Eugenio Borgna (Borgomanero 1930), già libero docente di Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università di Milano e Primario emerito dell’ospedale psichiatrico di Novara, è tra i principali esponenti della psichiatria fenomenologica, che sposta il suo oggetto di analisi dalla malattia al paziente. Sostenitore di una “psichiatria dell’interiorità” in grado di ricostruire la dimensione profonda e soggettiva del disagio psichico, indagata attraversando letteratura, filosofia e arte, ha compiuto studi approfonditi sulla depressione e la schizofrenia, come dimostrano numerosi saggi scientifici e pubblicazioni divulgative. Fra i titoli della sua ricca produzione vanno citati: Malinconia (1992); Le figure dell’ansia (1997); Noi siamo un colloquio (1999); L’arcipelago delle emozioni (2001); Le intermittenze del cuore (2003); L’attesa e la speranza (2005); La solitudine dell’anima (2011); La fragilità che è in noi (2014); L’agonia della psichiatria (2022); Sull’amicizia (2022); Mitezza (2023).
Professore, in tutti i suoi libri sulla psichiatria e la psicanalisi, pubblicati soprattutto da Einaudi e Feltrinelli, si è soffermato spesso sull’importanza della poesia come strumento di conoscenza e riflessione interiore. Quali altri meriti attribuisce alla scrittura in versi?
Il leitmotiv dei miei libri, di quelli divulgativi in particolare, che sono i più letti, è sempre stato animato dalla poesia come strumento di conoscenza e di riflessione interiore. Non saprei riassumere meglio le premesse tematiche di questi miei libri che sgorgano, o almeno vorrebbero sgorgare, dalla interiorità. Lo ha scritto Sant’Agostino nelle Confessioni: “in interiore homine habitat veritas”, e in questo cammino la poesia ha una importanza radicale.
Quando ha iniziato a leggere con continuità i poeti, e con quali differenti rifrazioni sentimentali, nelle diverse età della vita che ha attraversato?
Ho incominciato a leggere poesia nella mia prima adolescenza. Mio padre, che era avvocato, ritornando da Milano, portava in casa una infinità di libri di letteratura e di filosofia, non solo ovviamente italiani, ma anche francesi e tedeschi. La casa sommersa di libri, e così c’è sempre stata una continuità dalla adolescenza alla età avanzata. Così, ad esempio, ho continuato a leggere dall’adolescenza i versi di Giacomo Leopardi e quelle di Antonia Pozzi, e le Confessioni di Sant’Agostino. Sono state stelle del mattino che non si sono mai spente.
Nel valutare la resa poetica di una composizione, viene più colpito dalle immagini, dalla musicalità o dal messaggio trasmesso?
Nel rivivere e nel ricreare uno stato d’animo lirico sono stato abitualmente affascinato dalle immagini più ancora che non dal messaggio trasmesso, o dalla sua musicalità.
I poeti che cita maggiormente nei suoi testi sono Emily Dickinson, Rainer Maria Rilke, Antonia Pozzi. Quali altri nomi le sono particolarmente affini? Trova una differenza di intensità espressiva tra le voci femminili e maschili?
Alla voce poetica di Emily Dickinson, di Rainer Maria Rilke e di Antonia Pozzi si è sempre aggiunta quella suprema di Giacomo Leopardi, quella dei crepuscolari, di Sergio Corazzini e di Guido Gozzano, e non solo ma anche quella di Giovanni Pascoli e di Giuseppe Ungaretti. Ho sempre letto con passione le poesie di Nelly Sachs e di Georg Trakl, non molto conosciuto e conosciuta, quelle dei poeti romantici, come Clemens Brentano. Direi di non trovare differenze di intensità espressiva nelle voci poetiche femminili e maschili, sì, le une diverse dalle altre, ma non diverse nel fascino e nella magia, che si ridestano nel cuore.
Legge poesia contemporanea italiana? Che giudizio ne dà?
Non leggo, non ne ho avuta l’occasione, poesie italiane contemporanee,
Recentemente, in un’intervista sul Corriere della Sera, ha postulato una contiguità tra poesia e follia. Nel senso di un’intrinseca originalità della voce poetica, di una sua estraneità alla concretezza dell’esistenza, o di una particolare e quasi temibile fragilità emotiva e psichica?
Le sue domande sul tema della contiguità fra poesia e follia sono originali e profonde, e quello che avvicina l’una all’altra, è la particolare e quasi temibile fragilità emotiva e psichica.
È mai stato tentato dal desiderio di cimentarsi in prima persona con la scrittura in versi? Pensa che il suo stile sarebbe più vicino al crepuscolarismo, all’ermetismo, al surrealismo o al quotidiano prosastico in voga oggi?
Non ho mai avuto il desiderio di dare voce ad una poesia personale, che sarebbe stata, direi, quella crepuscolare. Non ne avrei avute in ogni caso le attitudini.
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