La verità apparente di uno specchio coperto

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2 Luglio 2015

Il rito del lutto è quello ebraico, il rito è coprire gli specchi ed evitare così la propria immagine. Mostrare l’assenza di fronte al vuoto della morte, eliminare ogni apparenza che fa dell’identità un’incontestabile apparizione, una fotografia continua, una testimonianza del contemporaneo che di fronte alla morte si carica di una indigeribile quanto invalicabile presenza. La morte è una sparizione che crea presenza: gli oggetti, gli odori, le stanze, tutto si carica di una patina di memoria che finge la vita e detestabilmente obbliga ad una presenza passata e quindi costringe la mente alla morte.

Come un esplosione che scaglia nel cielo terra e sassi: gli occhi seguono la terra (come una volta avveniva con il corpo vivo dell’amato) fino alla sua caduta che rivela il vuoto ineludibile di un cratere. Lo specchio coperto  (Bompiani, 2015) è un saggio e un diario in cui Elena Loewenthal con coraggio e pudore racconta la morte dall’unico punto di vista possibile: quello del sopravvissuto. La morte è quella del compagno e arriva dopo una lunga malattia. La morte rivela il peso del corpo e annulla ogni pensiero, ogni proiezione possibile sul futuro.

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Quel viaggio complicato e appassionato che fino a prova contraria appariva circolare nascondeva nelle sue sbandate la forma tragica di una spirale. Loewenthal cadenza le pagine con il disincanto dei ricordi e lo stupore amaro di una condizione inaccettabile e solo per questo motivo sempre imprevedibile. Non esiste una possibile via d’uscita, la vita si sdoppia e assume la durezza nodosa dei rami.

Si vive in parte come testimoni di se stessi, la storia passata non vale più, così come non ha più senso alcuna ricostruzione di ciò che è stato. Il passato è perso e la memoria più trattiene più si ritrova sconfitta in un dolore indicibile.

Elena Loewenthal ha una scrittura leggera e ricca di grazia: Lo specchio coperto è un libro triste e bellissimo. Un libro che rifiuta ogni genere che sia esso saggio, memoria o autobiografia. Nulla di quello che è scritto ci appartiene. La storia è privata e il lettore assiste come uno spettatore muto ad un dolore e alla costruzione della sua consapevolezza. Tuttavia nulla di quello che viene raccontato non può non riguardare chiunque, anche se la possibilità e lo spazio per l’immedesimazione spaventa e sarà sempre e comunque posticcio e in parte semplicemente fasullo. Di fronte alla morte la commozione degli altri non basta e del resto nulla serve mai.

Lo specchio coperto è un libro piccolo e delicato che si oppone alla tragedia, una barchetta nel mare burrascoso degli eventi, ma non deriva nessuna forza che non sia necessaria alla tranquillità quotidiana: al cibo come al sonno, al riso come al pianto. Il lutto dura una settimana, il nero un anno: non esiste predisposizione alla morte, ma una alla vita sì e quella si esprime con i colori dei vestiti e dei giorni. Gli incontri cambiano natura, si fanno materia di vita che trasformano, leniscono e in parte salvano. La vista che inizialmente diviene insopportabile si trasforma in un riflesso, o meglio in un riguardo che rilassa le relazioni, ammorbidisce i rapporti più stretti. La fragilità è percepita e tutto diviene più leggero e carezzevole: i convenevoli vengono spazzati via.

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La malattia approfondisce il legame con l’amore di una vita rendendolo ancora più stretto e necessario; gonfia ogni sguardo e sospiro in bisogno ed urgenza. La morte cancella invece la necessità delle ultime carezze come delle ultime corse. Tutto diviene retroattivamente terribilmente inutile: tempo passato tra medicine e paure che ora si riversa in una solitudine comunque incompleta: obbligata e violenta.

Il mondo fuori procede come al solito. Tutto è come prima quando ancora questa coppia esisteva nella sua perfetta completezza, ma proprio perché tutto va sempre allo stesso modo per chi resta non c’è alternativa che educarsi al cambiamento che sarà prima di tutto intimo e personale. Un passaggio che non comprenderà più colui con cui si è condivisa quella che fino al giorno della sua morte era tutta la nostra vita.

Elena Loewenthal ha costretto in poco più di cento pagine il dolore spiegandolo, dandogli ordine e quel poco di sensatezza che è possibile dargli, ma soprattutto ha saputo nella morte raccontare – come un corpo al sole – l’ombra di una storia e di un amore orribilmente destinato sullo sfondo. La morte richiede infinite energie e infinita lucidità, anche se molte volte energia e lucidità sono necessarie per sognare un’amore scomparso per sempre.

TAG: Bompiani, Elena Loewenthal, morte
CAT: Letteratura, Religione

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