L’ultima hit: l’atomica che distrusse tutto

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25 Aprile 2021

Andy McCluskey è il figlio di un ferroviere scozzese che è cresciuto in un paesino vicino a Liverpool e, come milioni di altri ragazzi, sogna la sua banda rock e suona con decine di piccoli complessini. Suonano il cosiddetto Mersey Sound, come del resto i Beatles degli inizi: tanta chitarra e tanti cori. Ma Andy, che è di 15 anni più giovane del quartetto di Liverpool, ha scoperto l’elettronica, e nei suoi complessini usa i mezzi di allora: tastiere speciali, moog, mellotron. Finché incontra Mike Howlett.

Mike viene dall’Australia, e fa parte della carovana fantastica di Daevid Allen e dei Gong. Lo so, non sapete chi siano, eppure sono veramente uno dei giganti della storia musicale del 900. Sono coloro che hanno insegnato la scrittura orchestrale a Frank Zappa. Sono coloro che hanno introdotto l’uso di strumenti e macchinari che sono stati poi alla base del jazz di Herbie Hancock, ma anche coloro che per primi hanno capito e seguito la grandezza psichedelica degli ultimi Beach Boys, di Donovan… il disco “Camembert Electrique” è uno dei capolavori insuperati del 20° secolo.

I Gong all’inizio degli anni 70 – Mike Howlett è il primo da sinistra, Daevid Allen il secondo da destra

Mike sa fare tutto, Andy ed i suoi amici vogliono vincere, non importa a quale prezzo. Sono i mesi in cui emerge il genio di Alan Parsons, in cui esce “The pleasure principle” di Gary Numan, e Mike accoglie Andy ed i suoi amici e dà loro un nome: OMD, Orchestral Manoeuvres in the Dark. Prende le quattro canzoncine che hanno già scritto e ne tira fuori “Enola Gay”, un pezzo alla Alan Parsons che scala le classifiche di tutto il mondo che parla della madre dell’aviatore americano il cui nome era stato dato al bombardiere che gettò l’atomica su Hiroshima. Ma Andy e OMD non sono una band politica, vogliono solo vincere. Per farlo vivono come una squadra di atleti. Mai alcool quando si sta lavorando, niente droghe, mai festini, niente distruzione di alberghi, interviste noiose in cui si parla di arte astratta. Ma il guaio vero è che testi e musiche sono davvero noiosi, ma sono gli anni in cui le majors vendono come capolavori anche gli schizzi di senape sul vinile, e gli OMD hanno avuto “Enola Gay” – quindi si continua.

Dopo il trionfo del primo disco di Mike Howlett, il successivo è ancora più pomposo, più frivolo, più lento. E nel frattempo gli astri nascenti del synth-pop inglese si chiamano Depeche Mode. Quindi Andy convince la casa discografica che il problema sia il produttore, e per il disco successivo viene preso Rhett Davies, che era diventato famoso lavorando sugli effetti speciali di “Selling England by the Pound” dei Genesis. Un altro fiasco. Poi un altro disco con un nuovo produttore. Un nuovo fiasco. Ancora un disco. Un disastro. Poi un “Greatest hits”. Niente. Ed allora la casa discografica dice a Andy: basta così. Torna quando hai delle canzoni che funzionano.

Gli OMD all’uscita di “Enola Gay”

Andy ed i suoi amici le provano tutte. Fondano nuove band, si sposano, cercano di collaborare a dischi altrui, scrivono quasi 200 nuovi titoli che la casa discografica rifiuta con pervicacia. Finiscono i soldi, Andy produce colonne sonore per film dimenticabili e dimenticati, aiuta i fratelli in una ditta di idraulici, fa il tassinaro, soffre e si frustra, litiga con la moglie, scrive testi che vorrebbero essere politici ed invece sembrano patetici, chiede aiuto. Aiuto a chiunque. Ed incontra Andy Richards.

Il Signor Richards ha un super contratto in tasca per lanciare nuove stelle, una delle quali sarà il cugino tappo e antipatico del batterista di OMD – il chitarrista Nik Kershaw. Prende la canzoncine scritte da questi esordienti e le riarrangia fino a farne delle hit mondiali: George Michael, Annie Lennox, Godley & Creme, Frankie Goes to Hollywood e via discorrendo. Stuart, il cugino di Nik, racconta a Andy McCluskey di questo tizio, ma dice che non ci vuole lavorare, perché si vergogna di fare nuovamente il pupazzo. Oramai sono passati 15 anni da quando OMD ha avuto la sua hit, e non vuole ripartire da zero come boy-band. Andy ci va segretamente, e Richards ascolta alcuni brani e dice: si può fare. La band entra in studio nel gennaio del 1990 e lavora alacremente per quasi 15 mesi, finché Richards, stufo di petecchie mollacciose, prende un testo senza senso di Andy, ci lavora da solo per due notti, e poi si ripresenta in studio, impone a Andy di cantare la voce solista ed annuncia: questa è la hit che vi renderà immortali.

La copertina di “Sailing the Seven Seas”

Sono anni in cui la campionatura è appena agli inizi, ma Richards adora citare brani famosi, e quindi, in questa nuova canzone, mette una linea di basso dei Velvet Underground, una frase da “My generation” degli Who e, soprattutto, prende il sound di una batteria registrata con il delay che era stata un’idea del campione del glam-rock Gary Glitter. Malcolm Holmes, uno dei fondatori di OMD, ascolta il brano e, in silenzio, si alza e se ne va. Stuart dice che è disposto a registrare la sua parte in studio, ma si rifiuta di suonarlo in pubblico. Ma per Andy è una questione di vita o di morte. Il disco esce, la canzone diventa una hit mondiale. Ma Andy resta da solo. Gli altri ragazzi della band quando la Virgin annuncia che faranno il tour di lancio come support dei Depeche Mode, decidono di non volerla fare. Lui continua, ma sul palco, da solo, non ci può mica andare.

Ed eccoci al 2021. Sono passati 30 anni, Andy è ancora lì che tenta e ritenta di rimettere insieme la band e di avere una nuova hit da lanciare. I ragazzi del Mersey lo evitano, quando lo incontrano. Andy Richards ammette che quasi nessuno di coloro che lui ha portato al successo fosse un vero artista, ed è per questo che si sono perduti in tanti: alcool, droga, suicidio. Andy no. Andy continua anche se ha più di 60 anni. E quando lo invitano va e canta ancora questa canzone, che è la pietra tombale della sua carriera, l’unica che verrà ricordata.

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