L’importanza di raccontare storie

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9 Ottobre 2020

“Con te nel deserto

Con te nella sete

Con te nel bosco di Tamarindi

Il fiato del leopardo, finalmente”

 

Le storie sono ancora ciò che ci consente di sognare?

Croce e delizia della mia infanzia è stata la maestra che per tre anni avevo alle elementari. Era un’antesignana delle moderne tecniche pedagogiche: ci metteva di fronte ad un’immagine e ci chiedeva di raccontare storie. Reali, di fantasia, non importava, importava buttare giù idee, le biciclette potevano avere ruote quadrate, il sole sorgere di notte, non importava, importava raccontare una storia purché fosse credibile.

Quanto è importante ancora oggi raccontare storie? I ragazzi ne sono assetati, oggi più che mai, forse perché in tempi in cui tutto è poco credibile, la politica offre esempi risibili e poco edificanti, si assiste alla semplificazione di un discorso pseudo – politico, i meme ironizzano su personaggi che hanno perso qualsiasi peso e rilevanza e non fungono più da esempio. La democratizzazione dell’informazione ha consentito a ciascuno di essere esperto su qualsiasi argomento, la documentazione sembra roba da tirannosauri, la banalizzazione e la formulazione di giudizi frettolosi una pratica quotidiana.

Importante per una crescita personale e umana è l’analisi, capire le motivazioni profonde, l’attenzione, cogliere quei particolari che non sono messi a fuoco, ascoltare le voci interiori che spesso, per vergogna, reticenza, imbarazzo, vengono messe a tacere. É una storia che non attinge a fonti e documenti, ma è studio dell’animo umano, nelle sue debolezze, sfaccettature, crepe.

Affinché ciò si realizzi è necessario aprirsi all’altro, comunicare, entrare in una relazione autentica, una pratica che nella scuola, ancora centrata su un modello gerarchico, verticale, di dominio, è assente.

Bisogna che si passi da una relazione di antico stampo basata sul dominio ad una incentrata sul potere, inteso come nomos, germe, non come violenza, trasmissione, relazione gerarchica.

“Un mondo sano è quello in cui si comunica in modo pieno, senza che nessuno schiacci l’altro, mentre è malato un modo in cui alcuni, come virus, prosperano in modo parassitario a spese degli altri, spezzando la circolarità della comunicazione”

Secondo Vigilante, la realtà è spesso una commistione di potere e dominio, di amore e odio, di forza e violenza. Si verifica violenza strutturale quando si operano condizionamenti mentali e visioni segmentate della realtà. Marginalizzare, frammentare, conduce all’ingiustizia sociale.

Affinché una lezione non si riduca soltanto a una sterile trasmissione di contenuti da dover sentire ripetere sentendoci magari gratificati perché testimonia che lo studente ha fatto il suo dovere, ma sia un momento di riflessione, di crescita autoconsapevole, di capacità di porsi nei panni dell’altro, sarebbe necessario che lo studente si senta persona non in attesa di un giudizio che lo ponga in una categoria che lo classifica.

 

Antonio Vigilante, Ecologia del potere, Studio su Danilo Dolci

 

 

 

 

TAG: buonascuola, scuola
CAT: Letteratura

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