Costume

Autogrill, facciamoci del male con il cappuccino americano

21 Ottobre 2024

In un paese civile che ha a cuore le proprie tradizioni, lo scempio perpetrato da Autograticola, altrimenti nota come Autogrill, alla lingua italiana e alla sua tradizione gastronomica dovrebbe destare scandalo quanto l’uso della pancetta nella carbonara. La proposta della bevanda denominata “cappuccino regular” meriterebbe le prime pagine dei giornali e persino un’interrogazione parlamentare del ministro Lollobrigida.

Si parla spesso di imporre sanzioni alle aziende che si macchiano del reato di suonare italiano – altrimenti detto “Italian sounding” -, dare a prodotti che nulla hanno a che fare con l’Italia nomi che evocano la nostra tradizione. È un tentativo di sfruttare il prestigio di tutto ciò che è Fatto in Italia – altrimenti noto come “Made in Italy” – per vendere prodotti falsamente italiani.

Tuttavia, si consente che Autograticola, la più grande azienda italiana della ristorazione, proponga un’idea sbagliata di cappuccino, battezzando una bevanda di sua invenzione “cappuccino regular”. Questo non solo offende la nostra lingua, ma umilia anche la nostra tradizione gastronomica.

Questa bevanda è latte arroventato a causa dell’eccessivo vapore utilizzato per riscaldarlo e coronarlo di una schiumetta (chiamarla crema sarebbe troppo) che, nella tazza più grande del normale cappuccino, appare come un misero parrucchino su un viso rubicondo.

Inoltre, il caffè che lo completa è inevitabilmente troppo lungo. Di “cappuccino” ha ben poco e di “regular” ancora meno.

Secondo una giuria composta da un unico esperto – cioè io – il “cappuccino regular” si contende il titolo di “Peggior bevanda chiamata cappuccino venduta sul territorio italiano” dal 1977, anno in cui ho imparato a bere cappuccino.

L’altro aspirante al titolo è il cappuccino servito sui traghetti che collegano la Sicilia al continente – almeno fino agli anni ’90 nessuna differenza si rilevava tra quelli di Ferrovie dello Stato e quelli di Caronte.

Va però detto che l’imbevibilità del cappuccino dei traghetti era parte del rito del viaggio, un po’ come le erbe amare nella Pasqua ebraica. Invece “cappuccino regular” è – come direbbe Totò – ‘na vera schifezza, senza alcuna giustificazione rituale o simbolica. A meno che in Autograticola non intendano paragonare certi viaggi in autostrada a una traversata nel deserto.

È più probabile, tuttavia, che in Autograticola semplicemente non sappiano che il cappuccino, come il Montblanc, si regge su un equilibrio delicato. Non è un caffellatte, dove basta dosare correttamente caffè e latte.

Per ottenere un cappuccino decente, date le dimensioni maggiori della tazza, bisognerebbe usare una varietà di latte con una diversa percentuale di proteine e grassi, in modo da creare una schiuma degna prima che il tutto si surriscaldi.

Evidentemente, in Autograticola erano più concentrati al far suonare americano – altrimenti detto “american sounding” – il cappuccino piuttosto che a farlo italiano.

Ma la loro insipienza ricade su di noi.

Se volete un cappuccino, alla cassa dovete ordinare un “cappuccino small”, ribattezzato così da qualche team di esperti in psicologia più del management prima ancora che del consumatore.

Tuttavia, fate attenzione: dovete essere più rapidi del cassiere, che alla parola “cappuccino” vi addebiterà in un battibaleno – altrimenti detto attimino – un “cappuccino regular”. E dal suo punto di vista, di mero esecutore di politiche aziendali con un rapporto poco sereno con la lingua italiana, ha pure ragione.

Se persino i distributori automatici hanno il pudore di indicare la cioccolata calda con la locuzione “bevanda al gusto di cioccolato”, per rispetto all’italianità basterebbe chiamare quella di Autograticola ciò che è davvero: “estesa bevanda al gusto di cappuccino”.

 

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