Un giro con La bella di Lodi di Alberto Arbasino

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25 Giugno 2019

La bella di Lodi, nonostante sia una delle opere di Arbasino meno recensite, venne accolta già al momento della sua pubblicazione con grande successo di pubblico, in termini di vendite e di acclamazione. La grandezza di Arbasino è stata (e sta) nell’essere riuscito a ricreare, attraverso l’ambientazione, i personaggi, le loro modalità di relazione e i loro dialoghi, il clima di una certa Italia del dopoguerra, immersa a pieno nel boom economico e nelle sue nuove frivolezze; il tema del romanzo potrebbe essere ricondotto, infatti, a uno spaccato di gioventù viva e attiva in quel periodo, certamente non rappresentativo di tutta la gioventù dell’epoca, ma di sicuro indice di una parte della stessa, quella più benestante e agiata, sospesa, come ben evidenzia Federico Della Corte nel suo saggio Come ombre vivaci sullo sfondo. Studio su La bella di Lodi* di Alberto Arbasino, tra una dimensione internazionale e una di provincia (p. 17).

Vengono narrate le vicende di Roberta, giovane della borghesia industriale lombarda, che dopo aver passato una notte d’amore con il meccanico Franco/Italo, viene da lui derubata e lasciata sola; qualche mese dopo Roberta lo ritrova e riesce a mandarlo in prigione anche se, una volta tornato in libertà, tra i due riprende l’interrotto idillio di passione, che culminerà nel loro matrimonio, spinto (se non addirittura ordinato) dalla nonna di Roberta.

 

Roberta e Franco sono, evidentemente, i protagonisti della vicenda, sebbene tra i personaggi di spicco figurino anche la nonna di Roberta, il fratello di Roberta (Sandro) e l’amico di Sandro e Roberta (Giorgio). Una della straordinarietà di Arbasino sta nel non caratterizzare psicologicamente i personaggi, ai quali non solo sembrano essere state sradicate le origini (non si sa chi né dove siano i genitori di Roberta e Sandro o di Franco), ma sui quali non viene nemmeno creata un’indagine comportamentale o emotiva, facendoli apparire personaggi zombie con totale piattezza psicologica (Della Corte p.62).

La loro azione all’interno del romanzo procede costantemente per decomposizioni a gruppi di due o di tre: Roberta e Sandro, fratelli legatissimi ed esteticamente somiglianti, con un dialogo libero e aperto e un forte attaccamento fisico; Roberta e la nonna, a cui viene delegato il compito di personaggi forti, in pieno accordo con l’intento di Arbasino di spostare l’attenzione dalla figura maschile a quella femminile; Franco e Roberta emblema del ribaltamento del classico ruolo dei sessi; Sandro, Giorgio e Roberta in cui Giorgio diventa una sorta di surrogato di Franco, in una descrizione mimetica che lo vuole simile sia a Sandro che a Roberta; Sandro e il nonno, rappresentanti della debolezza del genere maschile, su cui Arbasino insiste costantemente descrivendoli come elementi di decoro.

All’interno de La Bella di Lodi si concretizza, quindi, quell’idea di doppio, esemplificata dai Menecmi di Plauto, in cui è la somiglianza, e il regime del quasi da essa scaturente, a creare ambivalenza e richiami continui sul piano narratologico: tutti gli elementi del romanzo ruotano attorno e sostengono l’idea di duplicità proposta da Arbasino, con un evidente rimando ai processi identitari di definizione dei personaggi, agenti all’interno di un clima permeato da spirito laico e libertà sessuale.

L’ambientazione è caratterizzata prevalentemente da spazi aperti, lontani da elementi di chiusura e di ristrettezza, in cui spicca la spiaggia, emblema della neutralità sociale impossibile in altro luogo (Della Cote p. 103); il cronotopo della festa e i continui riferimenti alla città di Londra sono gli altri due topoi del piano spaziale.

Ad assumere un ruolo centrale ne La bella di Lodi sono, però, gli oggetti a cui è affidato il compito di alludere (o di descrivere esplicitamente) alla classe sociale di chi li adopera o possiede: tra essi spicca senza dubbio l’automobile, simbolo anche dell’emancipazione femminile.

Dal punto di vista dello stile, per adempiere a quell’idea di internazionalità di cui si diceva, sono frequenti i francesismi e soprattutto gli anglo-americanismi, usati principalmente per parlare di capi di abbigliamento e bevande; attraverso le stesse, storpiate o utilizzate senza motivo, Arbasino conduce una critica ironica nei confronti del provincialismo. A predominare è comunque, sia nella narrazione che nei dialoghi tra i personaggi, un italiano regionale lombardo, che non diventa mai dialetto, rifiutato da Arbasino, assai categorico anche sul totale discostamento sia dal narratore omnisciente, che dalla narrazione oggettiva. L’autore infatti sceglie di avvalersi della terza persona insediata, però, sia emotivamente che sociolinguisticamente dentro l’ambiente e nei discorsi dei protagonisti: tale scelta determina delle oscillazioni continue, in cui vengono inglobati non solo le parti dialogiche, ma anche l’uso del discorso indiretto libero, della prima persona o di una terza persona poco informata e inaffidabile. Arbasino anela a trovare un punto di vista privilegiato sulla realtà, che la riveli per quello che è, assimilabile quindi a un punto di vista divino (Della Corte p. 159); non a caso, sebbene il narratore non sia omnisciente e il suo stile di parola si avvicini a quello dei personaggi, esso rimane a un livello diverso, superiore.

La bella di Lodi, pur nella sua omogeneità stilistica e facilmente riconducibile -come evidenziò anche Calvino- alla penna di Arbasino, è difficilmente incasellabile all’interno di generi letterari ben definiti; ed è in questa forma spuria ma incisiva la sua grandezza, la sua inesauribile ricchezza che la rende, a tutti gli effetti, un’opera senza tempo.

* Federico Della Corte, Come ombre vivaci sullo sfondo. Studio su La bella di Lodi di Alberto Arbasino, Libreria Universitaria, Padova 2014

TAG: adelphi, Alberto Arbasino, anni Sessanta, La bella di Lodi, libri
CAT: Letteratura

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