murgia turba, concita in salita
Una diagnosi tumorale pesante è quella cosa che ti farà oscillare tra sentenza e speranza, è il dualismo sulla tua pelle, è passato e futuro che litigano, è corpo e anima che si accusano a vicenda e in mezzo ci sei tu.
Forse non vorresti nemmeno perdere tempo a raccontare la tua storia, ma se sei una che di mestiere scrive come Michela Murgia o Concita De Gregorio, allora, a un certo punto, il tuo punto, dirlo in giro diventerà una deformazione professionale tanto che anche il tumore si scioglierà e uscirà fuori dalle tue dita, sui tasti che batti, le parole che scrivi.
Raccontare diventa necessario quando spiegare è impossibile, e la malattia, per decenza, non si può spiegare.
Lo sa bene Philippe Forest che nel racconto incendiario del calvario e morte di cancro della figlia di soli tre anni, (Tutti i bambini tranne uno), accoglie la terribile diagnosi fatta alla sua bambina con queste parole: “Non scrivo, ma per non perdermi nell’abisso vuoto di senso del reale, già faccio finta di credere che la malattia sia un racconto”.
Raccontare, forse addirittura raccontarsela costruendo quell’impalcatura di parole, che ti proteggerà e non ti farà perdere “nell’abisso vuoto di senso del reale”.
Una diagnosi infausta ti fa sentire come una casa improvvisamente dichiarata pericolante e che tu cerchi di salvare, ma anche se ponteggi e puntelli non saranno mai la casa, forse ne risparmieranno il ricordo, forse addirittura la vita.
Raccontare oggi significa tante cose e il meccanismo della narrazione non è affidato solo alle parole; così ognuno di noi diventa fautore di piccole timide biografie che abbozza sul suo smartphone.
In questi giorni la cronaca sincronica dei social ha mostrato Murgia e De Gregorio curiosamente intrecciate.
Apparendo in due momenti egualmente potenti eccole : la prima mentre si rade a zero la testa e la seconda mentre esibisce la prima ricrescita dei suoi capelli.
Entrambe sorridenti, entrambe rifiutanti la stupida retorica della battaglia al male e del linguaggio guerresco, sembrerebbero quasi cercarne una sorta di complicità.
Così mentre Michela Murgia parla del cancro come parte possibile della sua complessità di essere senziente e scrivente, Concita De Gregorio lasciandosi scappare a Belve che la malattia è riuscita a farla finalmente un pochino dimagrire, al cancro sembra quasi fare l’occhiolino…come dire che il primo passo per sconfiggere il male è ridimensionarlo.
Forse raccontare per raccontarsela, ma poi crederci fino in fondo, credere al miracolo come atto politico, il resto non conta.
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