Essere alleati dell’Arabia Saudita vuol dire esserne complici
Come si chiama l’intervento militare, puntuale e con gravi conseguenze sulla popolazione, che viene compiuto da un esercito ufficiale? Non è forse esso stesso terrorismo? E se le armi usate le forniamo anche noi, così come anche il nostro Paese è uno dei grandi alleati di questa forza disumana, non siamo forse anche noi colpevoli delle stragi? Se le cose stanno così, siamo sicuri che i “cattivi” siano gli iraniani?
Jamal Khashoggi, giornalista saudita del “Washington Post”, che vive in esilio negli Stati Uniti, è stato rapito nella Ambasciata Saudita ad Istanbul, dove si era recato per procurarsi i documenti di nascita necessari per sposarsi. Il governo dell’Arabia Saudita sostiene che questa notizia sia falsa, che il giornalista si sia nascosto per chissà quali motivi, ma persino la Polizia turca, che ha controllato le registrazioni delle videocamere esterne all’Ambasciata, crede nel rapimento. Colgo l’occasione per sottolineare, per chi non se ne fosse accorto, che oggi, al mondo, la nazione più pericolosa, più violenta, barbara, feroce, il regime più brutale ed oscurantista, sia quello Wahabita della famiglia Al-Saud, e poco importa se, per motivi propagandistici, ha concesso alle donne di guidare un’auto.
L’Arabia Saudita gestisce, a livello globale, la sua sanguinosa tirannia, grazie alla protezione di cui gode da parte del governo federale degli Stati Uniti, che, specie da quando Donald Trump è presidente, ha sciolto le briglie della smania di potere di Riyadh in chiave anti-iraniana. Barack Obama aveva siglato un trattato storico con Teheran, ponendo le basi per una pacificazione di tutto il Medio Oriente: un Iran reinserito nel consesso internazionale significa meno pressione militare su Israele, maggiore ricchezza per i Paesi poveri che fanno parte della sfera d’influenza di quella che fu la Persia – il Paese più moderno e laico dell’universo musulmano, fino al colpo di Stato degli Ayatollah, 40 anni fa. Oggi il regime fondamentalista iraniano sostiene gli Hezbollah in Libano e diversi gruppi terroristici, sparsi tra il Nord Africa ed il Medio Oriente. Ma la vera differenza tra Iran ed Arabia Saudita è che la macchina militare wahabita è l’esercito regolare, mentre Teheran l’esercito lo usa soltanto nella lotta contro i separatisti del Belucitsan.
Nel maggio del 2017 l’Arabia Saudita ha chiuso le relazioni diplomatiche con il Qatar ed ha convinto a fare lo stesso ad Egitto, Bahrein, Emirati Arabi uniti, Maldive e Yemen. I cittadini del Qatar che vivevano in questi paesi sono stati costretti ad andarsene subito, alcune famiglie sono state separate, contro il Qatar (che è geograficamente circondato dall’Arabia) è stato decretato un embargo internazionale, a tutte le aziende che fanno affari nel resto del mondo sunnita è stato proibito fare affari a Doha, pena la sospensione dei contratti in essere nei Paesi partecipanti all’embargo. Un canale TV indipendente, cui Jamal Khashoggi collaborava, e che era stato creato da una famiglia di oppositori al regime saudita, è stata chiusa dall’esercito dopo nemmeno 24 ore.
La motivazione ufficiale è che il Qatar, come l’Iran ed i suoi amici, finanzierebbe Da’esh ed Al-Qaeda, quella vera è che il Qatar ha una forte alleanza con l’Iran sciita, che – nonostante l’embargo internazionale stabilito dagli Stati Uniti – continua a crescere economicamente in comparazione con i Sauditi e ad accrescere il proprio peso politico e diplomatico nella regione. Il Qatar, per liberarsi dell’influenza saudita, aveva investito miliardi, portando la Formula Uno a Doha ed ora la Coppa del Mondo di Calcio 2022 in Qatar. Un’edizione della Coppa del Mondo completamente folle, senza pubblico, con infrastrutture completate in condizioni metereologiche impossibili, che costano centinaia di morti e che saranno magari giocati di notte, perché le temperature in Qatar in estate superano costantemente i 40° e rendono quindi qualunque sforzo dannoso in modo grave alla salute.
La campagna contro il Qatar, finanziata da Riyadh, viene portata avanti da un gruppo di parlamentari conservatori britannici, che si stanno riempiendo le tasche di soldi vendendo sé stessi e la propria immagine pubblica. Un’immagine che copre anche lo sterminio ingiustificabile che l’Arabia Saudita, da oltre tre anni, e senza alcuna reazione da parte del mondo occidentale, commette in Yemen. L’Unione Europea e l’Italia non stanno a guardare; vendono armi all’Arabia in barba a qualunque legge – perché pagano, ed in ballo ci sono posti di lavoro. Chi se ne frega se in Yemen si muore come mosche, e se un giornalista critico viene rapito – e chissà cosa gli staranno facendo adesso – senza che nessuno dica nulla.
Il mondo non si divide in buoni e cattivi. Ci sono solo cattivi e pessimi. La differenza è la democrazia, ed il benessere. In politica si deve giocoforza usare il pragmatismo, decidere ciò che conviene, prima di ciò che sia giusto. Ma in nome di questo noi stiamo permettendo alle figure più orribili oggi presenti sulla scena politica (Donald Trump, Tayyip Erdogan, Bibi Netanyahu, l’intera famiglia Al-Saud, Vladimir Putin) di gestire la violenza di Stato come pare a loro, soffocando non solo la democrazia, ma anche l’umanità. Noi, giustamente, abbiamo paura della svolta cinica ed isterica del governo d’incapacità nazionale guidato da Salvini e Di Maio. Ma dovremmo guardare al di là dei confini, dove si addensano nubi nerissime. Il rapimento di Jamal Khashoggi dimostra che non si è più sicuri di nulla, in nessun posto. Possono cancellarci come e quando vogliono, nel silenzio totale.
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