Popsophia festeggia i dieci anni: intervista a Salvatore Patriarca
Popsophia festeggia i dieci anni. Il festival dedicato alla filosofia pop è terminato lo scorso 1° agosto. Dalla musica allo sport; dalla TV ai social media e poi fiction, teatro, cinema. Dieci anni fa Popsophia ha dato voce a un genere internazionale che rende accessibile la filosofia “alta” ed eleva il “pop” alla dignità del pensiero filosofico. Tra gli ospiti il filosofo Salvatore Patriarca che ha parlato della mitologia del contemporaneo e di Media.
INTERVISTA A SALVATORE PARLATO
– Parto dalla domanda più semplice: quali sono i cambiamenti, che lei ha analizzato, portati da Google, Amazon e dai social media nelle nostre vite?
– Quando si parla del cambiamento antropologico determinato dall’aera digitale, cioè dall’avvento delle funzioni di ricerca della conoscenza di Google, di prossimità dell’alterità dei Social Media e di prossimità dell’oggettualità garantita da Amazon, bisogna sempre tenere in conto che il pensiero umano è un pensiero adattivo, cioè si trasforma in base a quelle che sono le disponibilità che ha a disposizione, ciò che permette il dispositivo tecnico e tecnologico di possedere. Quindi con il digitale è avvenuto un azzeramento delle distanze, un evento apparentemente visto già con la grande evoluzione dei trasporti agli inizi del novecento: prima l’auto, ancora prima il treno e poi l’aereo. Ma ancora non si era arrivata alla disponibilità completa dei significati e dell’alterità, invece con la trasformazione digitale noi abbiamo finalmente e per la prima volta (e questo causa una sorta di spaesamento dentro il quale noi tutti ci troviamo) la completa disponibilità dei significati cioè tutta la sedimentazione culturale che l’umanità ha prodotto adesso è a nostra disposizione. Basta compilare la stringa di Google con una richiesta o una domanda e tutta quella conoscenza, frutto di una lunga tradizione, diventa disponibile. Il fatto che sia disponibile, non vuol dire che sia assimilata ma dà la sensazione della disponibilità. La stessa cosa avviene con l’altro, un esempio banale che si può fare è che se uno va su qualunque piattaforma nota e digita il nome del presidente degli Stati Uniti gli può mandare un messaggio, che probabilmente non arriva o se non viene bloccato può anche farlo, quindi la possibilità di dialogo fondamentalmente è aperta. Considerate una cosa del genere due secoli fa, un contadino della Bassa Stiria che inviasse all’imperatore d’Asburgo un messaggio. Era un evento, una cosa impossibile. Ora invece è possibile. Questo trasforma anche il rapporto con l’altro. L’ultimo stadio, ma non meno importante, è il rapporto con l’oggetto. Amazon e tutti i paradigmi di prossimità dell’oggetto. Cioè tutti i siti di e-commerce ci permettono in qualunque momento noi ci troviamo di acquistare qualunque cosa che non abbiamo. Qualunque oggetto diventa a noi prossimo. Quanto tutto questo ha trasformato il pensiero? L’ha trasformato tanto, l’ha innanzitutto sorpreso in questi primi decenni del XXI secolo, quanto questa trasformazione sarà profonda è una cosa che riusciremo a capire nei decenni a venire perché è veramente un salto epocale su cui bisognerà continuare riflettere attentamente.
– Nei prossimi 10 anni, i colossi dei social network esisteranno ancora o, come ogni fenomeno destinato a terminare, lasceranno spazio a nuove forme di vita digitali?
– La produzione mitografica diventa tanto maggiore quanto più è complessa e stratificata la cultura alla quale essa appartiene. Non è un fatto creatosi solo nella società contemporanea, creare il mito, cioè elaborare significati comuni che rigenerano di volta in volta la dimensione di coappartenenza è un tratto tipico dell’umanità. La cosa fondamentale che contraddistingue quest’epoca è l’incredibile velocità con cui si creano queste mitografie contemporanee. Ce ne sono tantissime di tutti i tipi. Lo sforzo che dovrebbe fare la riflessione e al quale è chiamato il pensiero costitutivamente è quello di saper riconoscere, svestire quello che possiamo definire il successo momentaneo dalla reale produzione di significatività. Quindi per esempio il/la singolo/a influencer (magari non Chiara Ferragni o la Kardashian) probabilmente tra 10 anni verrà dimenticato/a ma il tema permanente è lo spostamento del principio di autorevolezza che si è delimitato con la creazione dell’influencer. Per dirla in maniera stringata, che cos’è un influencer? È colui o colei al quale o alla quale si demanda l’ultima dimensione della scelta, ciò che fa l’influencer è ciò che può andar bene per me. Perché può andar bene per me? Perché mi accorcia il processo decisionale: ciò che fa lei vale per me in quanto è affidabile e garantito da un’autorevolezza che è conquistata dalla dimensione pratico-pragmatica, non da una legittimazione culturale. Le azioni dell’influencer dimostrano la sua capacità di stare al mondo che permette poi di farlo diventare imitabile. Quindi permarranno? Non permarranno? La cosa che permarrà è la trasformazione sulla quale si elabora il principio di autorevolezza. Se prima esso si basava su una dimensione strettamente conoscitiva (mi fido di colui che ne sa di più, il medico di paese, il notaio, il magistrato, il farmacista), oggi mi fido di colui o colei che dimost5ra di essere adeguato al mondo in cui vive, questa trasformazione è radicale perché ha inevitabilmente una quantità di conseguenze e ramificazioni economiche a livello di marketing e di prodotto pazzesche ma soprattutto perché riporta gli ambiti del riconoscimento personale dal “cosa si sa” al “cosa si fa”. Quindi è una sorta di primato pragmatico, non a caso viene dagli Stati Uniti, che per la cultura europea occidentale, così come era stata formulata dall’antica Grecia in poi, è qualcosa di estraneo sorprendente e da un certo punto di vista anche esoterico e quindi aspirabile.
– I nuovi media hanno cambiato anche il modo di fare giornalismo, e il giornalismo come concetto: secondo lei la “carta stampata” avrà vita breve?
– Come sono cambiati i media? Qui il ragionamento va un po’ diviso su due piani cioè sul “come” dei media – cioè i mezzi fisici che determinano il passaggio informativo e sul “cosa” dei media. Il come è appunto carta stampata sì o no, web trionfante o che dovrà convivere con la carta. La domanda è al centro di ogni riflessione mediologica degli ultimi vent’anni, è molto probabile che con l’esaurirsi delle generazioni che sono abituate alla carta il ruolo della carta tenderà ancor di più a diventare minoritario e a diventare ancora di più elitario. Però il vero problema non sta tanto nell’uso o meno della carta ma nella trasformazione dell’ambito conoscitivo. La carta era un tipo di strumento che garantiva la sedimentazione e la trasmissione. La grande rivoluzione della stampa da Gutenberg in poi è quello che ha garantito per la prima volta una capacità di trasmissione della tradizione ad ampio raggio e soprattutto una permanenza di tale tradizione, questo valeva anche per gli amanuensi delle abazie medioevali, o ancora prima per gli scribi della tradizione egizia e greca che lavoravano sulle pergamene come traccia permanente. Noi invece nell’era digitale abbiamo un po’ superato il problema della permanenza perché in realtà ciò che conta è la novità. Quindi la vera trasformazione che ha caratterizzato l’ambito informativo è che l’informazione tende a informare, cioè a dare forma al reale, nel momento e tende con altrettanta velocità a dimenticarsi della forma che ha dato a quel reale, perché non è detto che il significato del reale precedente abbia valore. Quindi, tendenzialmente, ciò che conta è l’ultima notizia che arriva, ciò che conta è l’ultima forma che il reale acquista nella trasmissione conoscitiva. Questo può avvenire perché c’è una tradizione culturale stratificata molto forte, quindi la domanda che ci si dovrebbe porre (ma che probabilmente ci si porrà tra una cinquantina d’anni) è: quando questa forma di urgenza conoscitiva che ogni volta riformula il reale nel momento non avrà più come fondamento una stratificazione garantita e consolidata e condivisa tra i lettori come si conformerà questo reale? Una domanda che diventerà più evidente e forse potremo capire quali saranno gli effetti tra una decina d’anni, ma ancora oggi e per i prossimi 10/20 anni la carta resisterà, a fatica ma resisterà e l’informazione tenderà a essere sempre più momentanea, sempre più sorprendente, perché si ha la necessità di informare, cioè dare forma a questo reale in maniera nuova e innovativa che delegittimi o comunque vada in contrasto con la generazione precedente e che sia sempre, paradossalmente, più settaria e settorializzata e meno comunitaria.
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