“Solo coloro che non hanno mai scritto lettere d’amore sono ridicoli”

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11 Maggio 2017

Si chiama Ofelia Queiroz, ha diciannove anni, è fresca, carina, spigliata e, contro la volontà dei suoi genitori, ha deciso di trovare un impiego.
Conosce il francese, sa scrivere a macchina e sa anche qualche parola di inglese.
Viene assunta in una piccola azienda commerciale.
Il primo giorno conosce un collega.
E’ un uomo vestito tutto di nero, con gli occhiali, un cappello con la falda alzata ed una cravatta a farfalla.
E’ Fernando Pessoa, il più grande poeta portoghese del ‘900, ed ha già perso la testa per lei.
Iniziano così le schermaglie amorose fra i due due.
E’ quello che in portoghese si chiama il namoro, il periodo in cui si manifesta quell’attrazione reciproca che poi darà luogo al fidanzamento vero e proprio.

Il poeta è di diversi anni più vecchio, ma non si sottrae al gioco degli sguardi, dei baci in punta di labbra tra una scrivania e all’altra, dei bigliettini. I due si scambiano anche una infinità di lettere d’amore.
Lettere che non ci si aspetterebbe dal Poeta dell’Inquietitudine: piene di affettuosità di tipo adolescenziale, di piccole ritrosie, di grandi slanci, perfino di giocosità puerili.

Che dire di questa lettera del maggio 1920?

“Bebè piccino del Nininho-ninhoOh! Ti scrivo questa letteina per dire al Bebè piccino che mi è piaciuta tanto la sua letteina.Oh!
Ed ero tanto triste pecchè non avevo il mio Bebè vicino a dargli tanti cicini.Oh! Questo Nininho è così piccininino!
Oggi questo Nininho qui non viene a Belém pecchè non sa se funzionano i tram e deve essere qui alle sei.
Domani, se tutto va bene, il tuo Nininho esce di qui alle cinque e mezzo.Domani il mio Bebè appetta il suo Nininho, sì? A Belém, sì, sì?

Cicini, cicini e cicini
Fernando”

 

Un linguaggio puerile, una sorta di regressione all’infanzia, un modo di esprimere tenerezza e sentimento in maniera evidentemente troppo banale per poter appartenere al Fernando Pessoa scrittore.
E infatti la funzione delle lettere è quella di ancorare a terra l’uomo plurale perennemente in conflitto con il mondo reale, renderlo persona normale, addirittura mediocre e triviale.

Come dice Antonio Tabucchi, “sembra che Pessoa abbia delegato a un altro se stesso, il compito di vivere una storia d’amore e di scrivere lettere d’amore alla signorina Ophelia Queiroz” .
Insomma, è come se indossasse una maschera, e la giovane Ophelia lo asseconda in questo gioco non chiamandolo mai Fernando: per lei il poeta è il ‘suo Nininho’ o il ‘suo Ibis’ . Oppure Bebé, Bebecito, Bebé-angelito, Bebé cattivo, birichino, piccolino.
Ninita o Ibis sono invece i nomignoli con cui Pessoa si rivolge all’amata.
Insomma, proprio come fanno tutti i teneri amanti, anche il grande poeta inventa un linguaggio intimo ed esclusivo, fatto di frasi e slanci adolescenziali.

Ophelia rappresenta per lui un porto sicuro e stabile, una donna che lo stima e gli dà attenzione, un essere sensibile che lo ama così com’è, senza chiedergli di essere diverso, senza pretendere di cambiarlo.

Il namoro è un momento magico, che il Poeta vorrebbe prolungare all’infinito, proprio perché a questo status di fidanzato, oltre che, naturalmente, al carattere paziente e affettuoso di Ophelia, sa di dovere la sua beatitudine: quella di uomo che coltiva intensamente la sua passione per la letteratura mantenendo anche un sottofondo di dolcezza nella sua vita privata.
Chi non vuole prolungare all’infinito il namoro è, invece, Ophelia.
Ecco cosa scrive, a pochi mesi dall’inizio della storia:
“Fernandinho, se non ha mai pensato a metter su famiglia e se nemmeno ci pensa, le chiedo di dirmelo per iscritto, di comunicarmi le sue intenzioni su di me. Vivere nella completa incertezza mortifica enormemente e io preferirei la delusione al vivere come un’illusa”.

Ma Pessoa sa anche che, il giorno in cui al namoro facesse seguito il matrimonio, Ophelia pretenderebbe un ruolo quanto meno di pari dignità rispetto alla sua Opera, chiedendo di accentrare su di sé una passione che il Poeta sa di poter indirizzare esclusivamente verso la letteratura
Nel dicembre del 1920 Ofélia , stanca di essere presa in giro dall’insicurezza surreale del poeta decide di mettere un punto alla loro storia  e gli scrive queste parole:
“Mi stavo affezionando a uno di questi esseri che si prendono gioco del puro affetto, che sono capaci di stancarsi per poter torturare il cuore delle povere ragazze, cercando di poter avere con loro una relazione non per affetto, non per una simpatia di speranze future, non per interesse e neppure per capriccio, ma soltanto perché piace loro affliggere, infastidire e torturare colei che fra l’altro non aveva mai pensato a lui, e neppure lo conosceva. Proprio bello! Sublime! Grande! Per quanto riguarda le mie lettere, può conservarle, se desidera, sebbene esse siano troppo semplici!

Epilogo scontato : Fernando vive per la poesia, Ophelia è una ragazza di buon senso.
E quale ragazza di buon senso non diffiderebbe degli slanci amorosi di chi ha scritto una poesia come quella, ormai famosissima, che riporto qui sotto?

Tutte le lettere d’amore sono ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore
devono essere ridicole.
Ma, dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.
La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere d’amore
ad essere
ridicoli.

TAG: Fernando Pessoa, lisbona
CAT: Letteratura

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