Perché l’Italia ce la farà (forse). Seconda Puntata: Adelante Mario…

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22 Gennaio 2015

Le condizioni di contorno, lo ripetono i giornali alla noia,  ci sono tutte. Il QE di Mario The Drake mette una robusta cintura di sicurezza all’Euro, ai debiti sovrani e alla deflazione. I bassi tassi favoriscono accessi al credito e se molti piangono qualcuno non sa più dove mettere le obbligazioni nelle quali ha parcheggiato il risparmio stando lontano dall’infido  mattone. Il basso costo del petrolio fa risparmiare le famiglie e le imprese. La svalutazione dell’Euro favorisce l’export.  Se fossimo americani, ovvero avessimo una economia più libera, uno stato meno costoso e invadente, norme più semplici e mercato finanziario maturo saremmo davvero tutti più ricchi e la guerra alla povertà e per la integrazione sociale farebbe un colossale passo in avanti. Dato che siamo presuntuosi europei, dato che abbiamo inventato questa scempiaggine della Economia Sociale di Mercato per pagare un welfare che, oltre che costoso in regimi normali, nel momento del bisogno si è mostrato inadeguato, tutto quanto esposto sopra avrà sì effetto ma con cautela. E la prima cautela è il cavallo, che Adelante Pedro vorrebbe spingere ma che non ha ancora cominciato a bere le chiare, fresche, dolci acque degli economisti.

Il cavallo non beve perché si vende poco e le previsioni non sono brillanti, nonostante gli articoli sui giornali. E’ vero che esportare negli USA in piena crescita (scommetto che nel 2015 andranno meglio delle previsioni già da boom economico) sarà più facile ma vediamo che capita nei nostri principali partner commerciali, i BRICST. Il Brasile si sta arrotolando da ormai due anni in una crisi che ha messo in silenzio una classe dirigente francamente un po’ spaccona (ricordo bene le polemiche sulla richiesta di maggior peso nel FMI, per dirne una). La Russia paga il prezzo della mancanza di democrazia, se è vero che una democrazia non avrebbe preso le armi per risistemare i propri confini a proprio piacimento. L’India soffre di uno squilibrio interno che è un limite, non una risorsa, di una relativa affidabilità e di un cambio piuttosto ballerino. La Cina cresce meno del previsto nonostante gli stimoli finanziari formali e informali (se la banca centrale mettesse sotto controllo il credito formale e informale assisteremmo ad una esplosione dei mercati finanziari che la bolla internet dei bei tempi assomiglierebbe ad un party all’asilo). Del Sud Africa non parlo ma la Turchia soffre la crisi mediorientale forse ancora più della ormai tangibile inaffidabilità del suo califfo. Altri mercati nordafricani storici non brillano se non per i lampi dei conflitti.

Tutto questo per dire che si fa riferimento a serie storiche positive per l’export italiano ed europeo esse sono.. storiche, cioè basate sulla eredità del 2013, uno scenario ad oggi profondamente mutato.

Ne discende che si torna a bomba, cioè ai mercati pre-globalizzazione che tornano protagonisti, o dovrebbero perché, con la eccezione USA, i mercati interni europei sono ancora asfittici.

L’Italia non è un giardino botanico con un po’ di robuste piante ma era, prima della crisi, un prato pieno di margherite con le sue province industriali da una azienda ogni 12 abitanti. Le poche piante se ne sono andate, alcune alla borsa di New York (e il tempo farà giustizia delle scempiaggini dette sulla loro scelta). Altre erano famiglie ormai asfittiche, nutrite con soldo pubblico e capitalismo relazionale e alla prima difficoltà sono passati da predatori a prede. Abbiamo perso i primi settori trainanti della nostra economia industriale, rimetterne in piedi di nuovi richiederà una generazione, se troveremo una generazione imprenditoriale adeguata alle nuove sfide. Ma per quanto adeguata possa essere non potrà mai più trainare il carro, anzi trascinare il carrozzone di mantenuti delle prime due repubbliche. La Terza Repubblica non nascerà da una riforma costituzionale ma dal riequilibrio della produzione della ricchezza nazionale dove l’obbiettivo di Matteino non è il Jobs Act ma portare il peso pubblico sotto il 50% del PIL e le rendite monopolistiche private sotto il 15%. Ecco perché il cavallo non beve, perché è sfiancato  dai costi diretti e indiretti di uno Stato in crisi di identità ancor prima che in crisi finanziaria. Più che Adelante Pedro purtroppo oggi direi “Campa cavallo…. con Juicio”.  Stiamo cauti, i fondamentali veri, quelli strutturali e non le riforme annunciate sono ancora gli stessi, l’uscita dalla crisi è lenta e non  vicina nonostante le previsioni rosee di tutti gli economisti, quelli in carrozza.

TAG:
CAT: macroeconomia, manifattura

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