Spatriati tra Puglia e Berlino nel romanzo di Desiati

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28 Maggio 2022

Mario Desiati – Spatriati – Einaudi, Torino 2021

Una singolare coincidenza vuole che anche questo libro di Desiati, come quello di Piersanti (urly.it/3nzhn), trovi svolgimento temporale agli inizi del secolo/ millennio corrente e che qualche protagonista prenda in entrambi i romanzi il tram 15 a Milano… Ma se il riferimento metanarrativo nell’opera di Piersanti è esplicitamente Anna Karenina qui io vi vedo piuttosto e nella prima parte soltanto, una specie di paesane Relazioni pericolose nella Valle d’Itria. Abbiamo al centro il poliamore assortito e vario della coppia-non-coppia di Francesco Veleno e Claudia Fanelli i cui soggetti della diade dovrebbero amarsi e forse si amano in quella sorta di camaraderie giovanile in cui sesso e amicizia si mischiano. Ma la questione è semplice se vista dai protagonisti cresciuti assieme e per i quali dormire nello stesso letto senza dar fuoco alle ghiandole è un fatto naturale, più complessa dal nostro punto di vista. E perciò vediamo un Francesco, cattolico fervente e bi-omosessuale e Claudia – l’assoluta protagonista tosta e superba della storia – che corre sbrindellata la sua cavallina sessuale tra le campagne di Martina Franca prima, Londra, Milano e Berlino poi. A loro fianco i rispettivi genitori, i Veleno e i Fanelli, col padre di lei il medico Enrico e la madre di lui, l’infermiera Elisa, che allacciano una focosa relazione con le frizzanti risonanze in tutto il sestetto e nel corpo della narrazione. Le linee traccianti che si dipartono da ogni vertice dell’esagono danno proprio l’illusione delle geometrie narrative del romanzo di Laclos nella provincia pugliese, che é glamour ormai e ha una sua attrattiva superba per chi come me ha avuto il piacere di visitarla. Non nascondo, a tal proposito, che le quinte in cui si svolge la prima parte della nostra storia riveli un fattore ammaliante aggiuntivo per il lettore. Il paesaggio, vi ha funzione di impaesamento in uno dei due elementi del principium individuationis (oltre al tempo) e cioè lo spazio, la Puglia:

«Le grandi vetrate del reparto davano sulla Valle d’Itria trapuntata di luci bianche, i coni dei trulli come stalagmiti in una grotta di ghiaccio», ma anche: «In Puglia puoi conoscere perfettamente quanto sei distante dal mare guardando i fiori di campo, il giallo del tarassaco e dell’acetosella prima del blu degli anemoni a due passi dalla costa, ma noi eravamo gente di collina, venivamo dai terreni dei convolvoli e dei papaveri, delle stellarie e della camomilla, e soprattutto dei ciclamini, fiori dalle radici velenose, che si dice però proteggano dai malefici».

Nella seconda parte prevale la techno-giovanile Berlino con i suoi eccessi sessuali. Eppure questa Puglia che conosciamo di recente, rilanciata anche turisticamente nel jet set internazionale che secondo la voce narrante è frutto dell’azione amministrativa del Presidente Vendola «omosessuale ma cattolico», riceve un netto rifiuto della Claudia diventata bocconiana milanese e manager. Se spatriato ha nel dialetto locale il significato di «incerto, disorientato, ramingo, stordito» ma a me piacerebbe dire spiaggiato, s’avanza per i giovani del Sud il sempiterno dilemma degli espatriati veri in questo caso: quello del rapporto con le radici e quella tempesta psichica che il vostro recensore, anch’egli espatriato di qualche generazione prima, rubricherebbe nella categoria esperienza con il Sud, ovvero lo strazio dell’asino di Buridano tra i due mucchi di fieno: il Nord che chiama e il suo polo opposto che richiama.

Impostati i termini primari del teorema narrativo vediamo che lo svolgimento è svelto e arioso per quel che concerne la sbobinatura dell’intrigo almeno nella parte pugliese della vita di Claudia prima del suo decennio milanese e la partenza per Berlino. Brevi capitoli e sintetici giri di frase. Emerge da subito la felicità espressiva della voce narrante allorché coglie i personaggi: «donna dai principî antiquati e le nevrosi modernissime» o le situazioni: «puliva la stanza di Claudia come chi cerca nello sporco una verità nascosta», ma anche porge annotazioni precise e acute: «dall’italiano erano passate al tedesco, come se dismettere la loro lingua natale fosse una muta biologica, un fenomeno che rinnovava l’involucro della loro identità», e «i cliché rasserenano perché fanno credere a un disegno del destino, illudendo che si sia immuni dai suoi tiri mancini».

Si annodano, tra gli eventi e gli esistenti, diversi temi a guisa di leitmotiv. Per intanto il cristianesimo professato dalla voce narrante. Che è una religione sensuosa e ctonia, legata ai miti della terra, ai riti della comunità e ai rovelli interiori. «Era forse questo il mio cristianesimo, aver paura degli uomini tanto da doverli amare?». Si aggiungono poi con senso della sprezzatura il gioco del tetris (che dovrebbe rimandare a significati reconditi che non ho colto), ma anche temi più cogenti, quali l’omosessualità rattenuta in un contesto patriarcale ma liberata ed esplosiva a Berlino (singolare in tal senso la postura di Francesco che compie atti impuri nei circoli gay in riva alla Sprea e sgrana il rosario fra i trulli); il poliamore come testimonianza dell’avvenuta modernizzazione dei costumi specie nelle pagine berlinesi; l’espatrio come destino perenne; la pressione delle famiglie del Sud sull’io («eravamo usciti dalle nostre famiglie riportando ferite profonde, ma le nostre famiglie non erano uscite da noi», leggiamo) e infine non poteva mancare il pensiero meridiano di alcuni autori pugliesi citati nel testo come essudato mentale locale. Non poteva mancare ovviamente l’accenno a Franco Cassano cui la voce narrante sembra indulgere consentanea con il suo elogio della lentezza: «essere lenti come un vecchio treno di campagna» è ritenuto un vantaggio, mentre per gli antimeridiani, che ho letto altrove, ci si troverebbe piuttosto davanti a indulgenti miti regressivi o a «forme di lamento per lo sradicamento, ovvero di critica anti-moderna (laddove il Moderno è il sinonimo di Occidente mentre il Sud è [secondo Cassano] “una forma di vita diversa e autonoma dalla modernità e quindi estranea sì alle sue conquiste, ma anche alle sue patologie”». (Cfr. Francescomaria Tedesco Mediterraneismo. Il pensiero antimeridiano, 2017).
Antimeridiana sembra peraltro l’opzione scelta da Claudia quando sbotta: «Io voglio la mia indipendenza, non voglio essere ricattata da nessuno, parenti, paesaggi, mare e cibo, e questa vostra retorica orrenda». E sceglierà una Berlino che sarà più di una stagione all’inferno, l’esplosione di uno sregolamento programmatico dei sensi.

Un brillante, colto diario generazionale questo romanzo, e una scrittura che cattura e non lascia inerti. Certo, le pagine berlinesi (orgia in locale chiuso, espliciti rapporti omo) non possono lasciare indifferenti, ci sono distanti dalla nostra esperienza, ma fanno parte della contemporanea educazione sentimentale di una generazione che non è la nostra e di cui prendiamo atto. Non sorprendono tuttavia, siamo baudelairiani ipocriti lettori  e ne abbiamo viste tante. E poi leggiamo romanzi anche per farci comodi trip nelle vite altrui e per esperire per interposta persona le vite che non vorremmo vivere e che ci limitiamo ad annusare da turisti dello spirito.
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Una questione tecnica mi ingiunge di segnalare che nella narrazione si alternano una voce che dice “io”, soggetto in prima persona che narra i fatti che gli accadono o cadono nel suo campo visivo, e una voce da narratore onnisciente a focalizzazione zero che vede dall’alto le vicende altrui. Vi risparmio il richiamo a Genette (Figure III) e a tutte le figure del narratore intradiegetico omodiegetico extradiegetico eterodiegetico ecc che qui però sono entrambe presenti separate da uno spazio bianco di ellissi. Per cui nella stessa pagina possiamo avere Claudia in presenza e Francesco che le ingiunge «– Non risparmiarmi nessun dettaglio, – le chiedevo, e sapevo che solo cosí avrei provato piacere nel mio dolore» e poco dopo la stessa Claudia viene seguita nei suoi convegni amorosi con l’amante del momento, il maturo Curcio o più avanti il prof della Bocconi Eugenio Baroni, ove Francesco ovviamente non può esserci ma di cui riporta anche i dettagli, privilegio concesso al Deus absconditus narratore onnisciente che tutto vede. Si potrebbe pensare che sia Claudia a narrarglieli successivamente, ma ciò viene supposto, e comunque è redazionalmente omesso. Talché si ha una procedura stilistica singolare che farebbe storcere il naso ai narratologi più severi o agli insegnanti delle scuole di scrittura creativa, ossia la compresenza del narratore in prima e in terza persona. A me sembra invece che la doppia voce narrante rechi la funzione di allargare o restringere il punto di vista e in ogni caso abbia una sua grazia, anche una certa resa stilistica perché consente un avvicinamento e un distanziamento del materiale emotivo, in questo caso la torbida partecipazione di Francesco alla vita sessuale, vissuta però lontano da lui, della donna amata. E quando più avanti riporta la vita di Claudia a Berlino consente di mantenere il tradizionale sguardo ricognitivo dall’alto senza fartelo pesare, sottraendogli cioè il suo fatale tasso di convenzionalità (tipo “La marchesa uscì alle cinque ” di Paul Valéry).
Una finezza stilistica insomma che andava segnalata.

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Finalisti PREMIO STREGA 2022
A fianco di ogni libro troverete il link alla sua recinzione (recingere con un testo un altro testo) su questa rivista man mano che pubblicherò le recinzioni dei 12 romanzi finalisti.

I finalisti sono:

1. Marco Amerighi con “Randagi” (ed. Bollati Boringhieri), presentato da Silvia Ballestra.

2. Fabio Bacà con “Nova” (ed. Adelphi), presentato da Diego De Silva. urly.it/3nypf

3. Alessandro Bertante con “Mordi e fuggi” (ed. Baldini+Castoldi), presentato da Luca Doninelli. urly.it/3nvnf

4. Alessandra Carati con “E poi saremo salvi” (ed. Mondadori), presentato da Andrea Vitali. urly.it/3p5zh

5. Mario Desiati con “Spatriati” (ed. Einaudi), presentato da Alessandro Piperno. urly.it/3nv-j

6. Veronica Galletta con “Nina sull’argine” (ed. minimum fax), presentato da Gianluca Lioni. urly.it/3p89p

7. Jana Karšaiová con “Divorzio di velluto” (ed. Feltrinelli), presentato da Gad Lerner. urly.it/3nx4h

8. Marino Magliani con “Il cannocchiale del tenente Dumont” (ed. L’Orma), presentato da Giuseppe Conte. urly.it/3n-nv

9. Davide Orecchio con “Storia aperta” (ed. Bompiani), presentato da Martina Testa. urly.it/3p34g

10. Claudio Piersanti con “Quel maledetto Vronskij” (ed. Rizzoli), presentato da Renata Colorni. urly.it/3nzhn

11.Veronica Raimo con “Niente di vero” (ed. Einaudi), presentato da Domenico Procacci. urly.it/3nsnm

12. Daniela Ranieri con “Stradario aggiornato di tutti i miei baci” (ed. Ponte alle Grazie), presentato da Loredana Lipperini. urly.it/3nrz8

 

TAG: Omobisessualità, Rinascimento pugliese, techno- Berlino
CAT: Letteratura

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