‘Benaltrismo’ e i suoi fratelli. Come cambia il racconto

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20 Giugno 2017

È seduta al tavolino del bar. Come tutte le mattine, abituata da una vita a ‘stare su presto’, aspettare che i negozi aprano e fare la spesa. Guarda gli avventori del locale che entrano per il primo caffè della giornata, una pasta o un cappuccino. Mi siedo e do un’occhiata ad un quotidiano. “Cosa fai – ridacchia – leggi le bugie del giorno prima?”. Sono le 6 e il proprietario del bar non è ancora passato all’edicola. “Che poi, anche se non tutte sono bugie – aggiunge – spesso si fa fatica a capire quello che c’è scritto, tutti quei modi di dire, quel gergo…incomprensibile”. Saluta, esce e se ne va.

Bevo il mio cappuccino; a tutta pagina, tra quelle che l’anziana signora ha definito bugie del giorno prima, spicca a lettere cubitali la parola “Benaltrismo”. Nelle pagine sportive campeggia in un titolo un bel “È tanta roba” a seguire il nome di una squadra di calcio titolatissima. E se avesse ragione la signora del bar? ‘Benaltrismo’, tanto in voga sui media indicherebbe chi, invitato a rispondere su un tema preciso svicola replicando con un ‘sono ben altre le cose che contano’. Una parola di uso quotidiano, effettivamente. Un po’ come il ‘Maanchismo’, mirabile sintesi per indicare quello che un tempo si definiva tenere un piede in due staffe: grazie all’attento uso del ‘ma anche’ tutto può coesistere. Destra e sinistra; bianco e nero, caldo e freddo, basso e alto, magro e grasso. E chi non è ‘maanchista’ oggi.

Se poi si è in politica, e si è disponibili al dialogo si diventa ‘aperturisti’. Se, invece, si è critici e pronti a cambiare tutto ecco là l’avvertimento: “attenzione a non buttare il bambino con l’acqua sporca”. Anni fa spopolava. Quasi come il “patto della crostata” per indicare un presunto accordo politico D’Alema-Berlusconi, o il “patto dello sciacchetrà”, vino liquoroso, per un presunto accordo sul sistema bancario tra Berlusconi e l’ex Governatore della Banca d’Italia, Fazio. Più di recente, ma non troppo, andava forte pure il ‘patto del Nazareno’, da largo del Nazareno sede del Pd a Roma per indicare l’accordo in chiave elettorale e non solo tra Renzi e Berlusconi. Insomma, tutti costretti a essere esperti di dolci, enologia, toponomastica capitolina. E come dimenticare l’enfasi della ‘rottamazione’ con un mondo popolato da rottamatori, rottamandi e rottamati. Questi ultimi omaggiati, spesso, del ruolo di ‘gufi’ e ‘rosiconi’. Cose da carrozzieri e ornitologi. Poi, per indicare, le riunioni politiche dei leader, meglio se di centrosinistra, come rinunciare a un “caminetto”. Pure in piena estate. O a una “cena degli ossi” se al tavolo si attovagliano, o attovagliavano, big della Lega e del centrodestra. Chi mai potrebbe equivocare?

Ad ogni modo, nello sport, si rilancerebbe con un “è tanta roba”, altra sintesi per raccontare di una squadra dai tanti pregi, un allenatore capace e ricco di idee, un giocatore dai tanti talenti, o qualsiasi cosa dal taglio più che positivo. Senza contare, poi, un gergo, giornalistico mutato, nel corso del tempo e divenuto – verrebbe da dire – sempre più per ‘iniziati’. Quasi adepti.

Senza indulgere troppo nella nostalgia, consci che ‘quel calcio là’ non c’è più, guardando al racconto del pallone – per dire – il mondo sembra essersi capovolto passando da uno ‘storytelling’ come si usa oggi, dal taglio sobrio, scarno, diretto ad uno evocativo, immaginifico, il più possibile emotivo e esaltante. Qualche annetto fa, un terzino era un terzino e crossava, un libero spazzava, il portiere parava, il regista – il dieci – inventava e il centravanti – il nove o il bomber, al massimo – faceva gol. La difesa a oltranza era il catenaccio e il ribaltamento di fronte , il contropiede. Se si faceva gol all’ultimo, si segnava in ‘zona Cesarini’ e basta. Parole semplici, per un gioco, tutto sommato semplice. Da raccontare con efficacia senza tante pretese liriche.

Un po’ il contrario di quello che accade oggi. Tempo in cui la competenza conta il giusto, di fronte alla necessità – diciamo cosi – di emozionare. In cui tutti si sentono legittimati a creare neo-lingue, usando il registro dell’iperbole e tecnicismi più o meno fondati. Se possibile l’urlo. Un gol, seppure segnato incespicando nella palla, deve essere annunciato enfaticamente digrignando ‘rete, rete, rete, rete, rete’. Oppure è gol, è gol, è gol è gol è gol. Come se le telecamere piazzate ovunque non chiarissero da sole il concetto. La difesa è il gioco senza palla o la fase di non possesso, il catenaccio si dice ‘cholismo’, il contropiede è una ripartenza e poi ci sono i moduli – dal 3-5-2 al 4-4-2, passando per l’albero di natale, il 4-2-4, il 4 -1-4-1 – mentre un centrocampista poliedrico è un tuttocampista e chi fa molto movimento, si muove fra le linee. Ovviamente, dalla vittoria in Spagna nell’82, il Mondiale, si giocasse in Lapponia, è il Mundial, la vittoria di tre titoli (pardon tituli alla Mourinho) il Triplete, di due titoli, il Doble o il Doblete e la vecchia squadra primavera, la cantera. Olè.

Il tutto, al netto, del desiderio di creare una nuova lingua. Cosi se faceva sorridere, negli anni 80, il lapsus del telecronista locale di basket che per dire lotta sotto le plance, immancabilmente se ne usciva con lotta ‘sotto le pance’, esilarante è il commentatore televisivo, sempre locale, che oggi si inventa il portiere a ‘boicottare in angolo’ la palla diretta verso il sette. D’altronde, chi non ha mai sentito un tifoso gridare, allo stadio, ‘…e boicottala quella palla in angolo…’.

A ‘sto punto al prossimo buon cappuccino, il barista verrà salutato con uno squillante “è davvero tanta roba, grazie!” Capirà?

TAG: giornali, media, racconto, storytelling, tv
CAT: Media

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