Sul cupio dissolvi occidentale

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14 Febbraio 2024

Mi chiedo perché  la poesia contemporanea italiana sia permeata dal cupio dissolvi, inteso come annullamento di sé in senso profano, non religioso. Mi chiedo perché “la notte vince sempre sul giorno”, come cantava Claudio Lolli. Montale scriveva del male di vivere e dell’anello che non tiene. Ungaretti ne “La pietà” scriveva che “l’uomo è “attaccato sul vuoto/ al suo filo di ragno”. In narrativa abbiamo “Morte a Venezia” di Mann e “Il male oscuro” di Berto. Poeti e scrittori ce l’avevano detto che qualcosa non andava.  Inoltre sarebbe troppo lungo l’elenco degli scrittori e dei poeti che si sono autodistrutti, che si autodistruggono, che sono depressi, che tentano o che compiono il gesto estremo. Che la depressione in questi casi sia solo endogena oppure sia reattiva? Quanto dipende dalla personalità, dai disturbi dell’umore degli artisti e quindi dalla loro psicologia e quanto invece dipende dalla società e dalla cultura?  Per il suicidio gli esperti parlano di multicausalità; ci sono diverse concause, ma il fattore prevalente è quello psicologico, più che quello sociologico e culturale. Si pensi all’autodistruzione del club dei 27, ovvero delle rockstar morte a 27 anni.  Insomma gli artisti sarebbero in gran parte saturnini, come scriveva Calvino in “Lezioni americane”. E non vi fate ingannare dal vitalismo sfrenato, dal titanismo molto raro, a dire il vero, di alcuni autori, perché dietro questa apparente voglia di vivere si potrebbe nascondere una depressione mascherata, un disturbo bipolare o nei casi più fortunati una ciclotimia! Ma al di là di questo va tenuto presente che gli artisti hanno le antenne, sono i canarini nella miniera, a volte addirittura anticipano i tempi, sono delle cassandre, riescono a vedere oltre, a guardare dove gli altri non riescono a guardare o dove gli altri non hanno il coraggio di guardare. Così come bisogna tener presente che la poesia ha ormai perso contro la scienza, la tecnologia, l’economia. I poeti sono rimasti soli e in gran parte dei casi incompresi. La scrittura per alcuni autori è diventata vita posticcia, una non vita della non vita: per alcuni una non vita al quadrato. Alcuni autori cercano una soluzione ai loro problemi e invece questi vengono amplificati.

Ma perché l’Occidente intero è percorso dal cupio dissolvi? Ad esempio si può addurre qualsiasi spiegazione razionale  sul nazismo. Si può citare Adorno e Horkheimer e la loro la dialettica dell’illuminismo. Si può ricordare che il sonno della ragione crea mostri. Si può sostenere con la Arendt la banalità del male. Si può pensare all’obbedienza acritica all’autorità, dimostrata scientificamente dall’esperimento di Milgram. Si può citare la  teoria della stupidità di Bonhoeffer. Ma resta un mistero, un’assurdità in ogni caso come un popolo civile e colto come quello tedesco abbia prodotto i campi di concentramento.  Hitler era il portatore folle di una cultura di morte. Ma perché oltre alla sua follia individuale così necrofila, anche un intero popolo è diventato necrofilo? I nazisti erano davvero convinti di vincere la guerra e conquistare il mondo oppure dietro alla loro megalomania e alla loro sensazione di onnipotenza c’era un impulso di morte non solo diretto verso gli altri ma anche verso sé stessi? Non esisteva forse un cupio dissolvi assoluto di Hitler e un cupio dissolvi assoluto del popolo tedesco, che l’ha seguito?!? Gran parte della cultura non è biofila. Cosa ci dice in fondo la cultura contemporanea? Per Darwin esiste la lotta per la vita, la selezione naturale, l’eliminazione del meno adatto. Per Freud uccidiamo il padre per superare la fase edipica. Per Marx il capitalismo è sfruttamento dell’uomo sull’uomo e l’unico modo per cambiare veramente le cose è il ricorso alla violenza. E poi parte della cultura è necrofila, se legittimamente anche le dittature, purtroppo, sono da considerare  cultura dei popoli, delle nazioni e se, come sempre accade, gran parte del popolo e degli intellettuali ha favorito e sostenuto le dittature.

Ma qui il discorso necessariamente va esteso, va aggiornato e bisogna chiedersi perché  oggi sempre più persone nella società si autodistruggono e perché ad esempio sempre più adolescenti compiono atti autolesionisti.  Quanto ancora riguarda la mera individualità e quanto dipende da fattori sociali e culturali? È difficile dare una risposta, perché si rischia che sia inadeguata, approssimativa, addirittura fuori luogo o fuori tema. Un tempo alcuni dicevano che per capire certe dinamiche ci voleva l’immaginazione sociologica. Ebbene oggi non basta più!

Perché in Italia (secondo i dati dell’Istat) e nel mondo (secondo i dati dell’Oms)  le prime cause di morte per i giovani  sono gli incidenti stradali e il suicidio? Questo dipende anche dalla cultura, di cui tutti siamo intrisi, perché ogni persona è il frutto dell’interazione continua tra natura e cultura. Perché le persone si drogano, diventano alcolizzate,  mangiano troppo, fumano troppo, giocano d’azzardo, guidano a velocità troppo elevata? Alcuni dicono che manca oggi il senso del limite. Non avere senso del limite significa essere irresponsabili, prendere la vita come un videogame, ma anche non volersi bene, infischiandosene delle conseguenze delle proprie azioni: ancora una volta quindi  autodistruzione pura! Uno dei motivi è che alcuni si fanno del male perché non sopportano la loro vita, sempre identica, sciatta, noiosa, alienante, meccanica, ripetitiva, comune. In questi comportamenti dannosi e autodistruttivi c’è un Eros che diventa Thanatos, che si lascia sopraffare da Thanatos, come nel marchese De Sade, che nei suoi scritti porta all’estremo questo automatismo psicologico ed esistenziale. Quante volte diciamo o sentiamo dire: “questa non è vita”. E come non ricordare la vita inautentica per Heidegger? Come non ricordare il nichilismo occidentale? Come non pensare al vuoto esistenziale, alla solitudine,  al disagio interiore, all’incomunicabilità, allo stress, alla depressione, alla paura di diventare poveri, all’ansia, all’angoscia di vivere? Non è casuale che in Occidente molte persone prendano calmanti, psicofarmaci, sonniferi. Decenni fa la pubblicità del Cynar recitava lo slogan: “per combattere il logorio della vita moderna”. Prima di tutto esistono i problemi lavorativi, sentimentali, familiari,  sessuali; esistono anche la crisi economica e  la competizione esasperata. Ci vuole poco per essere out!  Inoltre molti credono ai falsi miti, ai vitelli d’oro. I mass media propinano come modelli attrici, cantanti, calciatori, che esteticamente e per stile di vita sono irraggiungibili. Questa è l’epoca della deprivazione relativa. Abbiamo aspettative di vita più alte dei nostri avi. Sperimentiamo un senso di grande ingiustizia per chi sta meglio di noi senza meritarselo secondo noi, e non consideriamo che anche noi stiamo meglio di altre persone, senza avere merito alcuno, magari solo perché siamo nati nel primo mondo. E poi il cupio dissolvi moderno si può spiegare prendendo spunto  da quello che Freud chiamava  disagio della civiltà, ovvero con la repressione degli istinti. Ora le cose sono cambiate, ma il meccanismo è lo stesso: a onor del vero c’è molta meno repressione, ma ci sono molti più stimoli esterni erotici ad esempio  (si pensi alla diffusione del porno di massa) che aumentano l’istintualità,  accrescono il desiderio;  queste due cose si controbilanciano e creano comunque disagio. La società odierna punta molto su questa costante antropologica: l’uomo vuole sempre di più, non si accontenta mai, ha un desiderio insaziabile. Di conseguenza la sua frustrazione è sempre maggiore e ciò produce ulteriore aggressività. Cosa fare per liberarsi da queste catene? Cercare di pensare con la propria testa, di seguire la propria strada, di liberarsi dai condizionamenti dei mass media, dalla mentalità comune e dalle pastoie della cultura occidentale, riuscendo a ritagliarsi uno spazio vitale tutto per sé, che permetta un minimo di autonomia di pensiero e indipendenza critica, per quanto possibile. Queste sono le prime cose da fare per dire sì alla vita al giorno d’oggi: facile a dirsi ma molto difficile a farsi, perché presuppone l’inizio di un percorso di autoconoscenza e di lavoro su sé stessi, che può originariamente portare anche a sofferenza, fatica, incomprensioni.

 

 

 

 

TAG: Autodistruzione, autolesionismo, Cupio dissolvi, davide morelli, poeti
CAT: Letteratura

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