TESTIMONIANZA E NON IMPATTO. LA STORICA MARCIA DEGLI IPOCRITI

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11 Gennaio 2015

Sia sulla diretta Sky della “marcia repubblicana” che sulla mia timeline di Twitter, l’aggettivo “storica” viene profuso in quantità statunitensi (supersize me!).

Personalmente lo trovo un po’ forzato e poco onesto intellettualmente. Giusto per chiarirci, non mi riferisco alla marcia della gente comune.  A quei due milioni di individui va tutto il mio apprezzamento e supporto.

Dopo pranzo mi sono imbattuto in un tweet di Glenn Greenwald, il giornalista ex Guardian, famoso per aver dato voce alle sconvolgenti rivelazioni di Edward Snowden. Un soggetto quest’ultimo che ben incarna la contraddizione o se preferite ipocrisia che é il cuore di questo post.

Nel suo tweet Greenwald suggerisce la lettura di altri venti che Daniel Wickham, della MiddleEast Society della LSE,  sta pubblicando in quei momenti che precedono l’inizio della marcia. Questo tweetstorm descrive le nefandezze in tema di limitazione della libertà d’espressione e spesso di stampa, compiute da venti stati i cui rappresentanti partecipano alla marcia.

Tra gli stati menzionati vi sono Bahrain, Giordania, Turchia, Qatar, Mali, ma anche Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Israele, Polonia e altri.

Tra i reati, si annoverano la distruzione di documenti giornalistici presso la sede de The Guardian,  la blasfemia punita penalmente in Irlanda, la “diffamazione” per blogger e giornalisti repressa con la prigione e sempre il carcere, 15 anni! – per aver scritto un poema (succede in Qatar)…Nello storify di Wickham tutti i dettagli.

Veniamo al punto. Quella che i giornalisti si prodigano a chiamare storica è una mera testimonianza. 

Cosa ben diversa da un impatto concreto sui milioni di persone che questi rappresentano. Questa nuova immagine che a livello iconografico, non di senso, sostituirà il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, si caratterizza per la sua attuale, vistosa ipocrisia. Al ritorno nei propri paesi, ciascun capo di stato, presidente del consiglio o ministro degli esteri riprenderà le proprie immutate politiche liberticide e lo stato delle cose rimarrà inalterato. Mi farebbe molto piacere esser smentito al riguardo.

Federica De Sanctis di Sky News si esalta raccontando la storicità del fatto che Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese sia a pochi metri di distanza da Bibi Netanyahu, primo ministro israeliano. Ma é lo stesso collega Renato Cohen, che, sollecitato in diretta, fa una smorfia, smorzando qualsiasi entusiasmo, chiarendo che le due parti si incontrano spesso e infruttuosamente  per negoziazioni, e che stasera, tornando nei rispettivi paesi, i due capi di stato riprenderanno le loro politiche come se nulla fosse successo.

I segnali e le reazioni che invece incominciano ad arrivare a seguito di questi drammatici giorni sono invece poco incoraggianti. Si parla di una chiusura dello spazio Schengen, che permette la libera circolazione delle persone all’interno dei paesi firmatari. Si parla di restrizioni delle libertà specialmente in tema di traffico aereo e di nuove leggi anti-terrorismo, rispolverando le politiche di Bush, quelle della lotta senza quartiere al terrore, con grave detrimento delle libertà individuali, sacrificate sull’altare della sicurezza nazionale. Su questo tema, mi trovo d’accordo con Fabio Chiusi che ne coglie la drammatica urgenza:

“Not afraid“. Non abbiamo paura, dice la piazza parigina che piange i morti di Charlie Hebdo. Ma non può rimanere uno slogan. Non avere paura significa, concretamente, non lasciare che il massacro di Parigi annienti il dibattito globale sul rapporto tra sicurezza e libertà sollevato da Edward Snowden, annullandone insieme le conquiste. Non concedere ai governi di aumentare di nuovo sorveglianza e repressione nel nome del terrorismo, sull’onda emotiva della strage e senza gli adeguati contrappesi, le garanzie e tutele che normalmente si applicano nei paesi democratici. E che troppo spesso, lo abbiamo visto con il Datagate come con la pubblicazione dell’orrendo catalogo delle torture CIA, quando c’è di mezzo il terrore vengono inspiegabilmente messe da parte. 

Suggerisco caldamente, la visione e l’ascolto del TED talk di Edward Snowden, uno dei discorsi più apprezzati dell’anno, nel quale si sofferma sulla vitale importanza e consapevolezza della libertà e della privacy su Internet e specularmente su quanto subdolamente invasiva sia la  sorveglianza nella/della Rete.

Nel nostro Paese intanto si discute, peraltro senza alcuna visibilità sui media, dell’approvazione della nuova legge sulla diffamazione.

In questo contesto di omologazione culturale, risultano a dir poco gravi, le responsabilità della maggior parte degli organi di informazione che fomentano una narrazione che come sempre si focalizza e vacuamente riempie di significati un momento lontano dalla vera azione che crea impatto.

Serve concretezza e lucidità e non emotività strappa click.

Concludo questo post poco ottimista, o quanto meno intriso di pessimismo della volontà auspicando che la storicità di questa marcia di rappresentanti di oltre 50 paesi si possa concretizzare presto in un ripensamento delle loro politiche interne in tema di libertà individuali, d’espressione e di stampa.

TAG: charlie hebdo, marcia repubblicana, media, Parigi, place de la république
CAT: Media

Un commento

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  1. andrea.gilardoni 9 anni fa

    Già. In alcuni degli “stati” dei manifestanti sarebbero morti prima, i redattori… e legalmente.

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