Come sarà La Repubblica di Mario Calabresi?

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29 Novembre 2015

Che Ezio Mauro, giunto quasi al ventesimo anno di direzione di Repubblica, avrebbe lasciato presto non era difficile da intuire.

Il suo ciclo si era chiaramente esaurito da tempo.

Non voglio soffermarmi qui sulla direzione di Mauro a Repubblica (ci tornerò in un articolo specificamente dedicato). Basti dire che negli ultimi tempi La Repubblica era diventato un giornale noioso, prevedibile, lontano parente della corazzata di qualche anno fa.

Dunque sarà Mario Calabresi a succedere a Mauro, ed è una scelta inaspettata e (apparentemente) di rottura. L’avvicendamento ufficiale avverrà il 14 gennaio 2016, giorno del quarantesimo anno dalla fondazione del giornale.

La notizia ovviamente ha destato curiosità ed interesse, non sono mancate le indiscrezioni e le reazioni.

Si dice che De Benedetti preferisse Rampini alla guida di Repubblica (quel Rampini, giornalista militante di sinistra, distintosi recentemente per aver sistematicamente trafugato articoli di colleghi stranieri riportandoli sul giornale senza mai citarli; se l’odg servisse a qualcosa avrebbe già provveduto ad espellerlo).

Segno che come editore De Benedetti non è infallibile (anche se finora l’unica scelta davvero sbagliata è stata la nomina di Daniela Hamaui alla direzione dell’Espresso).

Il Foglio riporta che Scalfari, avendolo appreso a cose fatte, sarebbe andato su tutte le furie per non essere stato consultato, e ora è sul piede di guerra e minaccia di smettere di scrivere le sue articolesse una volta che Calabresi si sia insediato. Ma probabilmente è solo uno sfogo temporaneo destinato a rientrare.

Certo è che il carismatico fondatore, artefice della straordinaria affermazione di Repubblica, avrebbe voluto avere voce in capitolo, e deve averlo vissuto come uno sgarbo intollerabile.

Nel 1996, quando Scalfari abbandonò la direzione del quotidiano voleva Paolo Mieli come suo successore; De Benedetti se ne impipò e scelse Mauro, allora, come oggi Calabresi, direttore de la Stampa (poi i due sarebbero andati d’amore e d’accordo).

Un primo risultato importante la scelta di Calabresi lo ha già conseguito: Adriano Sofri ha annunciato infatti che smetterà di scrivere per Repubblica.

Era scontato dal momento che, seppur al termine di un processo lungo e alquanto controverso, Sofri è stato infine condannato come mandante dell’omicidio del padre di Mario Calabresi. In molti legittimamente contestano la fondatezza della condanna; inutile lambiccarsi, la verità dei fatti non si saprà mai (la conosce solo lui e pochi altri).

Fece una notevole impressione che Sofri e Calabresi abbiano lavorato per diversi anni nello stesso giornale o il fatto che Calabresi avesse accettato di fare giornalismo per il gruppo editoriale che trent’anni addietro aveva imbastito una virulenta campagna di stampa contro il commissario Luigi Calabresi generando quel clima d’odio che avrebbe posto le premesse per il suo assassinio.

L’appello pubblicato su L’Espresso il 13 giugno 1971 in cui si definiva Calabresi “commissario torturatore” e “il responsabile della fine di Pinelli”  fu sottoscritto da circa 800 intellettuali di sinistra, tra i quali proprio il fondatore di Repubblica.

Della vicenda del padre e della sua storia personale, Mario Calabresi ha scritto in maniera toccante in un bel libro del 2007, “spingendo la notte un po’ più in là”.

Calabresi approdò a Repubblica nel 1999 (l’esordio da giornalista professionista fu all’Ansa). L’anno dopo passò a La Stampa come inviato speciale in America.

Nel 2002 ritornò a Repubblica e vi rimase fino al 2009 dapprima come caporedattore centrale, in seguito come corrispondente dagli Stati Uniti dove seguì la campagna elettorale e la vittoria di Obama.

Infine, il 22 aprile del 2009, all’età di 37 anni, venne nominato direttore de La Stampa.

In questi sei anni ha fatto un giornale molto moderato, senza personalità (il che rifletteva il carattere morbido e bonario del direttore). Quello di Anselmi, suo predecessore, al confronto era un giornale sicuramente più interessante e vivace.

Dal punto di vista politico, la direzione di Calabresi non ha assunto un profilo scomodo o aggressivo nei confronti dei governi in carica, ma abbastanza filogovernativo con quasi tutti i governi che si sono succeduti, da quello di Berlusconi a Monti, da Letta fino a Renzi (verso il quale è stato particolarmente accomodante).

Il loro rapporto è di stima più che di amicizia personale tant’è che il Premier gli ha offerto la direzione del tg1 e, pochi mesi fa, la candidatura a sindaco a Milano per il Pd (Calabresi ha rifiutato in entrambi i casi).

Prima di essere nominato come terzo direttore nella storia di Repubblica, un ruolo indubbiamente di grande prestigio, ha sfiorato mesi fa la direzione del Corriere della Sera (furono alfine Della Valle e l’ad Scott Jovane a opporre un veto).

Spiace dirlo, ma se Calabresi non portasse quel cognome non sarebbe mai diventato direttore di due dei più importanti giornali italiani. E questo è un discorso che vale ugualmente anche per Ambrosoli e Tobagi.

La nostra società si sente in dovere di ripagare così, per quello di cui la vita li ha privati, i figli della stagione del terrorismo .

Come sarà, dunque, la direzione di Calabresi?

Quando scegli un direttore di giornale – ha ragione Vittorio Feltri – lo fai sulla fiducia, valutando le sue esperienze pregresse, ma non puoi sapere che risultati conseguirà. Qualche previsione è comunque possibile farla.

Repubblica da sempre rappresenta l’identità della sinistra italiana, ne interpreta gli umori, le contraddizioni e le convulsioni. Ne orienta la linea politica.

Anche (e non solo) per questo, nel corso della sua storia, gli sono stati attribuiti i caratteri di giornale-partito.

Calabresi dal punto di vista politico presumibilmente perpetuerà la linea filorenziana seguita dal giornale in questi due anni, ma probabilmente farà di Repubblica un quotidiano meno politicizzato e schierato. Se Mauro ha impersonato per vent’anni una sinistra azionista, socialisteggiante, orgogliosa di sé fino ad apparire decisamente boriosa, quella di Calabresi sarà una sinistra edulcorata, meno presuntuosa e radical chic.

Sarà quindi il suo un quotidiano che si rivolge ad un pubblico più trasversale e meno orientato politicamente.

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Un commento

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  1. gianuario-cioffi 8 anni fa

    un aneddoto: laRepubblica , da anni, ha assunto un atteggiamento fortemente omo-transfobico; quell’omo-transfobia radical chic, tipica di un giornale radical chic quale essa è, che la porta a dichiarare un blando e vago appoggio ai diritti civili, per poi ostacolarli nel momento in cui Rep. venga meno in quello che, come nota l’autore, pare sappia fare meglio: l’opinion maker, influenzare le masse, il giornale-partito. Perché laRepubblica, il quotidiano italiano che deve il proprio successo al fatto di avere sempre la risposta pronta ad ogni domanda degli italiani, quello che è sempre depositario della Verità grazie alle mirabolanti inchieste e ad uno stuolo infinito di “fonti anonime affidabili” (su queste ultime si basa la sua cronaca politica) , perché questo giornale non è in grado di fare una campagna pro matrimonio egualitario, come fanno tutti i principali quotidiani liberal occidentali? Perché non è in grado di ripetere quello che L’Espresso fece negli anni ’70 con l’aborto (ricordate? La storica donna crocifissa) ?
    Credo che la risposta vada cercata nei loro stessi articoli.
    Tanto per cominciare, i giornali radical chic, in quanto tali, sono profondamente provinciali e ignoranti: non conoscono la differenza tra “outing” e “comignolo out”, si riferiscono a donne transessuali usando il maschile ( su questo Rep. è un campione), quando pubblicano un qualunque articolo sull’omosessualità non mancano mai di corredarlo con foto di bar pieni di uomini semi nudi o di pride in cui vengono mostrati ballerini e ballerine (quest’ultime, trans) seminude (su questo i campioni sono Espresso e HuffingtonPostItalia – edito in collaborazione col primo; da notare che il pride è composto al 90% da persone “comuni” , quindi per fotografarli vuol. dire che se li vanno a cercare di proposito) ; giusto per citare LaStampa, alcuni mesi fa, quindi con l’assenza di Calabresi, pubblicarono online un articolo in cui si descriveva la “teoria gender” come un qualcosa che esistesse realmente ( poi per le proteste lo cancellarono) .

    Ma non è finita qui: se questo campionario poteva dimostrare che Rep.&Espresso fossero ignoranti, ora dimostrerò che invece sono proprio VOLUTAMENTE OMOFOBI E TRANSFOBICI .

    Iniziamo con Rampini : avete presente le proteste di Baltimora, i neri contro le violenze della Polizia? Ricordate la “mamma di Baltimora” ? Ecco, il comunista Rampini su D fa un lungo piagnisteo su come il disagio giovanile sia causato “dall’assenza di figure maschili in famiglia: i ragazzi non possono essere cresciuti dalle madri” .

    Ma torniamo a Repubblica : a pare che essa si sia dedicata nell’instillare volontariamente un terrorismo psicologico nelle menti dei lettori lgbt : prima ci fanno credere che il family day del 21giugno abbia visto la partecipazione di un milione di persone, quando piazza San Giovanni ne può ospitare massimo 200mila , poi, più recentemente, in nome di un ormai ipocrita par-condicio (ne sentono ancora bisogno? Sul serio?!) , fanno una doppia intervista ad una madre omosessuale e ad una … “tizia”, senza altro titolo se non la propria omofobia, che si mette a farneticare di ricerche scientifiche ( nella migliore delle ipotesi VECCHIE e CONFUTATE) che dimostrerebbero i danni dei bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso. il tutto senza contraddittorio !
    Per non parlare di come questo giornale abbia millantato, per mesi, che il ddl Cirinná non riguardasse le coppie eterosessuali .

    Ho voluto fare questo lungo excursus sul loro atteggiamento verso gli lgbt per far capire che questo giornale, a partire dal fondatore (comunista) fino all’ultimo cronista, segue una chiara strategia politica, anti-liberale, ideata probabilmente dal suo editore, il cui anti berlusconismo ci ha fatto ignorare come la sua sete di potere, pari a quella del suo concorrente industriale. I giornalisti di Rep., che con l’alibi delle “fonti anonime” (e la garanzia che queste siano affidabili, perché , beh, loro sono Repubblica ) dicono tutto e il suo contrario, sono dei meri “agenti” incaricati dal padrone di fare pressione sui politici usando l’arma dell’opinione pubblica.

    Insomma, se questo è il ” primo quotidiano d’Italia ” ….

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