il bambino con la maglietta rossa

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14 Novembre 2018

Pochi giorni fa Raitre ha lanciato un nuovo programma intitolato “Alla Lavagna”: il format prevede che personaggi famosi della politica e dello spettacolo interloquiscano con una classe di bambini della scuola primaria. L’ospite della prima puntata era il ministro Matteo Salvini.

Chi, come me, non ha visto la trasmissione è venuto a conoscenza della novità attraverso i social, che hanno riverberato ovunque la fotografia ufficiale della puntata: tra i primi a rilanciarla c’è stato lo spin doctor di Salvini, che con un tweet ha invitato il suo seguito virtuale a non perdersi l’apparizione tv del Capitano.

L’immagine mostra Salvini circondato da ragazzini sorridenti e entusiasti; l’attenzione viene immediatamente catturata da tre elementi che si distinguono cromaticamente dall’insieme bianco-azzurro (stagliato sullo sfondo di una lavagna nera sulla quale si intravvede la scritta “sovranismo”): sono il bambino con la felpa mimetica sopra le spalle di Salvini, la bambina di colore al suo fianco e il bambino con la maglietta rossa, l’unico in disparte e con un’espressione seria.

Che sia stata studiata e costruita in ogni dettaglio o che sia il frutto della casualità, la fotografia trasmette un messaggio subliminale fin troppo ovvio: la classe rappresenta la società italiana, relativamente omogenea, che festeggia il suo leader; spicca la presenza degli immigrati, ingombrante (la bambina di colore nasconde, con il suo braccio, una compagna messa più indietro) ma integrata; le forze dell’ordine, raffigurate dalla felpa mimetica, proteggono il gruppo dall’alto e sono alleate con Salvini; i suoi oppositori invece sono soli, isolati e malmostosi come il bambino sulla destra.

Manco a dirlo, il ragazzino con la maglietta rossa è diventato immediatamente l’idolo dell’opposizione social: in Twitter moltissimi lo hanno eletto a proprio eroe del giorno, si sono sprecati i paragoni con l’epoca fascista (in particolare con la famosa foto be this guy), il fake di Gianni Cuperlo lo ha candidato alla segreteria del Pd; per tutta risposta, lo spin doctor di Salvini ha ironizzato dicendo che si trattava del nipote di Maurizio Martina, rafforzando così il messaggio originario.

Al di là delle diatribe virtuali, l’immagine della trasmissione ha una potenza propagandistica micidiale, che agisce soprattutto sui più piccoli, ma non solo: essa fa leva infatti sulla paura più grande di ogni ragazzino, quella di essere escluso dal gruppo. Poiché la strategia di comunicazione del ministro dell’Interno punta sempre più decisamente sul pop (con molteplici, continue operazioni simpatia) e la sua onnipresenza televisiva è diventata ancor più pervasiva, il Capitano potrebbe entrare realmente nella quotidianità dei preadolescenti, realizzando quella conquista degli elettori in erba alla quale la Lega punta fin dai tempi dei lecca-lecca padani; ma la leva psicologica è efficace a tutte le età, soprattutto nel mondo virtuale in cui si torna tutti un po’ bambini.

Proprio su questa dinamica ha giocato il social media manager di Salvini che, il giorno dopo la trasmissione, ha pubblicato – sempre via Twitter – una seconda foto di scena, nella quale il ragazzino con la maglietta rossa appare festante insieme al resto del gruppo. La scelta di postare per prima l’immagine con il piccolo scettico e per seconda quella con il gruppo compatto ha un significato ovvio: il Capitano ha saputo convincere anche i suoi oppositori, che ora sono felici e integrati nella loro comunità. La strumentalizzazione politica di un programma di intrattenimento “leggero” è davvero perfetta.

La scelta istintiva di tanti antisaliviniani di identificarsi nel bambino con la maglietta rossa dimostra invece quanto la narrazione della propaganda leghista sia stata interiorizzata anche nel campo opposto: chi avversa politicamente Salvini considera sé stesso isolato, impotente e arrabbiato. Certamente questa sensazione è in parte giustificata dall’esiguità e dalla frammentazione dei partiti di sinistra; ma c’è da chiedersi se non accada anche l’opposto, cioè se non sia l’auto-percezione di impotenza e isolamento a condannare la sinistra alla frantumazione e alla sconfitta.

Eppure la manifestazione antirazzista che sabato scorso ha portato a Roma decine di migliaia di persone dimostra che le magliette rosse sono, quantomeno, un po’ più di una: è da questa consapevolezza che la sinistra dovrebbe ripartire, anziché da un’immagine artificiosa e, mi pare, ben poco consolatoria.

(immagine tratta dalla pagina fb ufficiale di Matteo Salvini)

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