Scommessa sul fantino morto

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28 Aprile 2018

Mambretti era da poco arrivato in ufficio. Aveva appena iniziato a leggere la posta quando gli era arrivata la telefonata di un rappresentante sindacale.
“Dottore” – fu l’esordio imbronciato dell’uomo – “che fanno a Menate?”
“Biscotti!” – rispose con prontezza di spirito Mambretti, alludendo ai prodotti dello stabilimento di Menate, uno dei più grossi della multinazionale nella quale operava come Capo del Personale.
“Lo so anch’io che ci facciamo i biscotti!”
“Perché usa il plurale?”- pensò Mambretti – “questo qui non ha mai fatto un biscotto in vita sua…”
Poi disse: “Qual é allora il problema?”
“Dottore, ha letto il nostro comunicato?”
“L’ho qui, sotto il naso”
“E cosa intende fare?”
“Niente”
“Come niente?”
“Non farò niente finché non capirò quello che é successo. Mica l’ho capito dal vostro comunicato. Anzi mi domando cosa abbiano capito i lavoratori che non hanno una diretta conoscenza dei fatti. Io comunque adesso chiamo i miei collaboratori, sperando che sappiano comunicare meglio di voi e mi faccio spiegare bene quello che è successo, poi la chiamo e le faccio sapere cosa intendo fare”
“Ma, dottore…”
“Arrivederci” rispose con soave determinazione Mambretti.

Messo giù il telefono, chiamò il responsabile delle Relazioni sindacali.
“Che problemi ci sono a Menate?”
“I problemi che puntualmente, ogni due o tre settimane, provoca il dottor Rosso.”

Seguì una dettagliata descrizione del fatto.
“Ho capito” disse sospirando Mambretti.
“Abbiamo proprio fatto una scelta infelice…”
Mambretti ricordava le vicende che un anno prima avevano portato alla nomina di Rosso come responsabile dello stabilimento di Menate.
Niente da dire sul curriculum del candidato: laurea alla Bocconi, risultati brillanti alla Ricerca, al Marketing. Valutazioni altissime per quanto riguarda competenze, intuizione, creatività, impegno. Un ragazzo decisamente brillante, alcune delle sue trovate avevano lasciato il segno.
La proposta di metterlo a capo dello stabilimento di Menate, però, non era stata condivisa da Mambretti.
Era stata un’idea del Direttore Generale.
Il Grande Capo – così lo chiamava Mambretti- aveva telefonato di prima mattina ( e questo normalmente era un brutto segno, perché le idee più balorde gli venivano di notte…e da sveglio, come aggiungevano i maligni).
“Mi è venuta un’idea sulla sostituzione di Bombolo” aveva detto, riferendosi al responsabile dello stabilimento di Menate, che era stato designato per dirigere una importante filiale estera del Gruppo.

L’uomo da sostituire, in realtà, non si chiamava Bombolo, ma Tonolo. Tutti, però, lo chiamavano Bombolo per la sua stazza ragguardevole (“un metro e sessanta per un metro e sessanta” diceva lui stesso con quel senso dell’autoironia che lo aveva reso popolare in Azienda, aggiungendo: “sono ormai giunto all’adipe della carriera”).
“Non sarà facile sostituirlo” aveva risposto Mambretti al Grande Capo.
Bombolo sapeva coinvolgere il personale, conosceva alla perfezione tutto il repertorio degli atteggiamenti vincenti con il sindacato, riusciva a raggiungere ogni anno gli obiettivi sempre più complicati e sfidanti che la direzione gli assegnava senza perdere un grammo della sua popolarità, del suo buon umore e…del suo peso.
Non aveva mai fatto un corso sulla leadership o sulla comunicazione, né si era mai soffermato più di tanto sulle riviste di management che ne parlavano in maniera sofisticata e fantasiosa.
“Non è il caso di farla tanto lunga” diceva “non occorre essere Einstein per capire che la gente ha bisogno di attenzione”.
In lui tutto sembrava naturale, eppure Mambretti sapeva che Bombolo non lasciava nulla al caso.
Una volta, per esempio, prima di chiamare un caposquadra che aveva creato qualche problema e che voleva, come usava dire, “trascinare” dalla sua parte, si era informato sul nome di battesimo del figlio dello stesso. Due anni prima quando il bambino era nato, nel fargli le congratulazioni, Bombolo aveva chiesto il nome del bambino e voleva far credere all’interessato che, a distanza di due anni, se ne ricordava.
“A me non costa niente e a lui fa piacere” aveva detto.

Sulla sostituzione di Bombolo Mambretti aveva qualche idea. Aveva esaminato diverse possibilità, arrivando ad individuare due candidature, sulle quali stava facendo una ultima riflessione.
Purtroppo, in quella disgraziata mattina, il Grande Capo lo aveva preso in contropiede.
“Ho pensato a Rosso” aveva detto.
“Che guaio!” aveva pensato Mambretti.
Rosso era uno dei pochi in Azienda per i quali il Grande Capo stravedeva e adesso sarebbe stata un’impresa sostenere che non era la persona adatta a gestire uno stabilimento.
Assolutamente geniale nel suo campo, ma pochissimo orientato verso le persone. Soprattutto restio a prendere in considerazione le infinite variabili del comportamento umano. Gli era facile dominare la complessità dei processi, quelli chimici in particolare, mentre incontrava difficoltà notevoli nell’affrontare la complessità delle situazioni.
Un vero singolista, insomma. Uno di quei professionisti che ogni azienda preferisce strapagare per non correre il rischio di farseli soffiare dalla concorrenza. Ma assolutamente inadatto a fare il capo.
Ma non c’era stato nulla da fare.
“Il Grande Capo” diceva Mambretti “è un innatista. Per lui, se uno è bravo, è bravo in tutto”.

E così Rosso era andato a Menate.
Ed era stato proprio Mambretti, così contrario a quella scelta, a chiamarlo per incoraggiarlo prima della partenza e fugarne i dubbi.
“L’Azienda oggi fa una scommessa su di lei – aveva detto, pomposo e quasi ieratico, come in una delle sue peggiori interpretazioni, Mambretti – ed è una scommessa che è sicura di vincere”.
“Sono lusingato della scelta e vi sono grato per avere pensato a me”- aveva risposto Rosso, al quale i colleghi più accorti avevano spiegato che in questi casi, prima di ogni altra cosa, si ringrazia- “ma non sono sicuro di essere la persona più adatta a ricoprire quell’incarico”
“Come hai ragione!” aveva pensato tra sè e sè Mambretti, mentre, fedele alla consegna, continuava nella sua azione di incoraggiamento.

Già dopo una settimana erano cominciati i primi guai.
Rosso chiamava i colleghi delle Risorse Umane chiedendo istruzioni praticamente su tutto.
Da amante delle scienze esatte, pensava che ad ogni situazione corrispondesse una regola ed era ansioso di applicarla.
La persona con la quale Rosso si intratteneva più spesso era il responsabile delle Relazioni Sindacali.
Quest’ultimo all’inizio si era rallegrato della frequenza di quei contatti: era quello che si dice un “cultore della norma” e all’inizio era stato felice della gestione Rosso.
Poi un bel giorno anche lui aveva cominciato lamentarsi.
“La conoscenza delle regole è importante” – diceva – “ma ci sono situazioni che vanno gestite con il buon senso prima che con le regole”.
Insomma anche lui rimpiangeva Bombolo, che pure, a suo tempo aveva criticato per la sua disinvoltura, ma che, nei sei anni trascorsi a Menate, non aveva mai fatto scoppiare una grana.

Anche la grana di quel giorno veniva da Menate: una applicazione troppo rigida nella gestione dei cambi-turno aveva creato un malcontento che sembrava difficile da far rientrare.
“Forse farei bene a chiamarlo e a dargli un paio di dritte su come si sta al mondo” si era detto a quel punto Mambretti.
La mattina dopo Rosso era seduto di fronte a lui. Capello lungo, ma ben curato, cravatta firmata, abito di buon taglio, le scarpe nere, lucenti come globi di vetro.
Tutto il contrario del suo predecessore che giustificava la propria negligenza dicendo comicamente : “Ho rinunciato a fare del mio corpo un tempio dello spirito”.
Mambretti non sapeva come cominciare.
Così cominciò l’altro:
“Caro dottore, quando mi avete mandato a Menate, io lo sapevo che era uno sbaglio e ve l’ho anche detto. Lei con quella storia della scommessa che l’azienda ha fatto su di me, ha lusingato la mia vanità e non mi è rimasto che accettare. Ma quello che temevo un anno fa adesso lo so con cognizione di causa: non sono adatto a questo lavoro.”

Mambretti gli parlò per tre quarti d’ora. Fece l’elogio della flessibilità. Fu grande. Riempì il discorso di esempi tratti dalla propria esperienza e da quella dei colleghi. Parlò di coinvolgimento delle risorse, di qualità, della comunicazione, della formazione.
Alla fine l’altro pareva rinfrancato.
Ringraziò molto (non aveva dimenticato la lezione sulla opportunità di ringraziare) e se ne tornò a Menate.
Mambretti uscì a prendere un caffè.
Mentre lo beveva pensò :“Mi sa che abbiamo fatto una scommessa su un fantino morto”

TAG: risorse umane
CAT: Letteratura

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