Cardinale ci piace

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24 Marzo 2021

Se davvero bisogna parlare come si mangia, allora bisognerà anche scrivere come si parla.

Forse sarà ciò che si sono detti i francesi o, almeno, quei pochi francesi che faranno beneficiare i turisti della nuova e limitatissima numerazione di pannelli esplicativi in alcuni musei parigini, alla portata di disabile o di turista dubbioso. Almeno così si discetta sulla stampa italiana, scandalizzata dall’eclisse delle cifre romane sulle rive della Senna.

Anche se, a pensarci bene, i numeri romani erano, in fondo, assai sintetici; mai come il sistema arabo, di molto posteriore – tant’è che da parecchi secoli è l’unico sistema utilizzato in tutto il mondo – ma sicuramente assai più sintetici del sistema greco attico, che prevedeva la ripetizione estenuante di diversi segni. Meglio andò col sistema ionico, che però aveva pur sempre ventisette simboli alfabetici.

Il sistema romano aveva sette simboli alfabetici integrati con suffissi a cornice per i multipli, già più pratico. Però non aveva ancora lo zero, grande invenzione del futuro.

L’etnomatematica potrebbe trovare in questa nuova proposta dei musei parigini varie ragioni del cambiamento.

In fondo i francesi non dicono Louis quatorzième, cioè, come diciamo noi, Luigi quattordicesimo o, per i più snob, arcaicizzando, decimo quarto. Il portoghese, che forse è più conservativo dell’italiano, prevede il décimo quarto, e così via fino al diciannovesimo (anche se undicesimo, dodicesimo e tredicesimo offrono la scelta: undécimo, duodécimo e tredécimo, insieme al décimo primeiro ecc.), per poi riprendere dal vigésimo in poi. Cosa che però non si applica ai re e ai papi: fino al decimo si usa l’ordinale, e poi, dall’undicesimo in poi il cardinale. Pedro segundo di Bragança, l’ultimo imperatore del Brasile, era segundo e in numeri romani, forse per evitare omonimie improprie: oggi sarebbe stato confuso con Pedro Segundo, celebre percussionista, anche belloccio. E tutti in genere dicono Friedrich der zweite, Federico secondo, o, Carlos quinto, Carlo quinto, o, Henry the eight, Enrico l’ottavo, utilizzando gli ordinali. In altri idiomi non so, io questi conosco. Non so se i turisti giapponesi o cinesi potrebbero avere qualche difficoltà con secoli, papi e imperatori numerati alla romana né come vivano codesto drammatico evento. Né come possano viverlo persone abituate a calcolare il tempo secondo egire e cose così. Boh. Bisognerebbe chiederglielo: “Vi piace di più XVI o 16?”. Credo che alla fine del sondaggio i risultati di simpatia verso le cifre arabe sarebbero schiaccianti.

Però, siccome i francesi si distinguono sempre, loro dicono, sintetizzando tutto, solo: Luigi quattordici. L’ordinale è un orpello. Anche se si parla del Re Sole. L’ordinale vale, chissà perché, solamente per il primo: Napoléon I, Napoléon premier. Infatti Napoleone III, ossia terzo, era ed è Napoléon trois (si pronuncia truà). Oppure per il primo giorno del mese, già dal secondo si usa il cardinale. Ora, dovendo andare dove conduce la lingua, in effetti, si era creata una frattura, e da un bel po’, tra la lingua parlata e quella scritta, perché le cifre romane, associate in genere, come già detto, ai secoli e a papi, re, capitoli, quadranti dell’orologio, ecc. nel caso dei secoli comportano una piccolissima aggiunta di un’altra lettera dell’alfabeto latino – ma non contemplata dalla numerazione romana – quando devono essere intese come ordinale, ossia una “e” minuscola: XXe siècle, ventesimo secolo. Ibrido davvero inelegante. Anche in tedesco l’ordinale è d’uso, das zwanzigsten Jahrhundert, il ventesimo secolo, e gli inglesi dicono the twentieth century (fox).  Gli inglesi pure, quindi, forse per imitazione francese, honni soit qui mal y pense, sentono il bisogno di mettere un th alla fine di XX: XXth. Ciò però non avviene in spagnolo e in portoghese, dove i numeri ordinali, per re, papi, secoli, ecc. si usano fino al dieci e poi si va di cardinali, dove, per esempio, il XX secolo è semplicemente “siglo veinte” e non “vigésimo”.

Che confusione, prudono le mani. Ma perché non sono come noi italiani che ordiniamo tutto olimpicamente dando a Cesare ciò che è di Cesare e diciamo capitolo primo e trentatreesimo, Giovanni ventitreesimo o vigesimo terzo, e così via? Davvero verrebbe voglia di tornare a parlare e scrivere in latino, come qualcuno ha proposto qualche giorno fa, altro che. A noi piacciono i numeri romani, io li trovo anche decorativi. Non so, 20° mi piace di meno, XX ha qualcosa di più, diciamo antico, diciamo arcaico, diciamo chic.

Ma, tornando ai francesi – che parlano come mangiano e scrivono come parlano e quindi, per la proprietà transitiva, scrivono come mangiano, l’etnomatematica invaderebbe, in questo caso, il campo della gastronomia – loro dicono Louis quatorze, che si scrive 14. Dagli torto! Facciano come vogliono, il mondo continuerà a girare e il Re Sole resterà sempre lui, in cifre latine o arabe.

E, in fondo, non dovremmo dimenticare che noi diciamo “via venti settembre” anche se lo scriviamo, pittorescamente, XX settembre.

TAG: Carnevalet, Louvre, numeri arabi, numeri romani, Parigi
CAT: Media

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