Aharon Appelfeld ci racconta la sua Shoah

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24 Gennaio 2018

Il prossimo 27 gennaio celebreremo, ancora una volta, la giornata della memoria. Per una fortunata casualità la mia ultima lettura è stata proprio un libro sulla Shoah e sui suoi dramma; si tratta di “Storia di una vita” l’opera più importante di Aharon Appelfeld, uno dei pochi superstiti dei campi di concentramento nazista.

Il grande scrittore israeliano, originario della Bucovina, ritorna sugli anni che lo videro bambino, figlio di agiata famiglia borghese, precipitare improvvisamente nel mondo allucinante del campo di concentramento nazista dove erano quotidiane manifestazioni le più sconvolgenti aberrazioni umane. Un mondo nel quale la terribile domanda “Dio, dove sei ?”s’insinuava perfino nelle menti dei credenti più devoti.

Ma il fanciullo della Bucovina, condannato ad un atroce destino senza che si sia reso conto del perché di tanta violenza, diversamente dalla maggior parte delle vittime naziste, ha la fortuna di fuggire. La sua vita a quel punto è la vita del randagio, nascosto nei boschi, a soffrire la fame ed il freddo, a vivere nel timore d’essere scoperto . Un animale braccato che impara a vivere come vivono gli animali, che affina i sensi e rafforza il suo fisico confrontandosi con le difficoltà di quella vita. Tutto questo per anni, fino al momento in cui, finalmente l’impero del male, del male assoluto, viene sconfitto.

Ma anche a questo punto, il selvaggio sfuggito alla morte, sconta la solitudine, quell’avere perduto tutti e tutto anche quell’identità di cui la lingua, o le lingue, costituiscono l’elemento fondamentale. Ecco che allora, quel capitolo drammatico della Shoah diviene premessa per un altro capitolo altrettanto drammatico, quello della conquista di una patria, di una nuova identità sui frammenti delle tante culture nelle quali era venuto al mondo.

Sì, perché, l’arrivo nella terra promessa che tutti immaginiamo un cammino verso la libertà e la dignità, è segnato da tanti ostacoli, da tante difficoltà, da tanti problemi che, in alcuni casi, diventano insormontabili.

Proprio questa parte del libro appare la più interessante e, per molti aspetti, originale.  Nessuno aveva mai raccontato che la conquista di un’identità, a cominciare da una lingua, è stato per questi ebrei un percorso doloroso, nessuno aveva raccontato con toni così puntuali, la sensazione di sradicamento che affliggeva questi giovani orfani  scampati all’eccidio.

Appelfeld non ha riserve, narra della conquista di questa sua identità ma anche della ricerca delle antiche identità, delle lingue che da bambino aveva parlato, dal tedesco, al rumeno, allo yiddish, al polacco, all’ucraino o al ruteno. Il racconto della sua voglia di conquistare il mestiere dello scrittore per potere narrare di quella memoria che non deve essere dispersa.

TAG: antisemitismo, identità, Israele, la tragedia della Shoah
CAT: Letteratura, Storia

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