Intromettersi – Ci vuole vita per amare la Vita

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23 Luglio 2020

Quando da bambini si guardavano o ascoltavano storie di avventura, ci si ritrovava poi colmi di uno splendido eccesso di energia che portava a cavalcare scope come fossero cavalli, duellare in tutta la casa, andare all’arrembaggio di divani o a scoprire zone remote di un giardino come fossero nuovi continenti.

Ancora adesso, certi romanzi di avventura, certi racconti di viaggi ed esplorazioni mi riempiono di un’euforica voglia di esplorare, viaggiare e imbarcarmi in qualsiasi genere di sfida. Si può trattare tanto di immaginari distanti dal quotidiano, come L’isola del tesoro di Stevenson o La vera storia del pirata Long John Silver di Björn Larsson, quanto di biografie più vicine e reali di personaggi particolarmente densi e intensi, da cui mutuare propositi o slanci: in entrambi i casi succede che queste letture lascino in circolo, una volta chiuso il libro, una potente carica di adrenalina, che a volte si placa con una sigaretta o una passeggiata, ma che altre dà corpo a fiumi di idee che magari, addirittura, si trasformano in azioni. Insomma: trasmettono una forte voglia di vivere. Sono libri che, essendo di per sé delle avventure, stimolano a percepire la vita stessa come un luogo d’avventura, in cui cercare tesori, combattere contro i pirati (o meglio ancora essere i pirati), ma in cui, di certo, mettersi in gioco, uscire, scoprire, perdersi.

Leggere Intromettersi, breve libro appena uscito per Eleuthera, in cui l’antropologo Franco La Cecla racconta a Leonardo Caffo il proprio percorso, mi ha fatto esattamente questo effetto di “libro-avventura”.

 

Franco racconta con entusiasmo caldo, sembra di sentirne la voce e intravedere il sorriso e la serietà con cui parla.

Si parte dalla Palermo del ‘68, tra marxismo, echi libertari provenienti da Parigi e una base cristiana che “[produceva] un attaccamento alla vita, l’idea di fondo che la vita è superiore alla morale, che tutto valga. Non solo, ma che tutto è riscattabile”, e dove “l’unico comandamento è prendersi cura degli altri e di se stessi”. L’esperienza politica giovanile diventa già l’occasione per mettere in discussione l’atteggiamento borghese “che non capisce che la vita va presa sul serio”, per sviluppare il desiderio di fare un lavoro concretamente utile “che non fosse il lavoro salariato”, per coltivare l’impulso a spingersi fuori dai propri confini e per individuare la trasversalità come mezzo o attitudine con cui porsi nelle cose.

A Palermo studia architettura, di cui dice che non gliene “fregava nulla”: gli interessa però l’autocostruzione, “cosa accadeva quando la gente si costruiva la sua casa”, insomma l’umanità più concreta che sta alla base dell’abitare. E infatti si laurea proprio sulla ricostruzione di un paese alluvionato in Calabria: la sua “prima India”, come nota Caffo, dove si trova a lavorare più che progettare. Incontra il mondo contadino, riflette sul Meridione abbandonato dal PCI, e sul Sud devastato dall’Unità d’Italia.

Da qui si passa alla Venezia della fastidiosa sinistra con il loden, e poi di nuovo in Sicilia dove da assistente universitario squattrinato si trova a fare l’autostop sulla Palermo-Catania e a dormire a casa degli studenti, poi a Bologna dove presiede la lega degli obiettori di coscienza, scrive sul manifesto e organizza le prime manifestazioni contro il nucleare.

In quel periodo incontra Ivan Illich, lo invita a un convegno sull’autocostruzione che stava organizzando a Rimini e a poi a una festa in suo onore a Palermo; nel frattempo vanno insieme a Parigi e a Berlino. Intanto è diventato ricercatore al DAMS dove lavora con il suo mentore Carlo Doglio, ma Illich lo invita a Berkeley e Franco, ovviamente, prende un congedo e parte. Vive con Illich e altri studenti in una casa in collina ma rifiuta di farsi “educare”, da cane sciolto che è resta fedele al suo cammino personale, in cui smarrirsi e ritrovarsi – e proprio sul perdersi lavorava in quel periodo. Così scivola fuori dalla protezione di Illich e comincia a scoprire da solo la città, la gente, il movimento ecologista che vi gravita attorno, si immerge nei garage di San Francisco, “un luogo che non è pensato per fare soldi, dove la notte non finisce mai”. Diventa Visiting Scholar a Berkeley, lavora con Feyerabend, incontra Foucault che “piuttosto che parlare di lotta di classe e di tutto il resto, ti diceva che esiste una microfisica per cui è all’interno di ciascuno di noi che si crea il conflitto” e metteva quindi in discussione la lotta di classe com’era stata finora concepita. Va insomma a cercare l’altra strada: ogni volta che fiuta un pensiero o un sentiero troppo battuto, troppo manicheo, troppo conformato, lo attraversa e cambia via, prende e impara ma sempre evitando di farsi imbrigliare, predilige un antagonismo con radici spirituali e sempre alternativo.

Lavora sul perdersi nello spazio e nella sessualità, interroga la soglia che separa maschile e femminile, affermando che lo smarrirsi è l’unica possibilità di esperienza pura dello spazio “perché quando uno si perde diventa vittima dello spazio: non sai più dove sei perché lo spazio è più forte di te”.

Passano due anni, incontra l’antropologo italiano Maurizio Gnerre che lo invita a lavorare con lui a Roma sulle lingue amazzoniche. Proprio nel momento in cui gli “si sono aperte tutte le porte (…) come spesso [gli] è accaduto, decid[e] di andarsene” e lascia la California.

Torna in Italia, cerca di passare ad antropologia, non riesce, incontra Paolo Fabbri che gli presta la casa a Parigi dove può ricominciare a studiare e con lui scopre la linguistica, diventa suo assistente a Bologna e poi lo segue all’Istituto italiano di Cultura a Parigi mentre il MIUR lo processa per assenteismo. Siamo alla fine degli anni ’80.

Si interessa di animismo in antropologia, fonda i Verdi, organizza un convegno sulla Pornoecologia, incontra l’archeologo Maurizio Tosi e va con lui in India, poi da solo in Tibet. Più tardi torna in India con l’amico regista Stefano Savona, insieme girano documentari, Franco fa amicizia con l’attrice Nandana Sen, figlia di Amartya Sen, e con lei progetta un film che non gireranno mai ma che lo porta a New York e poi a Bombay a parlare con produttori di Bollywood.

 

Ci sono ancora da raccontare il momento in cui ferma un aereo diretto in Senegal per aiutare un rifugiato maltrattato dalla polizia e si fa arrestare, poi gli anni passati a Istanbul, poi Milano, l’amicizia con l’antropologo Andrea Staid, il San Raffaele, la Naba, i viaggi… E ci sono anche, sfiorati, i discorsi relativi all’Elogio dell’Occidente (Eleuthera, 2016), quelli sulla percezione del desiderio maschile rispetto a quello femminile (Il punto G dell’uomo, Nottetempo, 2011) e soprattutto quelli sull’amicizia e la relazione (Essere amici, Einaudi, 2019).

 

Intromettersi è un libro d’avventura, avventura nella vita e nel pensiero: arrivati all’ultima pagina, viene voglia, come da bambini di improvvisarsi pirati, ora di uscire, conoscere, rischiare, “andare nel posto sbagliato”, “restare nel posto sbagliato” (titoli di due sui libri pubblicati rispettivamente nel 2015 e nel 2017 per Milieu), viaggiare, farsi coinvolgere, essere antropologi fra gli architetti o architetti fra gli antropologi, intromettersi appunto nei confini dello spazio e del pensiero, intervenire, passare attraverso.

 

Questo non è il momento migliore e forse per alcuni mesi, ancora, parte della vita sarà online (alcuni corsi universitari e non, eventi etc) e se sarà necessario si troveranno stimoli in confini più stretti e contatti più accorti. Poi però passerà: l’influenza spagnola durò quasi tre anni, ma appena finì cominciarono in Francia gli anni di Cocteau, Picasso, Chanel, di idee, cambiamenti, feste, spettacoli, cinema.

Di certo non succede di essere invitati a Berkeley da Ivan Illich che intanto ti lancia mele da un albero durante un convegno su zoom. Probabilmente non si viene nemmeno arrestati su un aereo per il Senegal, stando in salvo dietro al computer, e questo può essere un bene o un male. L’importante è ricordarsene e, intanto, varcare se non i confini dello spazio almeno quelli del pensiero.

Come dice Franco nelle prime pagine del libro, “Non si può vivere in maniera limitata” e a me viene in mente la Lucinda Matlock di Edgar Lee Masters che avverte “ci vuole vita per amare la Vita”.

 

 

 

TAG: antropologia, Cultura, Franco La Cecla, Ivan Illich, Leonardo Caffo, palermo
CAT: Letteratura, Palermo

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