Un libro indimenticabile
Era il lontano 1985. Coltivavo tiepide velleità letterarie, a quei tempi, ipotizzando l’idea che il moribondo romanzo dovesse venir sostituito con racconti di una o due paginette, unica forma di scrittura adatta ai tempi brevi del secolo breve. Vedete?, dicevo, tutti i grandi romanzi sono già stati scritti, nella forma tradizionale ottocentesca e poi in quella più rivoluzionaria del Novecento, da Proust a Joyce, da Kafka a Musil. Che senso ha riproporne altri, che non raggiungeranno mai le vette di quei capolavori? Se qualcuno vuole leggersi un bel libro, vada a riprendersi quelli: non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Un amico, sentendomi puntualizzare spesso queste mie apodittiche argomentazioni giovanili, si presentò un bel giorno con un romanzo fresco di stampa, uscito da una piccola casa editrice, di un suo vecchio compagno di scuola. Il libro era intitolato “Il pantarei”, edizioni SPS. L’autore: Ezio Sinigaglia. Leggilo, mi disse, forse ti farà cambiare idea sulla morte del romanzo.
Iniziai, un po’ scettico per la verità. Ma quell’iniziale scetticismo durò esattamente una pagina e mezzo, dopo le quali mi resi conto di star leggendo un piccolo capolavoro. Il racconto intenso e ironico delle avventure del suo protagonista, Daniele Stern, nella Milano degli anni Ottanta, interagiva con i brevi ma azzeccati intermezzi saggistici, che descrivevano l’opera fondamentale dei più rilevanti scrittori del Novecento, protagonisti della destrutturazione del romanzo classico. Terminai le 250 pagine del libro, mi pare, in un paio di giorni, sospendendo quasi tutte le altre attività collaterali: lavoro, cene, cinema, basket, fidanzate e insegnamento. Mi diedi malato, fino al completamento della lettura (e della veloce rilettura di alcune sue parti).
Come San Paolo sulla via di Damasco, mi ricredetti immediatamente. Il romanzo non è affatto morto, se si scrivono opere così! Lo conobbi, poi, questo Ezio Sinigaglia. Era simpatico, spiritoso, arguto. Somigliava un po’ al protagonista del suo romanzo. Anzi, forse era effettivamente lui, o un suo alter-ego. Poligrafico, redattore di improbabili enciclopedie delle donne, correttore di bozze, ghost-writer, traduttore di capolavori francesi.
Ma il romanzo, oh, il romanzo era un piccolo gioiello, scritto da un trentenne che pareva avere la maturità di un cinquantenne, di un consumato scrittore che riesca ad indovinare tutte le parole giuste al momento giusto, con ritmi e cadenze degne di un consumato forgiatore dell’anima, come ciò che voleva diventare il Dedalus di Joyce.
Non ha avuto successo, quel suo Pantarei. Tutte le più importanti casi editrici erano in procinto di pubblicarlo, da Adelphi a Sellerio, fino a Mondadori o Einaudi. Ma poi, per una ragione o per un’altra, alla fine, tutte si tiravano indietro. Troppo difficile, troppo colto, troppo bello, bisognerebbe iniziare da qui una collana sui giovani talenti nostrani, ma chi mettere dopo di lui? E’ un caso più unico che raro, meglio continuare con Moravia, con Calvino, con il futuro Umberto Eco. Ci garantiscono lettori affezionati, non un salto nell’ignoto di uno scrittore in erba, che pare un provetto narratore, ma chi lo sa come potrebbero essere le reazioni del pubblico. Il rischio non vale la candela.
Ezio Sinigaglia da allora ha scritto altro, ha scritto molto, ma senza mai pubblicare più nulla. Un grande scrittore colpevolmente dimenticato fino ad un paio di anni fa, quando un’altra piccola casa editrice, Nutrimenti, esce con un suo nuovo romanzo, breve: “Eclissi”, che vince numerosi premi. Si risveglia l’interesse nei suoi confronti, e quel suo primo capolavoro – tanto amato dal grande Vittorio Sereni, da Giuliano Gramigna e da Giovanna Bemporad – viene ripubblicato da un altro piccolo e coraggioso editore pugliese, TerraRossa.
E oggi, rileggendolo per la terza o quarta volta, in questa nuova ri-edizione, il piacere della lettura si rinnova a distanza di quasi 35 anni, immutato. Di cosa parla questo libro quasi-inedito? Parla di noi, parla della scrittura, parla dell’evoluzione del romanzo, parla della nostra storia, del nostro rapporto con la vita, con l’amore, con se stessi e con chi gravita intorno a noi, della società e dei tristi o gioiosi protagonisti della nostra vita quotidiana, delle cadute e delle risalite, del coinvolgimento e del distacco, dell’ironia con cui vivere la nostra esistenza, e delle nostre paure di essere all’altezza di noi stessi, senza arretramenti e ignavie.
Non si può raccontare, non è possibile farne un breve riassunto. Bisogna leggerlo, immergersi nelle sue parole, nel racconto di una settimana che cambia la vita del suo protagonista e della storia del romanzo, della sua rinascita, proprio quando tutto pareva in via di estinzione. Il Pantarei è il più bel libro scritto negli ultimi 40 anni in Italia, e leggerlo è obbligatorio.
In my opinion.
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Un commento
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Mi ha convinto. L’ho acquistato!