Dei diversi usi di una parola: «genocidio» o «massacro» degli armeni?
In qualsiasi momento di una discussione che miri a risolvere una divergenza di opinioni (cioè a raggiungere una conclusione condivisa), deve essere consentito chiedere di […]
Il web permette a molti di scrivere ed essere letti e permette a moltissimi di poter commentare pubblicamente ciò che è scritto.
Questa possibilità di interazione, inizialmente accolta come rivoluzionaria, oggi è messa in discussione perché concederebbe spazio a commentatori violenti e a contenuti poco significativi.
E se la colpa non fosse solo dei commentatori ma anche degli Autori, incapaci di maneggiare le critiche e che spesso si esprimono male e in modo ambiguo?
Gli Autori sono per definizione permalosi. Che siano raffinati scrittori, autorevoli giornalisti, modesti specialisti essi ugualmente soffrono se qualcuno smonta, stronca e ridicolizza in cinque minuti il frutto di ore se non di giorni di lavoro. Di fronte a commenti particolarmente negativi l’Autore accusa il commentatore di due cose: di aver frainteso oppure di non aver colto il succo del discorso.
Può capitare che l’Autore di un post sulla banda larga che divaga sulla teologia etrusca accusi un commentatore, semplicemente disorientato, di non aver colto il succo del discorso.
A mio avviso, è un’accusa che rivela le responsabilità dell’Autore: si ammette implicitamente di aver scritto in modo sciatto, di non aver limato e elaborato il testo fino a emendarlo dalle inevitabili sbavature , che ogni scrittura genera, di aver dato semplicemente libero sfogo al proprio ego. È come offrire un’arancia e pretendere dapprima che il lettore la ingoi intera e poi si esprima sul succo.
L’essere fraintesi è un rischio che possiamo ridurre ma non eliminare. Diffondiamo continuamente messaggi formulati secondo codici e valori che non coincidono con quelli di chi li riceve. Dovrebbe consolarci sapere che nessuno studio ha ancora stabilito se i fraintendimenti che portano ad un giudizio negativo siano maggiori di quelli che determinano un giudizio positivo. Finora l’umanità ne ha beneficiato: l’esistenza del genere umano è stata determinata da fraintendimenti nella codifica delle informazioni a livello molecolare. Se il sistema di comunicazione avesse funzionato perfettamente saremmo ancora al brodo primordiale o giù di lì.
Eppure diamo per scontato che siamo migliori di come siamo visti e interpretati. Converrete che ci sono molti sedicenti geni incompresi ma pochissimi cretini incompresi. E l’Autore che come tutti gli esseri umani è l’esito del fraintendimento di una stringa di DNA, si sente incompreso se e solo se il giudizio degli altri su di lui è negativo. Solo un Autore dal temperamento surrealista può riempire di strali il critico che vede nei nostri scritti l’espressione del Genio e ammettere di aver messo insieme delle faconde idiozie.
Gli Autori, compreso il sottoscritto, dovrebbero accettare che, per quanto siano competenti nella materia che trattano, si affidano ad uno strumento che padroneggiano pochissimo che per sua natura si presta al alle interpretazioni, e per cui non sono detentori di nessuna interpretazione privilegiata di quello che è stato scritto. In molti casi sarebbe buona educazione ammettere di aver scritto male o di aver voluto ammiccare maliziosamente. O semplicemente accettare che un certo grado di fraintendimento è fisiologico della comunicazione. Se la buccia finisce nel succo, la colpa è di chi la prepara, non di chi lo fa notare. Se non si è capaci di assumersi la responsabilità di ogni parola e di ogni virgola, bisogna affidarsi ad altri mezzi che concedono meno possibilità di essere fraintesi. Invece di solito si cercano facili scorciatoie.
Ecco un esempio. Molti Autori non resistono al fascino di citare il Principio di indeterminazione di Heisenberg. Lo citano a proposito degli argomenti più disparati dalla finanza alla fotografia al marketing. Tale principio della fisica quantistica è espresso da una relazione di questo genere:
ΔxΔp≥ђ/2
Gli Autori si guardano bene dal citare la formula, di solito ne riportano una qualche versione in prosa buona per supportare le proprie teorie, che si risolve in un’affermazione del genere: «La presenza della maestra in aula influenza il comportamento degli alunni».
L’uso più brillante o più idiota (decidete voi) di questo Principio lo ha fatto il Prof. Levine che affermò che, visto che a livello sub nucleare vigeva questo principio, non capiva perché ci si aspettava maggiore precisione dalla Scienza Economica.
Ecco, probabilmente al prof. Levine sfugge che fuori dal livello sub atomico le cose funzionano diversamente, non solo la Luna non cambia il suo corso se la osserviamo e ma ne possiamo terminare contemporaneamente la velocità e la posizione. E questo lo si fa da millenni con strumenti più semplici di quelli disponibili oggi.
Per il resto, il ragionamente del prof. Levine sulle aspettative razionali fila anche senza il richiamo ad Heisenberg. La conferma che il riferimento serve solo ad allungare il succo e far fraintendere la natura del ragionamento.
Insomma, se vogliamo occupare linguaggi meno ambigui, dobbiamo avere il coraggio di farlo fino in fondo, altrimenti il Principio di indeterminazione di Heisenberg e tanti altri concetti sono solo un artificio retorico per impressionare i lettori: rendere autorevole un concetto banale.
L’aspetto curioso è che gli Autori che citano con sciatteria tale Principio pretendono poi che gli altri si adeguino ad una precisione di linguaggio flaubertiana. Un noto blogger che lo aveva citato maldestramente e che venne criticato, affermò senza nemmeno scusarsi che non aveva mai aperto un libro di fisica.
In attesa di una Teoria del Tutto, il linguaggio con tutte le sue imperfezioni e forse proprio per queste, rimane uno dei modi migliori di conoscere se stessi e il mondo. Se usato con disciplina con se stessi e indulgenza verso gli altri.
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