“Ma a che ora arriva quel cretino?”

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14 Novembre 2019

B. entrò in ufficio.
Si sedette sulla poltroncina di pelle, si guardò intorno compiaciuto, ammirando lo sfarzo del nuovo mobilio, accuratamente montato solo il giorno prima.
L’angolazione della scrivania rispetto ai punti di luce era perfetta, esattamente come lui l’aveva richiesta.
Fissò con soddisfazione anche il pavimento. Legno caldo con venature ambrate, tirato a lucido, come piaceva a lui.
Socchiuse gli occhi per qualche secondo e pensò a quello che rappresentavano quel mobilio, quel pavimento.
E non solo. C’erano anche le piante. Solide, frondose, disposte in vasi prestigiosi ed eleganti, non in quegli ordinari contenitori di plastica scura con le rotelline che c’erano in quasi tutte le stanze degli altri dirigenti.
Era stata dura ma ce l’aveva fatta.
Pensò a quello che gli aveva detto il giorno prima un collega nel complimentarsi con lui per la recente nomina.
“Cogli finalmente quello che hai seminato. Era impossibile che prima o poi non si accorgessero del tuo valore”
B. si era schermito, assumendo un tono modesto e aveva risposto minimizzando. “Beh, devo ammettere che ho avuto anche molta fortuna” aveva detto.
La smentita del collega era arrivata puntualmente.
“Ma quale fortuna e fortuna! Non fare il modesto. Sei troppo intelligente e consapevole del tuo valore per non sapere che questo posto ti spettava di diritto”.
Per tutta la giornata gli erano arrivate telefonate di congratulazioni e attestati di stima.
Con tutti B. protestava, sempre più debolmente, dichiarando la sua inadeguatezza, per sentire lodare, in maniera sempre più imperiosa e insistente, le sue doti di eccellente uomo d’azienda.
Determinazione. Capacità di risolvere i problemi. Realismo. Spessore intellettuale e culturale. Visione strategica. Capacità di ascolto.
Queste erano le parole con le quali erano state rintuzzate le sue sempre più arrendevoli proteste.
Si alzò dalla scrivania e si accostò alla parete per raddrizzare con un leggero colpetto della mano un quadro che gli sembrava leggermente sbilanciato, diede nuovamente un’occhiata circolare alla stanza e, continuando a sorridere tra sé e sé, passò nella stanza della segretaria.
“Buon giorno, dottore!” scattò quest’ultima con tono festoso e ossequiente.
“Come andiamo?” rispose lui.
“Benissimo- cinguettò la donna- e lei come si sente?”
“Beh, non posso negarlo, ieri è stata una gran giornata”.
“Per come ha lavorato in questi ultimi anni era il minimo che potessero riconoscerle. Anzi a dire la verità, con gli altri colleghi ci siamo chiesti perché non hanno provveduto prima. Ho lavorato con tanti capi, ma non ne ho mai conosciuti di uomini d’azienda in gamba come lei”.
“Via, Eleonora, non esageriamo” tagliò corto lui.
Usualmente tetra e aggrondata, la sua fisionomia era come trasfigurata da un ghigno incontrollabile.
Non stava nella pelle.
L’unica cosa che gli riusciva di pensare, da circa ventiquattr’ore, cioè da quando gli avevano comunicato la promozione, era che ce l’aveva fatta.
Contro tutto e contro tutti.
Contro gli intelligentoni che lo avevano snobbato perché leggeva solo la Gazzetta dello Sport, contro i personaggi evanescenti che, mentre lui sgobbava sulle cose serie e importanti, cianciavano di qualità, di clima, di coinvolgimento, di sviluppo delle risorse.
Si riempiono la bocca di tutte queste cose che leggono nelle riviste di organizzazione o che gli mettono in testa i guru che insegnano ai corsi dove si fanno spedire, pensava.
Meno male che in azienda c’è qualcuno che lavora sodo e non perde tempo a leggere articoli di nessuna sostanza o a frequentare seminari costosi e inutili!
D’altronde è sempre stato così, diceva in giro, ci sono quelli che producono poco e vendono bene la loro merce, ci sono quelli di sostanza come me che lavorano anche per mantenere coloro che passano il tempo a fantasticare.
Spesso si era vantato di essere una delle poche persone in azienda a non aver mai frequentato un corso di formazione.
Di solito aggiungeva, compunto e serioso: “Non sostengo, ovviamente, che la formazione non serva a nulla, anzi è molto utile per acquisire informazioni che non si hanno, per apprendere nuove tecniche, per arricchirsi di nuovi stimoli. Semplicemente, non mi è mai riuscito di trovare il tempo per allontanarmi dall’ufficio”.

Una volta Bianchi lo aveva ridicolizzato per questa sua mania di proclamare ai quattro venti che non aveva mai frequentato un seminario di formazione. “Non hai bisogno di dircelo, si vede”, gli aveva detto, rivolgendo poi un’occhiata sorniona ed ammiccante alle altre persone che si trovavano nella stanza, che non avevano potuto fare a meno di abbandonarsi senza ritegno ad una risata .
Ma adesso quell’umiliazione sembrava lontana. Bianchi era stato tra i primi a congratularsi per la sua nomina e questa volta non c’era ombra di sarcasmo nella sua voce.
“Non potevano che nominare te- gli aveva detto il collega- qualsiasi scelta diversa da questa ci avrebbe stupito”.
B. fece uno sforzo per concentrarsi sugli impegni della giornata.
La segretaria gli stava ricordando che quella mattina aveva un impegno con il presidente all’altro capo della città.
“A che ora?”, chiese lui .
“Tra un’ora, ma c’è molto traffico, forse le conviene avviarsi” rispose la donna.

B. si era rabbuiato. Il presidente lo metteva sempre vagamente a disagio.
Gli faceva un sacco di domande delle quali lui ignorava la risposta.
Qualche volta gli faceva anche delle domande di cui lui ignorava il significato.
“E’ un uomo di spessore”, diceva di lui B. “ma ogni tanto ha qualche scivolata intellettualistica. L’azienda è molto più pane e salame di quanto lui creda.”
Si incamminò contro voglia.
Rientrò nella sua bella stanza, infilò il cappotto e si diresse verso l’ascensore che stava in fondo ad un lunghissimo corridoio.
Scese nel sotterraneo , arrivò alla sua auto, una berlina scura e luccicante, per accorgersi di aver lasciato sul tavolo del suo ufficio il mazzo di chiavi.
Provò a chiamare la segretaria, per farselo portare giù, ma il numero era occupato.
Si riavviò quindi, smadonnando, verso l’ascensore.
Entrato nuovamente nella sua stanza, qualche minuto dopo, afferrò il mazzo di chiavi che stava appoggiato sul tavolo e fece per tornare verso l’ascensore, qunzando fu fermato sulla soglia dallo scoppio di una risata che proveniva dalla stanza adiacente. La porta di comunicazione tra il suo ufficio e quello della sua segretaria era rimasta socchiusa.

Assolutamente ignari della sua presenza, due suoi collaboratori, Bianchi e Astarita, si stavano intrattenendo con la sua segretaria.
Capì subito che parlavano di lui e nonostante la fretta per l’appuntamento con il presidente, non potè fare a meno di fermarsi ad ascoltare.
“E’ convinto che tutto quello che lui non riesce a capire non vada bene per l’azienda. Pensa di incarnare un prototipo di intelligenza media. In realtà è un imbecille da Guiness dei primati” stava sentenziando Bianchi.
“Sei ingiusto” replicò Astarita.
“Meno male che qualcuno mi difende” pensò B. restando sempre perfettamente immobile sulla soglia della sua stanza.
“Non è che non ci arriva”, riprese l’altro, “è che qualsiasi cosa tu gli dici gli entra da un’orecchia e gli esce dall’altra. Ha un problema di concentrazione. Tutto ciò che lo distoglie dalla sua scalata al potere gli sembra un esercizio inutile, qualcosa con la quale possono baloccarsi i bambini, non lui, che è il salvatore della patria!”.
“Beh, ragazzi, non esageriamo- interruppe la segretaria- è uno che si è sempre dato da fare”
“Brava!” pensò B. dal suo nascondiglio.
“A lustrare il sedere di quelli che contano! In questo si è dato da fare” riprendeva nel frattempo Bianchi.
“Ovviamente” rispose ridacchiando la donna.
“Questa la mando via entro stasera!” pensò B. schiumando rabbia.
“Chissà come si sente adesso che è stato nominato” stava dicendo Astarita.
“Come vuoi che si senta?”, ribattè la segretaria, “Come un miracolato, come uno che ha vinto alla lotteria! Stamattina camminava a circa cinque centimetri da terra. Mi ha perfino chiesto come va!”
“Voleva semplicemente che tu gli confermassi che siamo tutti felici per la sua nomina”
“Certo che sì. Naturalmente non l’ho deluso e gli ho riferito che siamo tutti fieri di lui, elettrizzati e commossi. Tra l’altro Natale è vicino e quest’anno che lui è diventato direttore forse mi daranno una gratifica un po’ meno miserabile di quella dell’anno scorso”
“Te la scordi!” ringhiò B. nella stanza adiacente.
“Non è che sei un po’ leccapiedi?” stava giovialmente chiedendo Bianchi alla donna.
“Certo che lo è!” si sentì di condividere B. restando sempre perfettamente immobile e trattenendo il respiro.
“Senti chi parla!”, stava difendendosi la donna, “ma se ti ho sentito io con le mie orecchie che ti complimentavi con lui”,
“Forse non ti ricordi bene l’espressione che ho usato. Gli ho detto che non potevano che scegliere lui e che una soluzione diversa ci avrebbe stupito. Intendevo ovviamente sottolineare la coerenza tra le scelte disastrose che l’azienda sta facendo in tutti i campi e la nomina di B. a direttore”.
“Come sei bravo a impapocchiare i discorsi!”, gli rispose la donna, “La realtà è che, anche tu, come si usa dire, tieni famiglia.”
“Certo che tengo famiglia”, replicò Bianchi risentito.
“D’altro canto- riprese Astarita- ricordiamoci che abbiamo a che fare con un uomo non solo stupido, ma anche terribilmente pericoloso”
“Una cosa è certa”, concluse Bianchi,  “se ci sentisse dire queste cose di lui, il giorno dopo ci troveremmo tutti a lavorare a Tirana”.
“Perché? Abbiamo una consociata in Albania?” chiese la segretaria.
“Certo, cocca, non te l’ha detto il tuo capo?” la canzonò Astarita.
“Non è solo il mio capo , è anche il vostro”.

B. guardò l’orologio e decise che non poteva più restare in ascolto. Il presidente era puntualissimo e piuttosto impaziente.
“Questi li sistemo quando torno!”, pensò, “Tirana però mi sembra troppo vicina”
Aprì la porta, facendo volutamente il maggior fracasso possibile (sentì che nella stanza adiacente ammutolivano) e si avviò verso l’ascensore, fingendo di non sentire il tramestio che si scatenava alle sue spalle.
I tre, passato il primo momento di sorpresa, si erano precipitati verso il corridoio per verificare se era proprio B. la persona che stava in quel momento uscendo dalla stanza.
Mentre la porta dell’ascensore si apriva, B., non senza un brivido di piacere, sentì la voce stridula di Bianchi investire la segretaria: “Ma non ci avevi detto che era dal presidente?”.
Uscendo dal garage con la macchina B. era un concentrato di stupore e di rabbia.
Imboccando il raccordo ignorò completamente un camion con rimorchio che arrivava a tutta velocità.
Circa un’ora più tardi il suo presidente, nelle smanie di un’attesa che ancora non sapeva essere vana, si lasciò scappare con la sua segretaria la seguente frase : “Ma a che ora arriva quel cretino?”.

TAG: racconto cannibale
CAT: Letteratura

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