maggio si fossero assuefatti all’idea che si sarebbero sposati. Dopo quel dialogo, lo zio Jerry gli augurò buona fortuna e lo invitò a cena.

Per l’invito a cena, Libby cercò di sforzarsi a tutti i costi nell’intento di piacere, dimenticando di portare con sé la sua personalità, il suo carattere, si agghindò truccandosi pesantemente gli occhi e il naso che, prua svettante, era messo in ombra dal grande albero maestro dei capelli neri rialzati sul capo e che denudavano una nuca fanciullesca. Lo splendore e la raffinatezza di Libby adombravano l’immagine di Paul che, benché avesse un abito scuro, al suo cospetto sembrava avere un’aria trasandata.

L’essersi messa così in ghingheri, l’esibizione di prosperità ed eleganza iniziò a irritare Paul che non trovava in lei tracce della ragazza del college che aveva deciso di sposare: capelli neri lunghi fino alle spalle, labbre esangui, occhi sovraffaticati, la Libby invernalizzata, bibliotechizzata, studentizzata. Sapeva che in quel modo cercava solo di far colpo su almeno qualcuno degli Hertz. La tranquillizzò sussurrandole all’orecchio “moglie mia”, lei lo chiamò, marito mio. Gli bastò a elettrizzarlo, era lui ad averla trasformata fa scolaretta a donna adulta.

Claire, figlia dello zio Jerry, aveva la stessa età di Paul, in famiglia avevano sempre pensato che essendo nati a un mese di distanza l’uno dall’altro, dovessero andare d’accordo, ma dopo un flirt che avevano avuto all’età di 17 anni, non c’era stato affetto tra di loro. Mentre Paul studiava al college letteratura, gli arrivavano notizie delle avventure che Claire aveva alla Syracuse. Quella sera al Plaza, tutto era cambiato. Claire pareva compiaciuta di mostrare a Paul quanto era divenuta matronale e umana, pendeva dalle labbra del marito che sembrava un apparecchio della Ibm dove aveva conseguito una laurea in amministrazione aziendale.

Poi fu attratta da Claire, dal suo vestito, fu in quel momento che Libby iniziò a parlare del suo parrucchiere, iniziarono poi a parlare delle scarpe, dopodichè Libby andò alla toilette, sicuramente a truccarsi ancora un po’ gli occhi, pensò Paul. Claire si complimentò con Paul perché trovava la ragazza affascinante e graziosa, dopo poco si congedò perché la baby sitter sarebbe dovuta andar via. Paul temeva il ritorno di Libby a tavola, non sapeva cosa avrebbe potuto dire. Lo zio Jerry confessò a Gabe che Harold era il ragazzo solido che andava bene per Claire poiché era in grado di tenerla a bada visto che a Syracuse si era data da fare, lui rappresentava quell’immagine paterna che si era dissolta con il suo divorzio poiché nessuno è immune da sentimenti incestuosi. Lui e il genero erano persino vestiti allo stesso modo: abito stretto e cravatta stretta. Si complimentò per il fatto che, anche lui, come Claire avesse trovato quel che conta nella vita, invece che sperimentare, divertendosi.

Al loro ritorno in metropolitana, Libby gli chiese di anticipare il matrimonio invece che aspettare maggio, Paul pensà che tra lavoretti estivi, borse di studio, e un impiego part-time, avrebbero guadagnato abbastanza per pagare i conti e magari sarebbe avanzato qualcosa per comprare un’auto usata. Nonostante Libby si opponesse al fatto di celebrare il matrimonio in muinicipio, fu in quel modo che dovettero sposarsi in quanto nessun rabbino acconsentì a sposarli essendo Libby non ebrea. Libby scese a qualche fermata prima per andare a prendere le sue valigie, Paul fece il resto del viaggio fino a Brooklyn dove andò a trovare i suoi genitori per dare l’oro la notizia. Il padre lo buttò fuori di casa, per lui era il quinto fallimento, quello più insopportabile. Quella sera Paul pianse, mentre Libby gli disse che non avrebbero avuto bisogno di loro.

La bellezza di questo romanzo, al pari di un’opera architettonica greca, consiste nella presenza di in una serie di regole geometriche e matematiche mediante le quali la dimensione di ogni elemento è in rapporto con l’altro creando armonia non solo tra le parti ma un senso di equilibrio e di proporzione dell’edificio romanzesco nella sua interezza.

All’inizio del romanzo, la madre di Gabe fa accenno, nella lettera, alla sua virtù principale che è quella di fare le cose per il bene di qualcuno, è quello che farà Isabel quando metterà il suo patrimonio a disposizione del gusto di Osmnd o quando favorirà il matrimonio di Pansy con un uomo che non ama.

Anne Wallach confessa, inoltre, che ha saputo raggirarsi le persone: sa magistralmente controllare le sue emozioni, è dominante nel suo matrimonio, vuole plasmare il marito che si lascia dominare da forze sconosciute col proprio autocontrollo. Ama non suo marito, ma l’idea in cui l’avrebbe alchimizzato.

Anche Libby Hertz considererà Isabel una donna capace di raggirarsi gli uomini, anzi, secondo lei, l’intero romanzo è pieno di persone che cercano di raggirare l’altro. Libby, come Isabel,  viene trasformata dall’uomo che ha accanto: Paul le conferisce spessore, serietà, più che amarla, lui vuole amarla in quanto è il prodotto della sua trasformazione. Quando durante la cena la sente discutere di verità, arte, bellezza, di correlativo oggettivo, sa che sta ripetendo le sue parole, ne ha fatto una scimmia. Non a caso, nel momento in cui Libby scopre se stessa mostrando velleità di donna e inizia a parlare del parrucchiere e della sua acconciatura, Paul non riconosce più la semplicità su cui ha potuto edificare il suo calco. Lei si presta come materia duttile a essere plasmata, e persino quando gli chiede insistentemente di sposarsi dinanzi ad un rabbino, pronuncia le parole: “Non faremo mai più a modo mio”. Ciò che  unisce Paul a Libby è la possibilità di vivere una vita evitando rischi, si sarebbe unito a lei non per fare di lei una donna migliore, ma per fare di se stesso un uomo migliore.

La compassione è un’altra parola chiave del romanzo, un sentimento intenso che tiene legata Isabel Archer ad Osmond, Anna Wallach al marito a cui cerca di sedare le sconfinate passioni, quella che spinge Gabe a baciare Libby.

Tutti i personaggi cercano di evolversi rispetto a quanto il loro ambiente familiare li ha condizionati e, chi più chi meno inconsciamente, non operano scelte misteriose, quelle dettate dal cuore, ma si legano all’altro in base a considerazioni di ordine pratico.

 

 

 

 

 

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