Leggeranno quando scriveremo per loro

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29 Dicembre 2017

Sono da poco stati resi pubblici i dati Istat sulla lettura e in queste ore se ne sentono parecchie: non leggono perché la scuola non glielo insegna, non leggono perché c’è poco tempo, non leggono perché ci sono troppi libri (che è come dire che non mangiano perché ci sono troppi ristoranti), non leggono perché i libri costano troppo, non leggono perché ci sono le serie tv, non leggono perché ci sono i social, non leggono nonostante la promozione dei libri sui social ecc. ecc.

Premesso che non ho molto da dire sulla manualistica, i ricettari e i volumi di auto-aiuto (ma una cosa la dico: nell’era del web mi pare un assurdo che se ne vendano ancora più di 10 copie per titolo), ciò che mi interessa davvero da scrittore, editore e docente di scrittura creativa è la narrativa. E di tutte le possibili spiegazioni lette in questi giorni quella che mi intriga di più è la combinazione di “non leggono perché c’è poco tempo” e “non leggono perché ci sono le serie tv”.

Se è vero che la lettura di narrativa per il lettore non addetto ai lavori è una forma di intrattenimento, allora tempo e alternative di intrattenimento sono qualcosa che ci deve interessare. Ma di cosa sono fatte queste alternative di intrattenimento rispetto al libro? Una serie tv è regia, è scenografia, è il cast (spesso stellare) che viene scritturato, ma prima di ogni cosa una serie tv è una sceneggiatura. Sono parole. Piaccia o non piaccia: È NARRATIVA.

Certo c’è la variabile del tempo. Ma quanto tempo serve per guardare una serie intera? Lasciamo stare i casi pluridecennali come Grey’s anatomy, Criminal minds, CSI ecc. Prendiamo una serie relativamente breve come Breaking bad: 5 stagioni, 62 episodi da 50 minuti l’uno, 3100 minuti necessari alla visione. Sono 51 ore e mezza. È un tempo sufficiente a leggere 8 libri di lunghezza media (circa 240 pagine).

Ma se ci vuole così tanto tempo, perché questo tempo viene dedicato volentieri a una serie tv e non ai romanzi?

Io la mia risposta ce l’ho da lunga data, non piace a molti del mio settore, ma è la più efficace che abbia trovato per rispondere a questa domanda. Ed è questa: non leggono i romanzi perché sanno che molti autori (io no, i miei autori no, ci tenevo a specificarlo) non li scrivono per loro. Il lettore non è quasi mai il fine ultimo. L’obiezione che solitamente si fa a questa tesi è che andare troppo incontro al lettore significherebbe svilire l’opera. Ma avete visto Breaking bad? Avete presente la gestione del conflitto interno al personaggio in Mad men? La caratterizzazione dei personaggi ne I Soprano? I dialoghi di West wing?

Viviamo nell’età dell’oro della scrittura. I nostri Michelangelo e Leonardo sono gli sceneggiatori americani. È evidente a chiunque abbia a cuore la parola, a chi crede nella magia che descriveva Vittorini: “che un aggettivo possa giungere dove non giunse, cercando la verità, la ragione; o che un avverbio possa recuperare il segreto che si è sottratto ad ogni indagine.”.

Ma perché i Michelangelo sono loro e non i romanzieri?

Perché sanno parlare a uno spettro più ampio di fruitori. Agganciano lo spettatore incolto con la trama, con i personaggi, con il conflitto e poi fanno dire e fare cose ai personaggi che costringono lo spettatore colto a riflettere per giorni. E lo fanno senza sacrificare un briciolo di spessore sull’altare della fruibilità. È tutto qui.

La gente dedica tanto tempo a quella forma di intrattenimento perché quell’opera, quale che sia la loro formazione, per almeno una delle sue stratificazioni, sta parlando direttamente a loro. Non ai critici. Non agli amichetti delle redazioni editoriali. A loro.

In una puntata di West wing due personaggi all’indomani dell’11 settembre discutono se cancellare o meno un pezzo del discorso del presidente degli Stati Uniti all’Onu sulla libertà in alcuni paesi del Medio Oriente e uno dei due, spossato dalla pressione dell’altro sulla necessità di mantenere buoni rapporti con quei paesi, dice: gli andremo a genio quando vinceremo.

Noi non vinceremo mai, questo è bene dirlo. Per quanto noi si possa scrivere bene, saremo comunque una forma faticosa e per nulla spettacolare di intrattenimento rispetto alle alternative. Ma torneranno a leggerci prima o poi. Sarà sufficiente trascurare un po’ il proprio ego, fottersene di cosa penserà la repubblica delle lettere, dare per scontata la stroncatura del critico inaridito e avere come unico fine il lettore, quello debole e quello forte, quello che vuole emozionarsi e quello che sbircia tra le pagine per vedere se c’è un sufficiente peso specifico letterario.
Ci leggeranno quando scriveremo per loro.

 

P.s. Se volete avere chiaro perché i Michelangelo sono loro vi tocca leggere un libro: Addicted – Serie tv e dipendenze – Liberaria 2017

TAG: istat, Lettura
CAT: Letteratura

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