The Crown Diaries / 4

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10 Aprile 2020

Solitudine. Solitudine infinita. Almeno, stando in città, si vedeva passare qualcuno, si sentiva lo sferragliare di qualche tram, il rombo fastidioso di una moto di grossa cilindrata, le urla dei bambini ormai stufi marci di rimanere tra le quattro mura domestiche. Qui, in riva al mare scintillante, l’unico suono che gli giungeva era lo sciabordio delle onde, ritmico e ipnotico, quasi fastidioso, a lungo andare.

Certo, meglio di Tom Hanks in Cast away, che aveva trascorso quattro anni con la sola compagnia di Wilson, un pallone da pallavolo truccato da umano, diventato col tempo l’unico interlocutore, per non rischiare la pazzia. Costretti a pensare al peggio del peggio, si stupì Jonas, per accettare una situazione inimmaginabile soltanto un paio di mesi fa. Per dirsi che, in fondo, non era stato così sfortunato. Magre consolazioni.

Scese nel suo giardino per raccogliere nel piccolo orto un po’ di insalata e qualche pomodoro per la cena quando, all’improvviso, si accorse di qualcosa che si muoveva tra gli alberi. Speriamo non una pantegana, si disse, o uno dei grossi topi che sul litorale ligure si incontravano spesso anche in passeggiata. Ohibò! Si avvicinò lentamente per scacciarlo, brandendo una vanga abbandonata sul terreno, e nell’avvicinarsi si accorse di cosa fosse. Un cane, una femmina di labrador che si aggirava quasi sperduta tra i limoni, e lo guardava con un’aria un po’ timorosa.

Molti abbandonano i cani, aveva letto, in questo periodo di isolamento, non si sa per quale motivo, vista la compagnia che danno a chiunque. Ma tant’è. L’animo umano è così distorto che tutto può accadere. Si fermò, invitando a gesti il cane ad avvicinarsi senza paura, porgendogli una carota che aveva raccolto da terra. Avrà fame, suppongo, tentiamolo con un po’ di cibo. Il cane si avvicinò titubante all’inizio, cominciando poi a scodinzolare, sempre meno timoroso di quell’umano che pareva innocuo.

Prese infine gentilmente dalle sue mani il cibo che Jonas gli offriva, divorandolo in pochi secondi e chiedendone immediatamente altro. Una fame da lupi, o da cani abbandonati, suppongo. Quasi quasi, se nessuno dei vicini di casa lo reclama. Quasi quasi. Perché non tenermelo? Almeno per un po’, fino a che tutto non finirà. E poi vedremo. Se lui (lei) ci sta, ci aiuteremo a vicenda. Il cane pareva d’accordo, e seguì mansueto Jonas fin dentro casa, con la coda che ora si muoveva sempre più velocemente. Gradisce l’ospitalità, mi pare. Bene! Bisogna dargli un nome.

Mia, la chiamerò Mia, il diminutivo di Pandemia.

TAG: coronavirus, Jonas
CAT: Lifestyle

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