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Letteratura

Un filologo che non legge

di Ugo Rosa
3 Marzo 2017

Che questo Paese di insegnanti del fatuo e retori dell’inconsistente non meriti e mai abbia meritato Lorenzo Milani lo sapevo benissimo. Così come sapevo altrettanto bene che ogni occasione è buona per sputare fuori la bile che, a causa sua, questi abbaiatori di professione hanno dovuto ingoiare. Accucciati finchè ancora c’era in giro un barlume di intelligenza in grado di rintuzzarne i latrati a staffilate, ricominciano quando quella luce si affievolisce. Ciò che colpisce oggi, però, non è l’atto squadristico ma il suo salto di qualità; sia per la base operativa, Il Sole 24 ore ( e non “Libero”) sia per la scelta dell’esecutore materiale, un gazzettiere laureato: certo Lorenzo Tomasin, insegnante di filologia romanza in Svizzera. Tomasin è ancora abbastanza giovane, ma è nato professore e come tutti i suoi simili non legge ma rilegge. “Rileggere don Milani. Io sto con la professoressa” s’intitola infatti il raid e così comincia il suo parossismo di stupidaggini: “Rileggo, a cinquant’anni dalla pubblicazione, la Lettera a una professoressa”. Questi professori però non rileggono solo quello che fortuitamente non hanno mai letto ma anche quello che non POSSONO leggere, in quanto per farlo gli mancano i fondamentali. Dopo quell’inizio professorale, Tomasin procede infatti per una paginata, dimostrando, alla fine, ciò che si intuiva fin dall’inizio: che lui, la Lettera a una professoressa non l’ha mai letta. O è riuscito a non capirla senza leggerla. Come potrebbe, del resto, uno che nasce professore, avere la più pallida idea di cosa sia stata la scuola di Barbiana? Sarebbe come chiedere a chi fosse nato a settant’anni come Lao Tze di avere idea dell’infanzia. Di questa ignoranza il professore fornisce testimonianza inoppugnabile quando, parlando della scuola preconizzata da Milani, sentenzia “della soppressione de jure o de facto – è così che si esprimono i dotti – della bocciatura” e aggiunge per non lasciare adito a dubbi “di ogni -corsivo- bocciatura”! Eppure bastava aver letto il titolo della seconda parte di quel libro (“Alle superiori bocciate pure, ma…”) per non scrivere questa sciocchezza e bastava aver letto fino a pagina 111 della prima edizione (Firenze, 1967) dove, in un capitolo intitolato addirittura “Selezione doverosa” (!) è scritto: “Il problema (nelle scuole di grado superiore) si presenta tutto diverso da quello della scuola dell’obbligo. Là ognuno ha un diritto profondo di essere fatto uguale. Qui invece si tratta di abilitazioni. Si costruiscono cittadini specializzati al servizio degli altri. Si vogliono sicuri. Per le patenti siate severi. Non vogliamo essere falciati per le strade. Lo stesso per il farmacista, per il medico, per l’ingegnere. Ma non bocciate l’autista perchè non sa la matematica…”.

E noi che ci facciamo con un professore abilitato di filologia che non legge o non sa leggere ciò di cui scrive?

Lo bocciamo o no?

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